6 AGOSTO - Muore
Papa PAOLO VI. Nato a Concesio (BS) nel 1897 avrebbe compiuto 81 anni un
mese dopo, il 26 settembre.
Paolo VI, al secolo GIOVANNI BATTISTA MONTINI, apparteneva ad una cospicua
famiglia borghese di forti tradizioni cattoliche; era figlio di Giorgio
Montini, deputato del Partito Popolare per tre legislature. Compiuti gli
studi preso il collegio Arici, entrò nel seminario di Brescia dove fu
ordinato sacerdote il 29 maggio 1920.
Divenne quasi subito, nel 1924, uomo di Curia con la nomina di aiutante
dentro la Segreteria di Stato del Vaticano. Parallelamente ebbe l'incarico
di assistente sociale della F.U.C.I. Nel 1937 fu nominato sostituto della
Segreteria di Stato.
Nel 1944 divenne con monsignor Tardini il collaboratore più stretto di Pio
XII. Anche se come suo segretario formalmente non fu mai, il successivo
ventennio di collaborazione con Papa Pacelli caratterizzò senza dubbio la
formazione, la mentalità e l'azione del futuro cardinale e poi pontefice.
La sua epoca sarà segnata dal passaggio dall'era pacelliana a quella
giovannea, dalla svolta mondiale della "guerra fredda" e dal
successivo "disgelo", dal nuovo porsi della Chiesa Romana di
fronte al mondo, dalla problematica sollevata dal Concilio Vaticano II e dal
periodo post-conciliare.
Infine la questione ecumenica, il fenomeno della secolarizzazione e del
dissenso cattolico, i rapporti nuovi ad alto livello politico tra la Santa
Sede e i Paesi comunisti.
Nel 1952 veniva eletto prosegretario di Stato per gli Affari Ordinari.
Nel 1954 (stranamente e senza il cappello cardinalizio - sembrò quasi un
allontanamento dalla Segreteria) fu nominato arcivescovo di Milano proprio
da Pio XII.
Cardinale fu nominato solo nel 1958 ma da Giovanni XXIII. E quando Papa
Roncalli indisse il Concilio, Montini collaborò attivamente (Lettera
Pastorale: Pensiamo al concilio, della Quaresima del 1962)
Alla morte di Giovanni XXIII, il 21 giugno 1963 Montini gli succedette e
rimase sul soglio per 15 anni e 46 giorni. Primo compito del nuovo Papa fu
la conduzione del Concilio, compito tutt'altro che semplice e che seppe
portare a compimento manifestando una statura spirituale e culturale
straordinaria.
La sua azione si caratterizzò subito per la volontà di portare a termine
il discorso innovatore ormai iniziato, anche se essa non poteva prescindere
dalla prudenza di un temperamento e di una personalità per molti aspetti
diversi da quelli di Giovanni XXIII. Uomo di grande carità e mitezza Paolo
VI non riuscì ad inserirsi in pieno nel mondo dei mass media, spesso poco
ben disposti nei confronti della sua figura.
Il Concilio Vaticano terminava l'8 dicembre 1965; cominciava quella che
molti, forse impulsivamente, consideravano una nuova era della storia della
Chiesa Romana. Papa Montini fu da una parte prudente in talune aperture
d'ordine disciplinare o ecumenico e fu dall'altra molto sensibile ai
problemi del Terzo Mondo e della pace mondiale. Ci basta qui ricordare e
considerare la lettera enciclica "Populorum Progressio" del 26
marzo 1947 che ben si colloca accanto a quel coraggioso documento conciliare
che è la "Gauduium er Spes" del 7 dicembre 1965)
Quella di Montini fu una successione difficilissima, perchè, lui uomo di
curia, non possedeva la simpatia e il calore di quel "curato di
campagna" com'era papa Roncalli.
Fu sempre considerato, gelido, amletico, dubbioso e pieno di tormenti, tanto
da essere soprannominato "Paolo il Mesto" giocando sulle parole
"Paolo Sesto".
Dopo - le prime in assoluto - uscite di Papa Giovanni dalle mura vaticane
per recarsi fuori Roma, fu proprio Paolo VI ad inaugurare l'usanza dei
viaggi anche all'estero, in ogni angolo del mondo.
Ma è anche il Papa che si è trovato a dover gestire i momenti più
difficili e delicati del dissenso cattolico in Italia. Compresi tutti gli
altri fermenti dentro la società contemporanea.
Ma alcuni di questi fermenti avvengono proprio nella Chiesa: veri e propri
atti di ribellione dei fedeli - senza precedenti - alla struttura gerarchica
e al potere della Chiesa che abbiamo accennato negli scorsi anni (Don MAZZI
Vedi 1963, don MILANI dal 1961 in avanti, e don GIUSSANI - 1967 Vedi nella
Quarta parte).
Da non dimenticare infine, col suo tradizionalismo ortodosso, nonostante
tanti slanci di solidarismo, il travaglio vissuto da Paolo VI, nell'impervio
cammino di due importanti e storiche leggi di questo periodo: quella del
divorzio e quella dell' aborto. Si evitarono le vere e proprie "guerre
di religione" nelle piazze (consenzienti anche i comunisti), ma le
battaglie dentro le segreterie dei partiti furono all'ultimo sangue; le più
feroci dentro lo stesso partito che aveva emblema proprio la croce
cristiana. Paradossalmente i democristiani temevano di perdere
elettorato, mentre i comunisti pure.
Entrambe le due questioni, e soprattutto poi i risultati, hanno addolorato
profondamente Paolo VI, Lui che voleva ad ogni costo avere un dialogo
proprio con "il popolo di Dio" del mondo contemporaneo indicatogli
da Giovanni XXIII (soprattutto con il contenuto della enciclica Mater et
magistra e con la temeraria Pacem in terris, in cui fece crollare muraglie e
preconcetti secolari appellandosi a intese e collaborazioni con i non
credenti) dovette vivere il periodo forse più drammatico della Chiesa sul
piano non solo dottrinale ma etico. Una sua frase esprime in un modo non
solo metaforico questo grande travaglio: "Aspettavamo la primavera ed
è venuta la tempesta". (il 26 marzo del 1967 Paolo VI aveva promulgato
l'enciclica Populorum pregressio, chiaramente impostata sulla base offerta
dalle due grandi encicliche giovannee. Vi ribadiva la "questione
sociale" (persona umana, lavoro, proprietà) che riconsiderava alla
luce delle nuove dimensioni "che è oggi mondiale".
La lettera apostolica "Octogesima Adveniens del 1971, rivela
ultetriormente la condanna dell'ideologia marxista e del liberalismo
capitalistico, ma anche la sua sensibilità sociale. Particolare coraggio e
spirito pastorale animerà poi Paolo Vi nella questione della
regolamentazione delle nascite (Eniclica "Humanae Vitae") e del
problema della fede e dell'obbedienza alla gerarchia.
Uno dei momenti forti del suo pontificato fu l'anno giubilare, Anno Santo
indetto nel 1975, che portò circa 8.500.000 di pellegrini a Roma.
Preoccupato delle dissidenze di destra e di sinistra in seno alla Chiesa,
pervenne infine alla sospensione a divinis del vescovo tradizionalista M.
Lefebvre e alla riduzione allo stato laicale dell'ex abate di San Paolo don
Franzoni, fondatore di una Comunità di base di ispirazone socialista.
L'ultimo periodo della sua vita, reso difficile da una salute malferma, fu
poi rattristato profondamente dal rapimento e poi uccisione del suo amico
fraterno Aldo Moro.
In quei drammaticoi giorni del sequestro intervenne con un accalorato
appello lanciato ai sequestratari di Moro, e poi alle sue esequie apparve
addolorato e visibilmente sofferente.
L'ultima volta che apparve in pubblico fu proprio per i funerali di Moro. Ma
fu anche molto criticato da un certo clero che gli rimproverò fino
all'ultimo questi suoi "atteggiamenti" e di aver voluto portare la
sua pietà a un uomo ribelle come Moro.
Il cardinale Siri (il "papa non eletto" come suo successore per
soli 4 voti, che andarono invece a Wojtyla) era il più irriducibile nemico
di Aldo Moro.
Lo accusava di fare dei grossi e gravi danni alla Democrazia Cristiana.
" I fedeli che pensano di essere con lui sulla rotta di Cristo, poi di
fatto si trovano sulla rotta di Marx" e aggiungeva "sulla
questione, (i flirt con i comunisti) Moro è sfuggente, così evasivo e
sgusciante che mi verrebbe voglia di dargli un pugno in faccia. Me lo
impedisce la mia veste".
Anselmi il direttore dell'ANSA, racconta in un suo recente
"Diario", che quando nel '78 gli comunicò il rapimento di Moro,
il cardinale gli rispose: "Ha avuto quel che si meritava". Infine
criticò aspramente la decisione di PAOLO VI quando partecipò ai funerali
dello statista ucciso: "Neppure il Papa dei Borgia si recò alle
esequie del figlio Giovanni ucciso da Cesare".(Espresso n. 20, anno
XLIV).
Paolo VI, oltre alle scatenanti dispute politiche (e nelle due leggi sopra
accennate si andò molto vicino a una vera e propria "guerra di
religione" - che temeva persino il PCI) venne a trovarsi nel bel mezzo
del "dissenso cattolico", dove la Democrazia Cristiana non
prendeva più ordini dalla Chiesa (*); dove c'era l'esodo di un terzo dei
sacerdoti e delle religiose, e i giovani dell'Azione Cattolica da 3 milioni
erano scesi a seicentomila.
(*) A tale proposito, Pio XII lo aveva "tristemente" presagito -
Vedi COLLOQUI CON GEDDA)
Molti - perfino i figli di grossi esponenti della DC - sono entrati nelle
file della sinistra, in quelle più estremistiche e perfino nei gruppi
terroristici. L'intellighenzia clericale (come il CIRCOLO MARITAIN Vedi 1967
Quinta parte) e diversi cattolici praticanti abbandonano in massa le chiese,
come nel caso di Don Milani e Don Mazzi, e clamorosamente perfino i
seminaristi di Verona e 91 preti di Firenze esprimono al prete dell'ISOLOTTO
- il "grande ribelle" - e alla sua comunità, piena solidarietà
con polemiche antitesi nei confronti della vecchia gerarchia
ecclesiastica, del tutto assente ai problemi reali; che scambiano molto
frettolosamente i fermenti delle piaghe sociali come delle "minacce
marxiste"; come le va etichettando la destra. Ma i ribelli non le
esternarono solo in piazza queste antitesi, ma scrissero al Papa; e Paolo VI
rispose di suo pugno, ma per nulla sintonizzato a quegli umori e a quei
disagi. Anche lui, in parte segue la linea di Pio XII che consigliava Gedda
"di non attaccare le destre perché non diventino a loro volta
anticlericali" (L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite, pag.147)
Non era mai accaduto nella storia della Chiesa che, mentre un cardinale
celebrava la santa Messa, i parrocchiani uscissero per protesta dalla
chiesa. Fu una lacerazione che ebbe poi un seguito, politicizzato, come la
nascita del Socialismo cristiano, il "progressismo cattolico"; e
infine lo sconquasso dell'ecumenismo conciliare. Fin dall'annuncio, il
Concilio Vaticano II, era stato osteggiato dai conservatori e criticarono
Giovanni XXIII, poi convinti che morto lui non se ne sarebbe più parlato,
ci fu la grande delusioni con l'avvento di Paolo VI. Infatti Papa Montini
riaprì i battenti, e le critiche si riaccesero.
Tempi colmi di tanta amarezza quelli di Paolo VI, che coincidevano con i
presagi del "segreto" di FATIMA, che non volle mai divulgare per
non allarmare e angosciare ancora di più i credenti, creare disillusioni
nella Provvidenza divina. (vi rimandiamo al 18 ottobre del 1997, per saperne
qualcosa di più)
Se Pio XII aveva molto sofferto intellettualmente per la guerra mondiale,
prima, durante e dopo (e le polemiche su certi atteggiamenti non sono finite
nemmeno nell'anno 2000), Paolo VI ( quand'era alla Segreteria- zittito dai
nazisti in modo molto esplicito e con i ricatti) ha molto sofferto
fisicamente anche lui per la Chiesa e soprattutto per l'intera società di
questi ultimi anni: quella "finalmente", dissero in molti,
"libera". Libera ma senza alcun altro punto di riferimento, allo
sbando, con la politica di ogni schieramento, laico, marxista, cattolico,
avviata su strade - pur con un retroterra culturale impregnato di ideologie
storicamente diverse o meglio fino a pochi anni prima formalmente e
sostanzialmente divergenti - che ora tutte viaggiavano in parallelo verso la
stessa direzione, ognuna impegnata ad allargare il proprio "nuovo
regno" senza andare per il sottile.
Evitando di usare il termine "materialistico" di concezione
marxistica, il punto di arrivo di questo percorso (breve perchè accaduto
tutto in pochi anni) è la nuova "dottrina" dei nuovi
"sacerdoti" che stanno prepotentemente indicando,con ogni mezzo a
loro disposizione, quello stile di vita i cui comportamenti stanno
valorizzando il "dogma" del consumismo e spingono le masse alla
ricerca, come oggetti di "culto", solo ai beni e ai piaceri
materiali. E nello spingere premono sull'antagonismo banale come se
l'oggetto voluttuario fosse necessario, indispensabile e vitale, "da
possedere se vuoi valere", "per pochi ma non per tutti", o
bestemmie etiche come queste: "che vita é se non hai questo... o
quello..." ....insomma tutti esposti alla turlupinatura con una
incessante ripetizione per abbattere tutte le fortezze della difesa mentale
di quella massa giovane che biologicamente da sempre ha sempre avuto bisogno
di un certo periodo di tempo per essere pronta ad apprendere realtà
oggettive, per poi farsene una soggettiva.
La responsabilità non va ai giovani di questa generazione e nemmeno a
quell'abisso generazionale che la divideva da quella precedente, ma semmai
proprio a quest'ultima, a quella dei padri, abili nell'applicare un metodo
molto semplice: di mettere in moto circuiti mentali lineari (di facile
associabilità) dopo che per migliaia di volte le sono state ripetute le
nozioni più semplici. "Divertitevi così", "vivete così",
"amate così", "agite così", "questi sono i
desideri di tutti", e perfino "ribellatevi così". (Hitler
per diventare dittatore adottò anche lui questo metodo - scrive Max Amann).
Come in tutte quelle passate, anche la generazione di questi anni sta
assaporando la sua gioventù come un momento bello da vivere in tutta la sua
pienezza. Ha solo il torto di essere nata in un periodo in cui le invenzioni
dei padri, finora non sfruttate, hanno reso tutto mobile e consumabile,
facilmente prendibile e godibile, e hanno procurato mille alternative di
svago: auto, moto, radio, cinema, televisione, sport, musica, dischi, ecc.
che letteralmente esplodono dentro la società modificandola alla sua base
prima ancora di ogni indicazione politica e religiosa. A dominare è quella
economica. E' questa, quella che indica la direzione di marcia su strade
facili a dieci corsie, mentre gli altri -quelli che dovrebbero essere i veri
maestri - sono tutti impegnati a districarsi in viottoli di campagna su
questioni banali, o peggio, a fare solo i propri interessi nei vari
"feudali" collegi.
Quindi spontanea promiscuità, vita di relazione facilitata, e in
queste inviando forti stimoli all'antagonismo (latente ma innato in ogni
specie, perfino in quella animale) con qualunque mezzo a disposizione,
quindi maggiore libertà, e senza nessun controllo. Ognuno è ormai libero
di offrire l'imprinting che vuole, che spesso è legato solo ai propri
interessi economici.
In questa spinta più genetica (perchè spontanea) che educativa, alcuni
abili individui che proprio giovani non erano, hanno intuito la possibilità
di gestire queste libertà e hanno pensato di sfruttarle per il proprio
vantaggio economico. L'industria, l'informazione, gestita dagli adulti ha
costruito certe idee fisse (la tecnica è quella del martello col chiodo- a
piccoli colpi, ma continui) fino a esasperare i consumi. Il mito dei giovani
nasce in questi anni, ma è costruito dagli adulti che sono abili a
gonfiarlo come un pallone; la pubblicità di questi anni è indirizzata
quasi totalmente ai giovani, tutto quello che deve essere venduto diventa
improvvisamente giovane. Una ubriacatura che investe anche quelli che non
erano più giovani.
Senza l'abile e il furbo architetto Epstein, i Beatles sarebbero rimasti
nella cantina di Liverpool, senza il sessantatrenne Max Freedman, Bill Haley
non sarebbe nato il rock; senza Crocetta il Piper non sarebbe mai nato a
Roma, e senza Bernardini, la Bussola (i due nuovi "templi"
"sacri" per eccellenza in questi anni). Senza lo stagionato
Valletta la Fiat non avrebbe avuto la forza di andare su quella strada cui
nessuno "giovane" manager credeva possibile avventurarsi: fare
"l'auto di massa" destinata a una "massa di denutriti,
ignoranti e straccioni italiani", che mangeranno pane e mortadella per
anni e faranno debiti, pur di "farsi la macchina", "farsi il
frigorifero", "farsi la Tv", ecc. Perchè questo era il nuovo
"vangelo" che veniva dai nuovi "pulpiti".
E' insomma una società che ha avuto (in soli venti anni) il più storico e
strabiliante cambiamento da Costantino in poi: diritto della famiglia,
divorzio, aborto, liberazione della donna, consumismo voluttuario, che
coincide con una stagione congiunturale favorevole e improvvisa, in tutto il
mondo occidentale. Ma purtroppo lasciata all'individualismo e
all'antagonismo più selvaggio, con molti esempi che verranno dall'alto.
Spesso non sanno nemmeno i protagonisti verso dove corrono e per che cosa
corrono. Molti soggetti, di queste libertà non sono poi rimasti appagati,
seguitano a cercarle con tanta angoscia e vivono una perenne depressione,
pur avendo soddisfatto ogni capriccio nello stile di vita delle
"cicale", che i nuovi "profeti" della
"comunicazione" con le loro nuove "dottrine" hanno
insegnato loro: di "non desiderare ma prendere", e spesso ad ogni
costo e con qualsiasi compromesso che però provocano delle lacerazione
interiore postume. Per poi scoprire i più "fortunati" (ma alcuni
non lo scopriranno mai) che ciò che hanno preso non è un possesso, ma che
é la "cosa" che si è impossessata di loro. Quelli
"sfortunati" invece, quelli che non pensavano al domani ma
all'immediato facile e demagogico "banchetto", dopo aver
contribuito al "miracolo" si sono ritrovati in questi anni 2000
con una pensione da fame. (3.742.000 nel 1998 percepiscono una pensione di
342.000 lire, 3.123.000 di 730.000 lire. E sono gli stessi che in un modo o
nell'altro - anche lavando i cessi o facendo i facchini- hanno contribuito
al "miracolo economico").
La "Morale" divulgata in questi anni da questi adulti,
"produttori" e "registi" di questo
"spettacolo" chiamato "mercificazione dei rapporti umani dei
valori e della dignità" le cui "locandine" le abbiamo
anticipate lo scorso anno, fu una delle peggiori morali.
Nei gangli dello Stato iniziano a muoversi personaggi (non giovani!) che
"pensano" e agiscono convinti che ogni uomo abbia un prezzo, e
cartesianamente non "pensano" che... il solo "pensarlo"
inconsapevolmente dichiarano a se stessi e agli altri di essere loro stessi
in vendita, che hanno un prezzo, e che proprio per questo, moralmente spesso
perfino i vestiti che indossano messi a confronto con la loro dignità hanno
un valore superiore. (Quando scoppierà negli anni Novanta Tangentopoli,
molti italiani se ne resero conto. Fanfani all'indecoroso spettacolo offerto
dalla Tv, fu lapidario "La colpa è nostra! Abbiamo allevato degli
uomini mediocri").
Non meraviglia dunque, se la Populorum pregressio di Paolo VI sia rimasta
inascoltata, diventata perfino fastidiosa nel nominarla, compreso il suo
autore. Che anche come papa "Paolo il mesto" fu subito
dimenticato.
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