In vita, in morte o in beatitudine Giovanni Mastai Ferretti continua ad essere oggetto di accese esaltazioni e di odi profondi. Tra il 1846 e il 1848 incarnò le prime speranze risorgimentali, ma alla storia è passato come irriducibile avversario dello stato unitario. Glorificato come "Uomo di Dio" dalla Chiesa, denigrato con toni accesissimi da laici e repubblicani, oggi nel suo nome gli italiani continuano a dividersi tra guelfi e ghibellini.
di ALESSANDRO FRIGERIO
Discendente di famiglie di antica stirpe - i Mastai appartenevano alla nobiltà cremonese, mentre i Ferretti erano conti di Ancona - Giovanni Maria Mastai Ferretti fu il nono figlio del Conte Girolamo e di Caterina Sollazzi. Nacque a Senigallia il 13 maggio 1792 e venne battezzato lo stesso giorno della nascita. Compì gli studi classici nel Collegio dei Nobili a Volterra, diretto dagli Scolopi, ma dal 1803 al 1808, proprio quando sembrava aver ormai deciso di seguire la carriera ecclesiastica, dovette sospendere gli studi a causa di improvvisi attacchi epilettici.
Dal 1814 fu ospite a Roma dello zio Paolino Mastai Ferretti, Canonico di San Pietro, e qui poté proseguire gli studi di Filosofia e di Teologia presso il Collegio Romano. Nel 1815 si recò in pellegrinaggio a Loreto dove ottenne miracolosamente la guarigione dalla malattia. Poté quindi continuare i suoi studi e prepararsi al presbiterato. Nel 1817 ricevette gli Ordini Minori, l'anno successivo il Suddiaconato e il 10 aprile 1819 venne ordinato Sacerdote. Dal luglio 1823 al giugno 1825 fu tra i membri componenti la Missione apostolica in Cile, guidata da Monsignor Giovanni Muzi. A soli 35 anni, il 24 aprile 1827, fu nominato Arcivescovo di Spoleto. Il 6 dicembre 1832 venne trasferito al Vescovado di Imola. Il 14 dicembre 1840 ricevette la berretta Cardinalizia. Il 16 giugno 1846, al quarto scrutinio, con 36 voti su 50 Cardinali presenti al Conclave, venne eletto Pontefice a soli 54 anni. Di lui si sapeva solo che aveva fama di moderato riformista. Ma nel clima di grande aspettativa di quegli anni tanto bastò a farne un idolo per molti italiani.
L'elezione di Pio IX suscitò un'atmosfera di entusiasmo popolare mai provata nei confronti di nessun altro Papa. I patrioti italiani lo acclamarono fin da subito, la folla romana pure. Il 19 luglio 1846, mentre rientrava a palazzo dopo una cerimonia, il popolo stacco i cavalli dalla carrozza papale e la trascinò a forza di braccia fino al Quirinale, tra grida di tripudio e una pioggia di fiori.
Sconfitto in conclave un osso duro come il cardinale Lambruschini, sinceramente avverso alle riforme e al liberalismo, dal giugno 1846 all'aprile del 1848 Mastai Ferretti sembrò incarnare quell'ideale neoguelfo ritenuto utopistico dal suo stesso teorico, il sacerdote Vincenzo Gioberti.
Personaggio dal temperamento un po' nervoso, ma di modi bonari e spiritosi, Pio IX un mese dopo l'elezione concesse un'amnistia generale per i reati politici. Nei venti mesi successivi fu artefice di alcune grandi riforme dello Stato Pontificio: l'istituzione di un Ministero liberale, la concessione di una seppur limitata libertà di stampa, l'istituzione di una Consulta di Stato e di una Guardia Civica, l'abolizione delle discriminazioni contro il ghetto ebraico. Sotto il suo pontificato nello Stato Pontificio si diede il via alla costruzione della ferrovia e alla bonifica delle paludi di Ostia e dell'Agro Pontino. Infine, nel 1848 concesse la Costituzione e consentì al suo esercito di partecipare alle fasi iniziali della prima guerra d'indipendenza contro l'Austria.
Anche Giuseppe Mazzini non rimase immune a quell'entusiasmo: nel 1847 scrisse al Papa una famosa lettera per esortarlo a prendere la guida del movimento per l'unità e l'indipendenza d'Italia.
Analogamente anche altri patrioti. Giuseppe Montanelli così descrive l'infatuazione neoguelfa dopo le prime "rivoluzionarie" aperture politiche di Pio IX: "L'utopia del papato rigeneratore mi schiudeva innanzi mirabile prospettiva, in cui tutti gli affetti di patria, di democrazia, di religione si sentivano copiosamente appagati. Italiano, vedevo finalmente le membra sparte della mia nazione riunite in un sol corpo, e l'anima di questo corpo a Roma, e capo d'Italia il capo di tutta la cristianità".
Tuttavia, ottenuta udienza alla fine del 1847 il Montanelli doveva già in parte ricredersi in merito alla saldezza dei propositi di Pio IX. Il pontefice aveva.... "l'occhio spento, la voce senza vibrazione affettuosa, il discorso più a ironia che a pietà sdrucciolevole […] ora mi appariva un prete di buona intenzione, più nervoso che amante, sbalzato in un mondo nel quale non si raccapezzava, furbetto, alla mano, contento di essere amato, e disposto a lasciarsi andare agli ambiti plausi popolari, più che ai consigli dei cardinali".
Montanelli, allora nella sua fase neoguelfa e democratica, in seguito si sarebbe spostato su posizioni socialiste e federaliste. Tuttavia, anche dopo il fallimento della prima guerra d'indipendenza, cui prese parte come comandante dei volontari pisani, egli volle salvare ugualmente quello scoppio di fervore papale perché nel nome di Pio IX si creò un primo embrione di coscienza nazionale. "Errammo, e nondimeno sia benedetto quell'errore; poiché, senza il 'Viva Pio IX', chissà quando le moltitudini italiane si sarebbero per la prima volta agitate nell'entusiasmo della vita nazionale, della quale, o volere o non volere, serbano oggi scolpita in mente l'immagine che, più presto o più tardi, sarà generatrice del fatto".
Giorgio Candeloro, storico assolutamente immune da simpatie clericali, nella sua monumentale Storia dell'Italia moderna ha scritto che "se è un errore considerarlo un patriota e un liberale e quindi definire un tradimento l'atteggiamento che assunse poi nel '48 nei riguardi della causa italiana, neppure si deve considerarlo estraneo o addirittura ostile, fin dal primo anno di pontificato, alle idee liberali moderate. In realtà […] le idee liberali e neoguelfe erano penetrate nel clero e anche nella prelatura; […] era logico perciò che il nuovo papa inclinasse al moderatismo e al neoguelfismo, sia per tendenza personale, sia per l'influenza esercitata su di lui da alcuni suoi consiglieri".Il fatto è che i primi anni di pontificato di Mastai Ferretti si svolsero in un clima di grandi disorientamento e attesa: la Chiesa, soprattutto con il pontificato di Papa Gregorio XVI (1831-1846), si era rafforzata nella convinzione che i sommovimenti politici e militari che andavano scuotendo l'Europa e l'Italia non costituivano semplicemente la risposta a richieste d'indipendenza e di libertà, ma sottendevano una precisa volontà di scristianizzare popolazioni abituate da sempre a vedere nella religione e nelle tradizioni locali i caratteri costitutivi della propria civiltà.
Incline al moderatismo ma figlio del potere temporale e del tradizionalismo religioso, Pio IX nel 1848 assumerà atteggiamenti equivoci che lo faranno in seguito passare alla storia come il "traditore" della causa risorgimentale.
Equivoci e malintesi che toccarono il culmine con il famoso proclama del 10 febbraio 1848. Interpretato come un squillo di guerra dei popoli italiani contro gli oppressori stranieri, si trattò invece di una invocazione alla pace dello Stato Pontificio garantita, se fosse stato necessario, da armi straniere. A fare chiarezza definitiva giunse l'allocuzione del 29 aprile con cui il Papa - forse indotto dai gesuiti a scegliere una politica più tradizionalista o forse per sfuggire a una strumentalizzazione della parte liberale, ormai sempre più orientata verso una unificazione centralista e non federalista - dichiarò a chiare lettere di voler abbandonare la causa italiana.
Ancora oggi gli storici si chiedono se questa data ha rappresentato un "tradimento" del risorgimento italiano o il crollo di un mito creato artificiosamente per un fine politico. Nelle correnti patriottiche dell'epoca prevalse la prima ipotesi, ma non mancarono uomini che sostennero la seconda. Come Carlo Cattaneo, il quale scrisse che "Pio IX fu fatto da altri e si disfece da sé. Pio IX era una favola immaginata per insegnare al popolo una verità. Pio IX era una poesia".
Una cosa però è certa. Oltre le titubanze e le idiosincrasie del personaggio, era lo Stato Pontificio in sé ad essere incompatibile con le idee liberali, soprattutto in merito alla lotta antigesuitica e alla guerra contro la cattolica Austria. In breve, il moderatismo di Mastai Ferretti aveva limiti ben precisi e invalicabili, oltre i quali né lui né un altro pontefice in quel momento sarebbe potuto andare. Pena l'abbandono di una posizione ormai insostenibile e una involuzione in senso reazionario.
E così fu. Papa Pio IX dovette assistere all'insurrezione che portò alla costituzione della Repubblica Romana del 1848 - con l'assassinio del ministro dell'interno Pellegrino Rossi - che lo costrinse all'esilio di Gaeta. Ritornato a Roma nel 1850 diede vita a una vera e propria restaurazione politica, alla quale fece seguire una intensa opera religiosa (basti ricordare la definizione del dogma della Immacolata Concezione). Nell'aprile del 1860 caddero le Legazioni, nel settembre le Marche e l'Umbria furono annesse al Regno d'Italia.
(vedi qui l'enciclica del 19-1-1860 - CONDANNA DELLE USURPAZIONI )
Lo scontro con l'Italia giunse all'apice con la conquista di Roma e la fine della sovranità temporale dei Papi, passata indenne attraverso le alterne vicissitudini di mille anni di storia. La resistenza del Papa - che ordinerà agli zuavi un'opposizione formale allo scopo di evitare inutili spargimenti di sangue, nonostante pochi giorni prima avesse mandato a dire a Vittorio Emanuele II "che in Roma non entrerete" - rispondeva alla duplice esigenza di garantire alla Chiesa gli spazi minimi necessari per esercitare il suo ministero in piena libertà e alla volontà di difendere l'integrità e la sacralità della città di Roma, patrimonio di tutta la cristianità.
Ma il contrasto di fondo tra il Papa e lo Stato unitario non era solo in merito al potere temporale. Pio IX e Vittorio Emanuele II non erano due sovrani in lotta per una conquista territoriale. Quel che divideva i due personaggi era un profondo contrasto ideologico. Pio IX vedeva incarnato dal Regno d'Italia il peggiore spirito del secolo, lo spirito che attingeva al razionalismo e all'immanentismo, che faceva appello alla ragione contro la fede. In breve, il lascito più consistente e duraturo della Rivoluzione Francese.
Nell'enciclica Quanta cura, del 1864, che conteneva in appendice il famoso Sillabo degli errori del nostro tempo, il pontefice non lasciava alcuno spazio al compromesso. Occorreva resistere, ammoniva: "alle nefande macchinazioni di uomini iniqui, che schizzando come i frutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie, e promettendo libertà mentre che sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli e coi loro scritti dannosissimi, si sono sforzati di sconquassare le fondamenta della cattolica religione e della civile società, di levare di mezzo ogni virtù e giustizia, di depravare gli animi e le menti di tutti […] e massimamente la gioventù inesperta e di guastarla miseramente, di attirarla nei lacci degli errori, e per ultimo di strapparla dal seno della Chiesa cattolica".
Ma non è tutto. Nella stessa enciclica Pio IX stabiliva un legame tra le dottrine laiche e liberali e il "funestissimo errore" del comunismo e del socialismo, frutto di una uguale concezione della vita immanentistica e razionalistica. Come ha notato Giovanni
Spadolini, è singolare "che il Papa condanni socialismo e comunismo non come dottrine economiche e neppure politiche, ma come concezioni della famiglia, come visioni della morale domestica antitetiche a quella cristiana, come strumento ""per ingannare e corrompere l'improvvida gioventù"", staccandola dal dominio della Chiesa e subordinandola ai soli interessi della vita sociale". Quel che la Chiesa non poteva tollerare era la libertà di culto e il concetto di libera Chiesa in libero Stato. Continua Spadolini: "Nessuno Stato può sopravvivere, nella visione del Papa, senza il conforto, l'illuminazione e la guida della Chiesa, depositaria di una verità assoluta e perenne".
Ulteriore elemento di acredine era poi l'interferenza dell'autorità laica nelle cose religiose e l'appoggio dato dallo Stato alle associazioni di stampo clerico-liberale. Anche la legge delle Guarentigie non smorzò i termini del contrasto. "Che giova proclamare l'immunità della persona e della residenza del Romano Pontefice -si chiedeva Pio IX - quando il governo non ha la forza di guarentire dagli insulti giornalieri cui è esposta la nostra autorità, e dalle offese in mille modi ripetute alla nostra stessa persona?".In effetti dopo Porta Pia il clima divenne vieppiù incandescente, e all'integralismo cattolico andò ad opporsi un integralismo laico altrettanto intransigente. I circoli liberali ritenevano ogni tentativo di organizzazione dei cattolici come una manovra contro la nazione, mentre ci fu chi si chiese se fosse ancora lecito considerare i cattolici cittadini con pari diritti e doveri. Garibaldi, che già aveva definito Pio IX "un metro cubo di letame", suggerì nel 1873 che se "nessuna libertà vi deve essere per gli assassini, i ladri, i lupi e i compagni: ebbene, i preti non sono forse più dei lupi e degli assassini nocivi al nostro paese?".
( qui un altro brutto proclama di GARIBALDI )
La fine traumatica del dominio temporale del papato e l'esplosione del conflitto fra la Chiesa e il nuovo Stato unitario italiano, noto come Questione Romana, assunse una gravità tale da produrre nel corpo sociale una lacerazione che verrà risanata diplomaticamente e giuridicamente, ma non culturalmente, solo nel 1929 con la stipulazione del Concordato e dei Patti Lateranensi.
A Pio IX toccò vivere questa lacerazione fino in fondo e anche dopo la morte, avvenuta il 7 febbraio 1878 nei Palazzi Vaticani, dai quali non era più uscito dopo il 20 settembre 1870. Il 13 luglio 1881 durante il trasporto della salma da San Pietro alla basilica di San Lorenzo per la sepoltura definitiva il corteo fu assalito da dimostranti massonici. Il carro fu sospinto dai facinorosi verso il parapetto del ponte Sant'Angelo al grido di "A fiume il papa porco", con contorno di canzoni ingiuriose o patriottiche. I cardinali del seguito sfuggirono a stento a una sassaiola e la salma giunse al Verano solo a tarda notte.
Del processo di beatificazione di Pio IX si iniziò a parlare solo molti anni dopo questi accesi furori. Nel 1907 venne introdotta la causa di beatificazione, che giunse a una fase decisiva negli anni '80. Con un decreto del 6 luglio 1985, la Congregazione delle Cause dei Santi ha riconosciuto l'eroicità delle virtù del Servo di Dio Papa Pio IX, al quale è attribuito il titolo di Venerabile. È il primo passo sulla strada dell'elevazione di Giovanni Maria Mastai Ferretti all'onore degli altari, avvenuta nel settembre di quest'anno. "Come Sacerdote, come Vescovo e come Sommo Pontefice - si legge nel decreto - il Servo di Dio, senza interruzione e in modo continuo, apparve e fu veramente "Uomo di Dio"; uomo di preghiera assidua, senz'altro desiderio che la gloria di Dio, il bene della Chiesa e la salvezza delle anime; e non cercava niente altro se non compiere in tutte le cose la volontà di Dio e a quella aderiva con tutta l'anima, per quanto grandi fossero le sofferenze che doveva sopportare. Questo solo fu sempre la regola principale della sua vita e della sua attività pastorale. Mirando solo a questo, egli cercò di risolvere problemi talvolta difficilissimi che nel più alto ministero pastorale non raramente fu costretto ad affrontare".
Per capire al meglio Pio IX e la sua opera sacerdotale, ha scritto lo storico di matrice cattolica Roberto De Mattei, "occorre affrontare di petto il nodo centrale del suo pontificato, ovvero il problema del rapporto tra società e individuo, tra Chiesa e Stato o, in termini più pregnanti, tra politica e morale. […] Si tratta di un problema che affonda le sue remote radici nell'Italia rinascimentale, quando con Machiavelli, la politica si emancipa dalla morale per farsi mera tecnica del potere e la ragion di Stato diviene il criterio supremo degli uomini di governo. Cavour, che con cinica spregiudicatezza utilizza ogni mezzo per perseguire il fine dell'unificazione nazionale, personifica la concezione machiavellica della politica, fondata su una radicale autonomia della politica dalla morale. Il conte piemontese è in questo senso, come ha osservato Gramsci, non solo l'erede più coerente di Machiavelli, ma il vero "giacobino d'Italia", legittimo precursore dei "rivoluzionari di professione" del XX secolo che risolveranno, secondo la nota formula di Lenin, la politica nella morale. La cultura italiana post-risorgimentale, in nome della autonomia dalla morale, ribattezzata come "laicità", continuò a perseguire un progetto di secolarizzazione, descritto dallo stesso Gramsci come una "completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume", ovvero come "lo storicismo assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia"."A questa visione culturale - continua De Mattei -, egemone in Italia dopo l'unità, Pio IX contrappose una "scelta religiosa" che costituisce la chiave di lettura del suo pontificato. Egli combatté il processo di secolarizzazione della società che negava ogni azione di Dio sull'uomo e sul mondo e riconnettendosi ad una filosofia politica che attraverso Vico giunge a Dante e a san Tommaso d'Aquino, considerò politica e morale, ordine temporale e ordine spirituale, come realtà distinte ma non separate, cercando tra queste due sfere un equilibrio che non ne intaccasse i princìpi. […] Egli considerò, in tale prospettiva, il potere temporale come un mezzo ordinato al fine supremo, soprannaturale della Chiesa, maestra di fede e di morale anche nell'ordine civile e sociale".Un altro storico di estrazione cattolica, Franco Cardini, ha ricordato invece che "elevando
Pio IX al rango di beato la Chiesa non ha avallato dal punto di vista storico e politico nemmeno uno dei suoi atti di governo, il giudizio sui quali spetta, appunto, alla storia. Essa ha semmai dato ragione al giudizio di uno studioso e uomo politico laicista doc, Giovanni Spadolini, secondo il quale Pio IX fu uno dei pontefici meno "politici" e più profondamente fedeli alla missione spirituale della Chiesa che la storia del papato abbia mai conosciuto".
Fatto sta che la recente beatificazione ha suscitato negli ambienti politici italiani, soprattutto in quelli contrari, reazioni d'altri tempi. "Finalmente l'integralismo cattolico esce dalle ambiguità e mostra la sua identità profonda", così i repubblicani dell'Emilia-Romagna si sono espressi su Pio IX, "distintosi a suo tempo per il dogma dell'infallibilità ed il disinvolto utilizzo della ghigliottina.
Il Partito repubblicano emiliano-romagnolo, dopo aver evidenziato la nuova "ideologia antirisorgimentale" di Comunione e liberazione, ha invitato tutti i circoli repubblicani d'Italia a esporre le proprie bandiere listate a lutto nel giorno della "beatificazione del capestro sacerdotale". "È bene che i nostri avversari abbiano cominciato a far sventolare la loro bandiera - scrivono gli esponenti regionali del Pri - perché sapremo finalmente contro chi dobbiamo combattere. È un bene che la reazione sia reazione, che si espliciti, che segni una demarcazione, che dica la verità. Ben venga la beatificazione se serve a chiarire, se serve a indignare, se può risvegliare un popolo che si è addormentato sugli allori della laicità ufficiale di uno Stato che fino in fondo laico non lo è stato mai".
Ugualmente inviperiti i nipotini di Mazzini, capitanati dal presidente dell'Associazione mazziniana romana: "La beatificazione di questo Papa è un'offesa alla morale. Com'è possibile beatificare l'uomo che ha provocato la morte di centinaia, forse migliaia, di persone? Lo considero un colpo all'Italia". E alla replica di chi asserisce che la morale di quasi un secolo e mezzo fa, fosse diversa dall'attuale risponde: "Poche storie! L'idea dei diritti umani, la sacralità della persona, il diritto dei popoli a disporre del proprio futuro non erano bagaglio d'uno sparuto gruppetto di uomini di cultura. Si trattava di idee che muovevano le masse e ciò spaventava enormemente Pio IX".
Un senatore Ds, per protesta, è andato a depositare una corona davanti alla lapide affissa al portone delle carceri della Rocca di Forlì. La lapide, infatti, è dedicata agli eroi garibaldini fatti fucilare proprio da Pio IX. "Il mio gesto, ha affermato, vuol essere una risposta allo scempio che dal palcoscenico del Meeting di Rimini si vuol far cadere sul nostro Risorgimento e su quanti si sono battuti per l'unità d'Italia, primi fra tutti Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso di Cavour".
Più caute le reazioni di parte liberale, di quella parte, per intenderci, che più litigò con Pio IX. La beatificazione, affermano gli eredi della tradizione liberale cavouriana, non può essere considerata una scelta politica, perché è intrinsecamente religiosa, anche se ha un significato culturale pure per i non cattolici. Certo, il Sillabo conteneva anche affermazioni di rilievo non religioso, ma politico, mentre il rapporto fra cattolici ed ebrei è stato pienamente risolto solo con Giovanni Paolo II. Tuttavia, concludono i liberali di oggi, la domanda che ritorna è: può un Papa antiliberale essere beato? Un interrogativo che non compete e non riguarda i laici liberali.
Un deciso pollice verso contro Pio IX è giunto invece da parte della Massoneria. La beatificazione ha suscitato "profonda inquietudine" nel Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. "Questa beatificazione innalza a simbolo etico universale un uomo tetragono ad ogni forma di evoluzione e di progresso, tenacemente ostile al mondo moderno e per di più espressione degli interessi solo temporali della Chiesa". E continua: "Come massoni, come uomini liberi esprimiamo il nostro profondo rammarico per questa inopinata esaltazione di un uomo-simbolo del potere temporale, la cui beatificazione sembra preludere ad una svolta nella politica di comprensione reciproca e di pur cauta apertura fino ad ora condotta dalla volontà irriducibile di papa Wojtyla". "Tutto ciò - conclude il Gran Maestro - pone un enorme interrogativo sulle effettive finalità giubilari e sul magistero dell'attuale pontefice... Non può non intravedersi un chiaro disegno tendente a riaffermare un antistorico primato della Chiesa cattolica sull'imperium civile".
Perplessità sono state manifestate anche in ambito cattolico. Alcuni teologi progressisti hanno accusato Giovanni Paolo II di far beato un Papa "assolutista" e "antisemita". Contro si è pronunciato padre Giacomo Martina, gesuita settantaseienne, professore di storia della Chiesa moderna all'Università Gregoriana: "Questa beatificazione non mi pare la cosa più opportuna. Nei primi anni del suo pontificato Pio IX aveva troppo confuso la politica con la religione. In fondo era un emotivo che si era lasciato trascinare dal '48".
E poi c'è il mondo ebraico. Il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane ha voluto ricordare ciò che questo Papa è stato per gli italiani: "Dopo una prima fase, è stato duramente antinazionale e ha stabilito l'infallibilità del Papa, principio preoccupante per gente come noi abituata a discutere e a confrontarsi. Ma è stato anche il responsabile del caso Mortara (un bambino ebreo di Bologna sottratto alla famiglia perché battezzato di nascosto dalla domestica), che ha portato tanto dolore nelle nostre comunità".
(vedi qui Pio IX E IL CASO MORTARA)
Fin qui le polemiche per la beatificazione del 3 settembre, successivamente riprese e alimentate in occasione della ricorrenza di Porta Pia. Sorprende piuttosto che attorno alla controversa figura dell'ultimo Papa re, e al principio di libera Chiesa in libero Stato, gli italiani tornino ancora una volta a dividersi accanitamente in guelfi e ghibellini. La storia continua ad essere il nostro futuro preferito.
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