ANNIBALE SERMATTEI
DELLA GENGA nacque a Genga presso Fabriano (Ancona) il 20 agosto 1760 dal
Conte Flavio e dalla contessa Maria Luisa Periberti di Fabriano. Fu il sesto
di dieci figli. Compì gli studi nel collegio Campana di Osimo e nel
collegio Piceno a Roma e, successivamente, nel Seminario dell'Accademia
Ecclesiastica. Il 4 giugno 1783 fu ordinato sacerdote. Pio VI, che ebbe per
lui una stima e una particolare affezione, provvide nel 1794 a nominarlo
vescovo di Tiro e a inviarlo Nunzio Apostolico in Germania a Lucerna e
Colonia, presso la dieta germanica del 1805.
L'intervento di Napoleone
fece fallire le sue trattative con la Baviera. Stesso destino per le
trattative a Monaco e Stoccarda con il governo del re Federico I del
Wurttemberg nel 1806-1807.
Fu Nunzio Apostolico a Parigi nel 1808 dove
si scontrò con il cardinal Consalvi. Stessa sorte fallimentare anche per la sua
missione a Bratislava, nel tentativo di una conciliazione con Napoleone e,
quando quest'ultimo fece occupare Roma, Annibale si rifugiò a Monticelli dove
sperava di poter vivere il resto dei suoi giorni; e in questa convinzione
preparò perfino la sua pietra tombale con il relativo epitaffio ancora oggi
visibile. Tuttavia diversamente era stato disposto a suo riguardo e Pio VII, nella nomina di 21 cardinali del 1816, incluse anche il suo nominativo.
Poco dopo fu nominato Vescovo di Senigallia, ma dovette rinunciare
all'incarico nel 1818 a causa delle precarie condizioni di salute. Nel 1820 fu
nominato vicario per la città di Roma.
Il 20 agosto del 1823 moriva Pio
VII e il 2 settembre 49 dei 53 cardinali di cui si componeva il Sacro Collegio
si riunirono in Conclave. Questo risultò diviso in due partiti: quello degli
'zelanti' filo-austriaci capitanato dai cardinali ALBANI, DE GREGORIO, DELLA
SOMAGLIA, FALZACAPPA, PALLOTA, TESTAFERRATA, e quello dei 'moderati' guidato
dai cardinali CONSALVI, PACCA, AREZZO, MOROZZO. I due gruppi, come influenza,
si equivalevano. Il Conclave durò 26 giorni. Sembrava che la scelta del nuovo
pontefice dovesse cadere sul cardinale SEVEROLI, che il 21 settembre aveva
avuto 26 voti, quando il cardinale ALBANI, in nome dell'Austria, lo dichiarò
non eleggibile. Altri votati furono i due antagonisti per eccellenza: il
Somaglia e il Consalvi.
Il 27 settembre, al 51esimo scrutinio, il
cardinale ANNIBALE DELLA GENGA raccolse 34 voti, grazie all'arrivo di nuovi
cardinali filo-austriaci, e fu eletto papa con il nome di LEONE XII. Fu
solennemente incoronato il 5 ottobre. Il nuovo pontefice non confermò alla
carica di segretario di Stato il cardinale Consalvi, essendo ostile alla sua
politica cautamente riformatrice. Questi cessò di vivere quattro mesi dopo, il
24 gennaio 1824, a 69 anni di età. Al suo posto Leone XII scelse il
cardinale GIULIO MARIA DELLA SOMAGLIA, uomo politico avverso ad ogni forma di
liberalismo e di rinnovamento. Provvidenzialmente guarito da una malattia
mortale, sul finire del 1823, da san Vincenzo Maria Strambi, suo consigliere
personale che si offrì al suo posto, Leone XII enunciò il suo programma di
restaurazione della fede, di lotta all'indifferentismo religioso, di condanna
del liberalismo e delle “sette” nell'enciclica 'Ubi primum' del 5 maggio
1824.
Uno dei primi passi fu la nomina, nel 1824, del cardinale
AGOSTINO RIVAROLA il quale aveva già una pessima fama: quella di essere un
intransigente. A poche ore dalla nomina, fu inviato in Romagna con pieni
poteri, con il grado di legato straordinario, per poter stroncare, dalle
radici di quella provincia e da altre vicine, tutte le società segrete. Alla
base delle sentenze, prive di ogni regolare procedura, c'erano semplici
indizi. Alla sentenza seguiva poi un bando, con il quale si perdonavano tutti
i settari e si dichiarava che se nuovamente si fossero accostati alle società
segrete, sarebbero stati puniti anche della colpa di cui erano in precedenza
stati assolti; inoltre si minacciava ai capi e ai propagandisti delle sette la
pena capitale e la pena di sette anni di galera per tutti coloro che non
denunciavano i settari. Il 31 agosto del 1825 furono condannati 508 cittadini
(di cui 7 finirono sul patibolo); fra i condannati figuravano nobili,
possidenti, impiegati, medici e chirurghi, avvocati e notai, farmacisti e
flebotomi, ingegneri, veterinari e maniscalchi, studenti, militari, preti,
negozianti, operai ed esercenti piccole professioni o mestieri.
Calmato
il primo impeto, il Rivarola mitigò e perdonò alcune condanne, si adoperò per
comporre le discordie causate dalle fazioni, cercò di riappacificare per mezzo
di matrimoni famiglie nemiche, mandò frati a predicare la pace e la concordia,
ma con la fama che si era guadagnato ottenne poco; quasi nessuno si fidava
della sua ipocrita magnanimità. Per questo motivo ricevette un severo
avvertimento, diventando il bersaglio, nel 1826, di un attentato a colpi di
pistola. Ebbe salva la vita (fu ferito solo il suo accompagnatore), ma
ugualmente rimase sconvolto e intimorito. A quel punto il pontefice richiamò
il Rivarola e al suo posto inviò una commissione speciale presieduta da
monsignor FILIPPO INVERNIZZI, la quale cominciò a perseguitare i settari e,
promettendo impunità ai delatori, riempì le carceri peggio che il Rivarola.
Ma la pietra miliare del pontificato di Leone
XII, che fu
anche l'avvenimento più difficoltoso, fu il grande Giubileo del 1825, volto a
rilanciare la fede cristiana, messa così a dura prova dai tentativi
sovversivi. Dissuaso da tutti per le gravi contingenze dello Stato pontificio
e per la situazione europea a seguito del terremoto napoleonico, Leone XII
rimase inflessibile nella sua decisione e sin dal 1823 iniziò la preparazione
della complessa macchina organizzativa con impavido ardimento. Fra le
iniziative assunte curò la sicurezza delle strade per l'affluenza dei
pellegrini.
Il Giubileo, apertosi solennemente durante i Vespri della
Vigilia di Natale 1824, si risolse in un autentico trionfo per il numero dei
pellegrini e per l'ordine con cui si svolse. In tale occasione il papa riuscì
perfino a far catturare, con l'aiuto prima di monsignor PALLOTTA dai metodi
repressivi e poi del cardinale BENVENUTI maggiormente diplomatico, la
famigerata banda dei briganti di Gasperone il quale si rassegnò a piegarsi con
l'assicurazione di clemenza. Tutti finirono in carcere, ma nessuno ebbe la
morte. Sempre nel 1825 tolse dall'Indice le opere di Galileo.
Nel
1826 emanò dei provvedimenti di carattere pubblico nei riguardi di coloro che
erano sbandati e praticavano la mendicità. Fu consentita la questua solo se i
bisognosi si fossero raccolti sul sagrato delle chiese: questo permise di
controllare i randagi e, con la frequentazione, anche di conoscerli uno per
uno. Meno indulgente fu con gli ebrei a cui limitò la libertà, confiscò
loro ogni diritto di proprietà obbligandoli a commerciare in tempi stabiliti;
ne aggravò la ghettizzazione ordinando che venissero sorvegliati dal santo
Ufficio. Ciò ne favorì l'emigrazione a Trieste, a Venezia, in Lombardia e in
Toscana. Durante il suo pontificato riuscì a compiere alcuni lavori nel suo
luogo di origine, migliorando, fra l'altro, le strade ed eseguì la monumentale
opera del Santuario di Frasassi.
Con il motuproprio del 1824 "Quod
sapientia" creò una suprema Congregazione di cardinali che doveva vigilare
sulle università e su tutte le altre scuole dello stato. Prescrisse che nello
stato le due università primarie di Roma e di Bologna, dovevano essere
presiedute da un arcicancelliere, e le cinque secondarie, Ferrara, Perugia,
Camerino, Macerata e Fermo, presiedute da cancellieri; restituì, infine, il
Collegio Romano ai Gesuiti. Diede, sempre nello stato pontificio, maggiore
potere ai vescovi ampliandone la giurisdizione nei giudizi civili; si dava
loro facoltà di istituire fidecommissi e primogeniture; si prescriveva che le
donne congruamente dotate fossero escluse dalle successioni degli ascendenti e
dei discendenti; si escludeva nei tribunali l'uso della lingua italiana
ripristinando il latino e si restituiva in parte il vecchio sistema di
procedura nell'azione penale.
Per quanto riguarda la politica
economica, mentre in Europa il libero scambio è in questo periodo il tema
dominante, Leone XII gravò i prodotti stranieri di dazi pontifici altissimi
(il costo di uno staio di grano nel regno pontificio, rispetto agli altri
stati della penisola, poteva variare fino a cinque volte in più). E non
essendoci all'intero dello Stato grandi manifatture, industrie, razionali
produzioni agricole, la circolazione delle merci é fortemente penalizzata, i
costi sono altissimi e i consumi bassissimi, la carenza alimentare per
2.600.000 abitanti si fa drammatica, al limite della sussistenza con estesi
fenomeni di malattie legate alla malnutrizione.
La politica estera si
compì tra complesse e confuse difficoltà, data la situazione degli Stati
europei minati alle fondamenta da Napoleone, e che in quei tempi si andavano
assestando e restaurando. Spiacevoli controversie sorte tra la Santa Sede e la
Spagna, a motivo della nomina di Vescovi nelle colonie americane, furono da
lui personalmente risolte con la sua consumata abilità diplomatica. Stipulò
concordati con il Belgio e l'Olanda. Incontrò grandi difficoltà con gli Stati
germanici per la caparbia e pervicace contrarietà dei Protestanti. Cercò di
frenare le tendenze gallicane in Francia e combattè quelle febroniane in
Austria e Germania. Si spense a 69 anni, il 10 febbraio 1829, dopo 6 anni
di pontificato: pochi, ma decisamente molto
intensi.
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