GIOVANNI Lorenzo VINCENZO Antonio GANGANELLI nacque a Sant'Arcangelo di Romagna (Rimini) il 31 ottobre 1705. Entrato nell'ordine dei Conventuali di S. Francesco, si distinse come oratore sacro. Fu anche valente professore di filosofia e teologia. Chiamato nel 1740 a Roma da Benedetto XIV che lo pose a capo del convento di San Bonaventura, riuscì a sottrarsi alla nomina di Generale dell'Ordine. Fu anche consultore del Santo Uffizio; Clemente XIII lo creò cardinale nel 1759.
Alla morte di Clemente XIII, avvenuta il 3 febbraio 1769, si aprì un contrastatissimo conclave tutto dominato dal problema dei Gesuiti, esplicitamente sollevato dagli ambasciatori delle monarchie europee e dai cardinali ad esse legati. Il 19 maggio il cardinale Ganganelli fu eletto come successore di Pietro scegliendo il nome di CLEMENTE XIV.
Uomo di larga umanità e di vasta cultura, da pontefice, Clemente XIV cercò di far valere il suo spirito conciliativo frammezzo alle contrastanti pressioni che dovette subire da più parti, sempre sulla questione gesuitica: la più scottante di tutte nei rapporti tra gli stati europei e il papato. La nuova cultura illuministica, infatti, affermatasi nella seconda metà del Settecento aveva preso di mira questo che tra gli ordini religiosi appariva il più potente ed influente. Se il suo predecessore aveva reagito a quell'ondata di espulsioni che stava avvenendo in tutta Europa nei paesi cattolici, Clemente XIV, alle richieste di soppressione della Compagnia di Gesù, rivendicò il ducato di Parma. Una rivalsa verso uno degli stati più piccoli, che però fece scattare la reazione solidale degli altri grandi stati; come il regno di Napoli che invase da sud i territori papalini, o come la Francia che occupò Avignone. Poco giovò che egli, per amore dei capi di stato, sospendesse nel 1770 la pubblicazione della bolla "In coena Domini" (documento del XIII secolo ampliato da Pio V nel 1568, diretto specialmente contro le tendenze cesaropapiste prevalenti in Spagna e Venezia).
Ma quali erano le ragioni per cui gli stati europei volevano vedere soppressa la Compagnia di Gesù?
Sia per i grandi successi nell'attività apostolica (specie nel campo dell'educazione), sia per i nuovi metodi di apostolato usati dai missionari gesuiti (in India, con R. de Nobili, e in Cina con M. Ricci), sia per l'opposizione all'Illuminismo e al Giansenismo, sia per la difesa di teorie in campo morale che sembravano troppo lassiste (questo fatto indusse B. Pascal a scrivere le Lettres Provinciales, un'opera brillante, ma profondamente ingiusta, che non fa onore all'Autore, nonostante l'enorme successo che ebbe a danno della Compagnia), sia per l'antipatia suscitata in taluni ambienti a causa della cosiddetta "superbia gesuitica", sia soprattutto per l'opposizione contro i Gesuiti da parte delle corti cattoliche del Portogallo, della Spagna, della Francia, di Napoli e di Parma (che malvolentieri sopportavano l'azione dei religiosi a favore delle popolazioni delle colonie americane, in quanto limitavano le possibilità di sfruttamento da parte di colonizzatori avidi, crudeli e senza scrupoli morali), la Compagnia di Gesù, in pochi anni, fu cacciata dai territori di Portogallo, Spagna, Francia, Napoli e dalle colonie del Sud e Centro America. Le corti esercitarono su Clemente XIV un pressione talmente violenta da costringerlo a sopprimere l'ordine.
Così il 21 luglio 1773 egli firmò il decreto di soppressione della Compagnia di Gesù
"Dominus ac Redemptor". Ne riportiamo il passo centrale: "Con ben maturo consiglio, di certa scienza, e con la pienezza dell’Apostolica Potestà, estinguiamo e sopprimiamo la più volte citata Società, e annulliamo ed aboliamo tutti e singoli gli uffici di essa, i ministeri e le amministrazioni, le case, le scuole, i collegi, gli ospizi, e qualunque altro luogo esistente in qualsivoglia provincia, regno, e signoria, e in qualunque modo appartenente alla medesima".
Il Breve papale non esprimeva nessuna condanna dei Gesuiti (era chiaro che il gesto aveva più un valore politico-economico che religioso); da parte di essi per lo più non ci fu nessuna reazione e nessuna opposizione. Il generale della Compagnia, padre Lorenzo Ricci, accusato di non svelare i "tesori" dei Gesuiti (che in realtà non esistevano, ma che era stato stimato così grande da poterne incamerare i beni distribuendoli tra i vari regnanti europei) fu rinchiuso nel carcere di Castel Sant'Angelo. Ma egli non si lamentò mai; soltanto in punto di morte (1775), nel momento di ricevere il Viatico, fece una dichiarazione, in cui, dinanzi all'Eucaristia, affermava che la Compagnia non aveva dato nessun pretesto alla sua soppressione e che egli - personalmente - non aveva dato "motivo alcuno seppure leggerissimo" alla propria carcerazione.
Con la scomparsa della Compagnia di Gesù, l'evangelizzazione in Asia, in Africa e nell'America subì un duro colpo, dal quale non si sarebbe ripresa se non faticosamente e in parte modesta.
Ma, distrutta nelle nazioni cattoliche, la Compagnia sopravvisse nella Prussia di Federico II e nella Russia Bianca di Caterina II; apparve di nuovo nel Regno di Napoli, finché dopo la Rivoluzione Francese e la tempesta napoleonica, Pio VII, nel 1814 le ridiede vita.
La decisione dello scioglimento della Compagnia suscitò, allora e nella successive storiografie, acute polemiche, non ancora del tutto spente, tendenti, unilateralmente, a giudicare tutto il pontificato di Clemente XIV in base a quell'atto.
Vanno menzionati i suoi tentativi di riavere i possedimenti tolti alla Chiesa, l'avvio dei lavori di prosciugamento delle Paludi Pontine e la fondazione del Museo Vaticano che porta il suo nome (Museo Clementino, poi continuato dal suo successore). Per quest'ultima opera Clemente XIV incaricò J. Winckelmann di raccogliervi le statue antiche.
Soppresse, nel 1771, le "mezze feste" (feste in cui, dopo aver decorosamente ascoltato la S. Messa, fosse concesso di lavorare) che non avevano dato buoni risultati pastorali. Inotre proibì l'evirazione per ottenere voci bianche per le Schole Cantorum.
Poco dopo aver solennemente indetto (bolla Salutis Nostrae del 30 aprile) il Giubileo per l'anno seguente, nella settimana santa del 1774 il papa, levandosi da tavola, fu colto da un improvviso malessere, che fu l'inizio di una misteriosa malattia, la quale il 22 settembre di quello stesso anno lo portò alla tomba. Si sospettò che la causa della morte del Pontefice fosse dovuta a veleno propinatogli dai Gesuiti o dai loro fautori, ma i sospetti, sebbene avvalorati da gravi indizi, non sono stati finora e non saranno forse mai confermati da alcuna prova; ma è comunque degno di nota che la maggior parte delle biografie di Clemente XIV adducono come causa della sua morte l'avvelenamento.
Resta celebre il monumento dedicatogli da Antonio Canova nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma. Clemente XIV viene infatti rappresentato da Canova assiso in trono, con il triregno in testa, e in atteggiamento severo. Il braccio destro proteso in avanti diviene simbolo della sua capacità di prendere decisioni di grande portata storica. Il monumento si svolge su tre livelli. Sulla parte basamentale vengono collocate due figure femminili, allegorie dell'Umiltà e della Temperanza, al secondo livello viene posto il sarcofago, infine, a coronare il monumento, la statua del papa.
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