GIANFRANCESCO (o Giovanni Francesco, secondo alcuni) nacque dalla famiglia ALBANI, nobili di Urbino, il 23 luglio 1649. A 19 anni si trasferì a Roma per formarsi al Collegio Romano; qui ebbe anche modo di frequentare, introdottovi dal cardinale marchigiano Decio Azzolini, l'illustre salotto della regina Cristina di Svezia, dove si incontravano letterati, poeti, pittori (quali Carlo Maratti e Giuseppe Ghezzi), musicisti (come Corelli, Scarlatti e Pasquini) ed anche prelati come Giulio Rospigliosi (poi papa Clemente IX). Fu autore egli stesso di testi teatrali; celebre la sua apprezzatissima prolusione, del 1687, su Giacomo II Stuart, paragonato nella sua difesa del cristianesimo a Costantino. Alla morte di Cristina (1689) i letterati Gravina e Crescimbeni diedero vita, in nome dell'illustre defunta, all'Accademia dell'Arcadia. E l'Albani, all'interno della nuova Accademia, prese, nel 1695, il nome di Arete Melleo.
Successivamente fu governatore di Rieti, della Sabina e di Orvieto e nel 1687 fu nominato segretario dei Brevi. Fu creato cardinale (dell'Ordine dei Diaconi) da Alessandro VIII nel 1690. Alla morte di Innocenzo XII si aprì un conclave che durò circa due mesi, durante il quale arrivò la notizia della morte di Carlo II di Spagna. I voti caddero proprio sul cardinale Albani, per impedire lo scoppio della guerra e governare la Chiesa nel difficile momento che stava attraversando; fu eletto papa il 23 novembre 1700 assumendo il nome di CLEMENTE XI. Qualche giorno dopo veniva ordinato vescovo.
Il primo atto del novello pontefice fu chiudere la Porta Santa, aperta in occasione del XVI Giubileo indetto dal suo predecessore, la vigilia di Natale del 1700; questa fu la prima volta che la Porta Santa fu aperta da un Papa e chiusa da un altro. La lunga malattia di Innocenzo XII e la vacanza della sede papale protrattasi per circa due mesi, avevano rallentato il flusso dei pellegrini; in più, pochi giorni dopo l'elezione, un violento straripamento del Tevere aveva inondato mezza Roma, creando parecchi inconvenienti agli abitanti della città e allo svolgimento delle cerimonie del Giubileo. La basilica di San Paolo, circondata dall'acqua, venne dichiarata impraticabile e quindi sostituita, come era già successo nel 1625, con quella di Santa Maria in Trastevere, che era all'asciutto.
Clemente XI si diede rapidamente da fare per recuperare il ritardo accumulato: impegnato nella visita di chiese ed ospizi, in benedizioni ed udienze, accoglienza dei pellegrini e nelle più varie cerimonie, protrasse il giubileo fino al 25 febbraio 1701, per venire incontro a quanti si erano messi in viaggio verso Roma solo dopo la notizia dell'avvento del nuovo Papa. Una delle più illustri pellegrine di questo Giubileo fu l'ex regina di Polonia Maria Casimira, vedova di quel Giovanni Sobieski che nel 1683 aveva liberato Vienna dall'assedio dei Turchi, infliggendo un colpo decisivo alla loro avanzata verso Occidente e guadagnandosi la fama di liberatore dell'Europa. Maria Casimira era stata accolta a Roma con tutti gli onori, e in verità ella si comportò in modo degno di una pellegrina del suo rango. Non così i suoi figli, i quali anziché visitare le chiese e assistere i poveri preferirono darsi a bagordi di ogni genere, suscitando non poco scandalo. Anche se uno di loro, Alessandro, alla fine si pentì e divenne frate cappuccino.
Nei 21 anni di pontificato papa Albani non dimenticò il suo passato di cultore di tutte le arti, anzi le considerò sempre un utilissimo strumento di propaganda. Egli visse in un'epoca che da un lato conserva tutto il gusto per la retorica del bello e della ricchezza che fu propria del Barocco, coniugato, dall'altro, con l'amore per le novità e l'attenzione per la medicina, la ricerca e l'archeologia che saranno tipici del secolo dei lumi.
A condividere i suoi interessi c'erano, tra i tanti, in primo luogo i suoi nipoti Alessandro ed Annibale, quest'ultimo collezionista ed intenditore di antichità e letterato. Sarà in seguito Alessandro, all'epoca ancora molto giovane, a proseguire nell'interesse per l'archeologia che in lui divenne prioritario tanto da farne il maggior cultore dell'arte antica, amico del Winkelmann e committente della Villa Albani sulla Salaria.
L'Albani aveva un vivo interesse anche per le scienze. Fu all'epoca del suo pontificato, infatti, che operò Giovanni Maria Lancisi, il celebre medico attivo all'ospedale Santo Spirito in Sassia, nominato medico papale.
Inoltre arricchì la Biblioteca Vaticana, acquistò la biblioteca di Cassiano del Pozzo, istituì un'accademia di pittura in Campidoglio. Restaurò e abbellì le principali principali basiliche romane; interventi (soprattutto porticati e decorazioni pittoriche) nelle chiese di San Teodoro, Santa Maria in Trastevere, San Crisogono, San Clemente (ad opera del Conca, del Chiari e del Ghezzi) e nel Pantheon. L'architetto più attivo fu Carlo Fontana, ma sono i pittori Carlo Maratti e, in seguito, Francesco Trevisani, gli interpreti più sensibili della devozione del papa.
Nel 1717 Clemente XI decise di far ripulire e sistemare la piazza davanti alla basilica di Santa Maria in Cosmedin, affidando il compito all'architetto Carlo Bizzaccheri di edificarvi una fontana. Il Bizzaccheri progettò una fontana a vasca ottagonale, con i lati concavi, che forma una stella a otto punte: si ispirò allo stemma papale. Affidò agli scultori Filippo Bai e Francesco Moratti la creazione del gruppo in travertino che si erge al centro della vasca: due tritoni con le code intrecciate sorretti da scogli.
Rinforzò le mura di Roma, costruì il Porto di Ripetta e il complesso del San Michele. In questo complesso, a Trastevere, già edificato in gran parte sotto il pontificato di Innocenzo XII, Clemente XI stabilì che dovesse essere istituita una Casa di correzione, in cui ospitare i giovani rei, allo scopo di ottenere la loro riabilitazione morale e un loro avviamento al lavoro. Ma non solo: con gli ampliamenti effettuati dal Fontana nel complesso venne costruito anche un corpo dedicato agli uomini anziani abbandonati, un altro alle donne anziane, e un altro alle zitelle senza famiglia. Il carcere minorile ha avuto sede qui fino al 1972.
Completò l'acquedotto di Civitavecchia, realizzò un viadotto a Civitacastellana e aprì a Bologna l'Accademia Clementina. La sua terra natale gli restò comunque nel cuore: Urbino godeva, infatti, di particolari privilegi; i maligni affermano che "quel che fu negato ai parenti Clemente lo diede alla città natia".
Diede, nel 1702, un unico riferimento cronologico ufficiale a tutti gli orologi della città di Roma, quando proprio agli inizi del nuovo secolo, commissionò a Francesco Bianchini la costruzione di un'importante e complicata meridiana. La chiesa di Santa Maria degli Angeli, che sorge sul sito delle grandiose terme fatte costruire dall'imperatore Diocleziano fra il 298 e il 306 d.C., fu scelta come sede appropriata per la meridiana perché la costruzione era solida e stabile; l'assenza di vibrazioni, infatti, avrebbe evitato lo spostamento delle tacche sul pavimento.
La meridiana consiste in un grosso stemma di papa Clemente XI, appeso alla parete di fondo del transetto destro, ad un'altezza di circa 20 metri, con un foro nella parte inferiore: a mezzogiorno un raggio di luce passa per il foro, raggiungendo un preciso sistema di linee e di tacche sul pavimento. La linea principale (detta "Linea Clementina") indica il punto dove giunge ogni giorno dell'anno il raggio di luce; attraverso calcoli matematici è anche possibile stabilire la data. Altre linee mostrano il Terminus Pascae (i limiti fissati per la data annuale del giorno di Pasqua: la prima domenica dopo il plenilunio che segue l'equinozio di primavera), e altre tacche e linee minori segnalano la posizione dell'Orsa Maggiore e altre osservazioni astronomiche.
La meridiana di Clemente XI funzionò da riferimento cronologico ufficiale di Roma per circa un secolo e mezzo. Dal 1846 in poi i rintocchi di mezzogiorno furono segnati con colpi di cannone sul Gianicolo.
Nella bolla "In coena Domini" del mercoledì santo del 1715 condannò molti errori del tempo, richiamando severamente all'obbedienza al Papa. Nel 1717 fece pubblicare "Ex illa Die", la bolla che nel tremendo conflitto tra gesuiti e domenicani per la questione dei riti cinesi (papa Clemente aveva seguito le indicazioni dei frati Predicatori), vietava ai milioni di cinesi convertiti di praticare i loro riti tradizionali. La risposta dell'imperatore cinese a questa decisione, priva di ogni minima conoscenza del sitz im lieben, fu di espellere tutti i missionari, distruggere tutte le chiese e costringere tutti i convertiti (milioni) a rinunciare alla loro fede cattolica.
Maggiori difficolà si ebbero, però, con il Giansenismo. Nell'estate del 1701 fu sollevato il cosiddetto caso di coscienza. Quaranta dottori della Sorbona dichiararono che l'adesione al sistema del silenzio ossequioso non costituiva un impedimento per l'assoluzione in confessione. Parecchi vescovi francesi, fra i quali Jacques B. BOSSUET (1627-1704; uno dei massimi spiriti e teologi del suo secolo, nonchè noto difensore del cattolicesimo) e il papa respinsero tale dichiarazione nel 1703.
Per desiderio di Luigi XIV il papa emanò la bolla "Vineam Domini" del 15 luglio 1705, in cui il silenzioso ossequio era dichiarato insufficiente e la condanna delle 5 proposizioni riflettenti la dottrina di Giansenio veniva prescritta come necessaria da farsi "con la bocca e col cuore". Ma la bolla non ottenne l'effetto desiderato. Nell'assemblea generale del 1705, il clero, di sentimenti gallicani dichiarò di accettarla, ma insieme espresse la convinzione che i decreti papali sarebbero stati obbligatori per la Chiesa universale soltanto se riconosciuti ed accettati dai vescovi. Tale opinione fu aspramente biasimata dal Papa, ma con scarso risultato.
Successivamente (1708) Clemente XI colpì di censura le "Réflexions morales" sui Vangeli del dotto oratoriano PASQUIER QUESNEL (1634-1719) intriso di idee gianseniste. L'arcivescovo di Parigi cardinal Luigi Antonio de NOAILLES (1651-1729) doveva perciò revocare l'approvazione e le raccomandazioni da lui rilasciate, nel 1695, alle Réflexion. Siccome egli non si risolveva a farlo, il libro per desiderio di Luigi XIV fu di nuovo sottoposto ad esame a Roma. Il risultato delle lunghe trattative presso la Curia fu la bolla clementina UNIGENITUS (8 settembre 1713), che condannava 101 proposizioni del Quesnel. Ne riportiamo il passo centrale che seguiva le 101 proposizioni eretiche:
"Noi dichiariamo, condanniamo e rigettiamo le proposizioni prima inserite, rispettivamente, come false, fraudolente, male sonanti, offensive per le orecchie pie, scandalose, dannose, temerarie, offensive per la chiesa e per la sua prassi, oltraggiose non solo verso la chiesa ma anche verso i poteri secolari, sediziose, empie, blasfeme, sospette di eresia e in odore di eresia, e anche atte a favorire gli eretici, le eresie e anche lo scisma, erronee, vicine all'eresia, ripetutamente condannate, e finalmente eretiche, e che rinnovano in modo manifesto le diverse eresie, soprattutto quelle che sono contenute nelle famose proposizioni di Giansenio, accolte proprio in quel senso in cui sono state condannate".
Mentre in altri paesi la bolla fu accettata senza difficoltà, in Francia non fu così. Alcune delle proposizioni, prese da sole senza contesto, sembravano presentare un senso ortodosso; perciò
Noailles, pur revocando l'approvazione del libro, rifiutò senza motivazioni dettagliate il suo assenso alla bolla, emulato in ciò da altri sette prelati. Nello spirito gallicano, 4 vescovi si appellarono, contro la bolla papale, ad un concilio universale (1717); ad essi aderirono il cardinale Noailles, le
università di Parigi, Nantes e Reims, centinaia di sacerdoti, di religiosi e molti laici. La Francia era divisa in 'accettanti' e 'appellanti'. La confusione divenne enorme e il pericolo di uno scisma incombente. Fu allora che Clemente XI nella Bolla "Pastoralis officii" del 28 agosto 1718, lanciò la scomunica contro gli appellanti, ma moltissimi, fra i quali il Noailles, si appellarono anche contro la nuova bolla, dichiarando invalida la scomunica.
Uno sviluppo risolutivo si ebbe solo nel 1720, quando il governo francese fece registrare la bolla Unigenitus come legge di stato ed emanò disposizioni contro i renitenti. Dopo aver tentato ogni genere di scappatoie, anche il cardinale Noailles, nell'ottobre 1728, dichiarò la sua sottomissione incondizionata; la maggior parte degli appellanti ancora incerti seguirono il suo esempio.
Non meno movimentata fu la sua politica estera. Durante il suo pontificato volle che fosse osservata rigidamente la bolla riguardante il nepotismo emanata da Innocenzo XII, come pure le costituzioni per limitare le eccessive richieste degli ambasciatori in fatto di immunità e di diritto d'asilo.
In particolare egli si trovò a far fronte alla guerra di successione spagnola apertasi alla morte (avvenuta proprio durante il conclave che lo aveva eletto papa) di Carlo II, l'ultimo re spagnolo della casa d'Asburgo, il quale, non avendo figli propri, aveva nominato erede universale della monarchia spagnola, dopo aver chiesto consiglio a papa Innocenzo XII, il duca Filippo
d'Angiò, nipote di Luigi XIV. Clemente XI, temendo una posizione egemonica degli Asburgo in Italia, nella guerra di successione che era appena scoppiata (gli Asburgo, infatti, avevano impugnato la decisione del defunto Carlo II), si mostrò incline alla Francia. L'imperatore Giuseppe I fece perciò occupare dalle sue truppe una parte dello Stato Pontificio; ne seguì una breve guerra (1708), ultimo scontro armato fra un imperatore germanico e il Papa. Clemente si vide costretto a riconoscere, in una convenzione segreta, il fratello dell'imperatore, Carlo III, come re di Spagna.
A questo punto fu Filippo V, che già godeva del possesso effettivo della Spagna, a rompere bruscamente le relazioni con la curia: bloccò il pagamento delle rendite papali esistenti in Francia. A nulla valsero le molteplici trame del cardinale piacentino GIULIO ALBERONI (1664-1752; per informazioni più dettagliate sul suo ruolo nella guerra di successione spagnola vedi ANNO 1713) che in tutti modi aveva tentato di favorire la Spagna contro l'imperatore. Nelle paci di Utrech (1713) e di Rastatt (1714) l'Austria di Carlo VI ricevette, oltre al Belgio, Milano e Mantova, i feudi papali di Napoli e della Sardegna. L'isola di Sicilia fu data, con titolo regio, al duca Vittorio Amedeo II di Savoia, il quale tuttavia la dovette cedere nel 1720 alla casa d'Austria in cambio della Sardegna. Fu allora che il cardinale Alberoni tramò per restituire alla Spagna i domini perduti e per liberare l'Italia dalla preponderanza austriaca, mediante l'intervento spagnolo.
Per questo motivo aveva indotto il consigliere del sultano turco, l'ungherese Ragotoki, a stimolare la Turchia a guerreggiare contro l'impero promettendo che la Spagna avrebbe assalito l'Austria: nel 1714 la Turchia, desiderosa di ricuperare la Morea, dichiarava guerra a Venezia occupandone diversi possedimenti. Il pontefice allora ordinò al suo ammiraglio FRANCESCO MARIA PERETTI di recarsi con la flotta nelle acque del Levante e lanciò un appello ai principi cristiani perché si unissero in lega contro gli infedeli; ma la sua voce non fu ascoltata e si dovette solo al genio militare di EUGENIO DI SAVOIA (generale di Carlo VI d'Austria col quale, per la mediazione di Clemente XI, Venezia aveva stretto alleanza) se i Turchi poterono essere battuti, nel 1715, a Belgrado e a Petervaradino; nell'agosto del 1716 gli Ottomani scesero a patti con l'imperatore che si conclusero con la pace di PASSAROWITZ del 21 luglio del 1718.
Il cardinale Giulio Alberoni
L'Alberoni fu ritenuto il responsabile della guerra: Clemente XI lo privò della dignità cardinalizia e lo citò a comparire davanti al suo tribunale accusandolo di tradimento della Cristianità e turbatore della pace europea; fu assolto e riabilitato da Innocenzo XIII.
Altre incresciose questioni politiche furono quelle che videro il pontefice impegnato con Vittorio Amedeo II di Savoia (per il periodo in cui governò la Sicilia, prima di cederla all'Austria in cambio della Sardegna) a proposito delle esenzioni fiscali del clero; e con l'elettore Federico III di Brandeburgo il quale, già nel 1701, aveva assunto il titolo di re di Prussia con l'approvazione di Leopoldo I. Il papa elevò energica protesta, specialmente perchè quel titolo si basava sulla terra del secolarizzato Ordine Teutonico; tale riserva di diritto non ebbe però alcun successo pratico.
Stremato dalle fatiche, Clemente XI si spense il 19 marzo 1721, a 71 anni, dopo 21 di pontificato.
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