I PAPI
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PAOLO V - Camillo Borghese (1552-1621) (Pontificato 1605-1621)
CAMILLO BORGHESE nasce a Roma il 17 settembre 1552 da nobile famiglia oriunda di Siena, che si era trasferita nell'Urbe qualche anno prima. Ha studiato giurisprudenza a Perugia e Padova, divenendo un canonista di profonda abilità, svolgendo, come avvocato concistoriale, importanti incarichi per la Curia. Nel 1588 è Vicedelegato a Bologna; inviato straordinario presso Filippo II nel 1593. Ricevette la porpora nel 1596 da Clemente VIII e fu nominato Vicario di Roma nel 1603. Alla morte di Leone XI (nemmeno un mese di pontificato) si aprì il conclave, dove la Spagna si servì del 'diritto di esclusiva', cioè fu espresso formalmente, per mezzo di un cardinale incaricato, il veto contro l'elezione di un candidato non gradito. Un accordo delle fazioni portò all'elezione, il 16 maggio 1605, del cardinal Borghese, che scelse di chiamarsi PAOLO V. Il nuovo pontefice aveva un altissimo concetto della sua missione, era rigido sostenitore dei diritti del papato e pretendeva di imporre l'autorità pontificia non solo sugli stati cattolici. Sul piano internazionale, numerosi sono i problemi che minacciavano la pace. Spagna e Olanda erano ancora in conflitto tra loro, nonostante la sconfitta subita dagli spagnoli a Nieuport ad opera della coalizione formata da olandesi e inglesi. Rispetto alla Francia cercò di rafforzare la posizione della monarchia borbonica contro gli ugonotti, tentando insieme di opporsi al gallicanesimo regalista. Per l'attuazione della riforma cattolica di fronte al diffondersi del protestantesimo, seppur riuscì a promuovere una lega difensiva tra Spagna e Francia, riuscendo a far concludere il matrimonio tra Luigi XIII e l'Infante Anna Maria, identificò troppo gli interessi della religione con quelli degli Asburgo, costringendo a subire le concessioni politiche di quest'ultimi ai protestanti. Scoppiata la guerra dei Trent'Anni, mentre si preoccupò di trattenere Luigi XIII dall'intervento contro l'Impero, non si rese conto della gravità della situazione, impegnandosi solo nel 1620 in aiuti finanziari e illudendosi che il crollo della ribellione boema avrebbe concluso presto la guerra. Nel 1604-1605 guardava con fiducia al Demetrio, diventato cattolico in polonia, figlio di Ivan IV di Russia, che aveva fatto ben sperare per una riunificazione della Russia ortodossa con Roma, ma non fu che un momento effimero, perchè il clero locale e il popolo erano radicalmente avversi a una riunificazione; Demetrio e altri polacchi furono assasinati e l'ortodossia nuovamente consolidata, dal 1613, con la dinastia dei Romanov. In Inghilterra, alla morte di Elisabetta I, aveva preso la corona Giacomo, figlio di Maria Stuarda, che aveva unito la corona di Scozia a quella d'Inghilterra. Paolo V aveva scritto, nel luglio 1606, un'amichevole lettera al novello monarca, per complimentarsi dell'ascesa al trono, chiedendogli di non pressare i cattolici; allo stesso tempo chiedeva ai cattolici di sottomettersi lealmente al sovrano in tutte le leggi non opposte all'onore di Dio. Purtroppo il re emanò il Giuramento di fedeltà, imposto anche ai cattolici, nel quale si dichiarava, fra l'altro che la dottrina che attribuisce al papa il diritto di deporre i principi e ai sudditi il diritto di deporre e uccidere i sovrani scomunicati, era empia ed eretica. Il pontefice condannò aspramente tale giuramento e i cattolici inglesi si trovarono divisi sulla liceità dell'imposizione reale. Fu lo stesso re Giacomo, per altro uomo colto di studi umanistici e teologici, che nel 1608 difese personalmente il Giuramento con uno scritto polemico. Nell'ambito della politica italiana, gli stati della penisola stavano perdendo il primato economico, spodestate dalle cittadine mitteleuropee, che dominavano i traffici a livello mondiale. Molti, direttamente o indirettamente, erano sotto il dominio della Spagna. Sono sotto il controllo diretto il ducato di Milano, i regni di Napoli, di Sicilia e di Sardegna. La Toscana invece era controllata dalle piazzeforti degli stati dei presidi, che comprendono Piombino, l'isola d'Elba e il promontorio dell'Argentario. Gli altri stati cercavano l'alleanza della Spagna per ricevere privilegi o appalti fiscali, come nel caso di Genova, o per proteggersi dalla minaccia turca, come nel caso di Venezia. Anche lo stato pontificio dovette, comunque, appoggiarsi a quello che era l'alleato cattolico più potente per portare avanti la sua politica religiosa. Lo stato italiano con il quale Paolo V ebbe maggiori scontri fu la Serenissima che non tollerava alcuna ingerenza estranea negli affari della sua politica interna; infatti questa aveva preso al suo servizio per la guerra contro gli Uscocchi alcuni banditi che infestavano lo Stato della Chiesa; questi dissidi si esasperarono quando Venezia abolì il diritto di prelazione del clero sui beni ecclesiastici enfiteutici e proibì la fondazione di chiese e luoghi pii, le donazioni e i legati senza l'autorizzazione dello Stato. Queste lamentele condussero ad un'aperta rottura tra Roma e Venezia quando questa citò davanti al tribunale dei Dieci, due preti, accusati di reati comuni. Erano questi il canonico Saraceni di Vicenza e l'abate Brandolin di Nervesa. Il primo era accusato di avere osato "di levare e sfregare violentemente fino a 16 bolli di S. Marco, di avere ingiuriata in tempo di notte e deturpato la porta di Lucietta Fachina; di avere insidiata l'onestà di donna Nivenzia Trissina, nobile vicentina e sua parente, di costumi onestissimi, avendo più volte nelle pubbliche strade e chiese tentato di contaminarla, e fattole diverse romanzine et insulti alla propria casa sua, in tempo di notte, con sassi e parole ignominiose, et deturpandole la porta con scandalo universale". Il secondo era imputato di truffe, di violenze, di ferimenti, di stupri e di omicidi. Paolo V chiese che gli venissero consegnati i due preti per sottoporli al giudizio dei tribunali ecclesiastici; Venezia però si rifiutò e spedì a Roma un ambasciatore per esporre i motivi del rifiuto, ma il pontefice, istigato dalla Spagna, non volle ascoltare le giustificazioni della Repubblica e il 16 agosto del 1606 la minacciò di scomunica se entro ventiquattr'ore non avesse revocato i decreti promulgati contro le prerogative del clero. A Roma si sperava che le popolazioni venete, appena venute a conoscenza del monito, col quale il pontefice lanciava l'interdetto, si sarebbero sollevate; ma il governo della Repubblica prese le misure necessarie per prevenire e reprimere possibili sedizioni: costituì una milizia cittadina e vietò che il monito fosse diffuso entro i confini dello Stato veneto; inoltre ordinò ai religiosi di non parlare dell'interdetto e nominò consultore il dotto servita PAOLO SARPI... ... un uomo di meravigliosa abilità letteraria e strenuo assertore del principio che sosteneva la netta divisione della potestà politica da quella religiosa e l'assoluta esclusione della Chiesa da ogni ingerenza negli affari interni dello Stato. Il Sarpi, che fu accusato di eresia (gli studi hanno invece dimostrato che era un sincero cattolico) sostenne con grande fermezza nell'aspra lotta contro la Curia romana i diritti della Repubblica, la quale proibì severamente che nel suo territorio venissero sospese le pratiche del culto ed espulse i Gesuiti e i Cappuccini che, ligi a Roma, non volevano sottostare ai decreti del senato. A tali principi il Sarpi s'ispirò per la "Istoria del concilio tridentino (1545–1563)", pubblicata a Londra nel 1619. Le pretese del papa, invece, vennero sostenute dal cardinale Bellarmino. Il conflitto durò aspro per parecchio tempo e diede luogo ad aspre polemiche; si pubblicarono versi e prose per difendere e affermare i diritti di Venezia contro le pretese pontificie; si rispose col mettere all'indice tutti gli scritti contrari alle affermazioni della Curia; furono dichiarati nulli i matrimoni contratti durante il periodo della scomunica; si controbatté confutando la validità dell'interdetto; all'accusa di eresia e di scisma lanciata contro i difensori dei diritti della Repubblica risposero questi protestando il loro attaccamento alla fede cattolica. Poiché il dissidio tra la Chiesa e Venezia minacciava di mutarsi in guerra, la Francia, l'Olanda, il duca di Savoia ed altri offrirono le loro mediazioni per ristabilire la pace ed Enrico IV ottenne di indurre i contendenti ad un accordo: il pontefice ritirò l'interdetto e Venezia riammise i religiosi espulsi, eccettuati i Gesuiti, e consegnato i due preti al cardinale di Joyeuse, inviato del re di Francia; ma il Senato si rifiutò di revocare i decreti contro le prerogative della potestà ecclesiastica, non volle riconoscere la validità dell'interdetto e ricusò l'assoluzione. Maggiori successi ottenne la sua politica extraeuropea, raccogliendo successi in America (fu fondata allora la colonia gesuitica del Paraguay), in India, in Cina, in Africa (con la conversione del Negus di Abissinia). Non fu però immune dal cosiddetto 'piccolo nepotismo': al prediletto nipote Scipione Caffarelli, soprannominato 'delizia di Roma', diede la porpora e la carica di Segretario di Stato, e larghi onori e ricchezze anche agli altri congiunti. Per opera del cardinale nepote sorsero il palazzo ora Rospigliosi e la villa Borghese. Oltre la già attiva 'censura ecclesiastica', istituita da Paolo III, dal 1611 si andò consolidando un altro mezzo atto a non far diffondere libri ritenuti proibiti: l'INDICE. Con questa forma di censura, la Chiesa provvide a pubblicare un indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorium), un catalogo di testi di varia natura i cui contenuti erano contrari all'ortodossia, all'autorità del Papa e dei Vescovi oppure sconsigliabili moralmente. Si trattava anche questo di un particolare provvedimento per contenere la diffusione dell'eresia luterana attraverso testi stampati con il nuovo metodo dei caratteri mobili di Gutenberg. Il fervore intellettuale degli ambienti scientifici e teologici romani (Clavio, Bellarmino, Suarez, fondazione dei Lincei) favorito dalle aperture intellettuali e dal mecenatismo del papa, venne comunque offuscato da episodi di repressione, quali la condanna del Cremonini, la condanna del sistema di Copernico, le cui opere vennero iscritte all'Indice e soprattutto la severa ammonizione, nel 1616, a Galileo, per aver sostenuto pubblicamente, non più come ipotesi ma come teoria, le tesi copernicane. Sotto Paolo V ebbe fine l'interminabile disputa teologica sul cooperare della grazia con la libertà, detta "De auxiliis (divinae gratiae)", dal nome della Congregazione dei teologi creata da Clemente VIII. La polemica, sul modo di capire gli aiuti della grazia al libero arbitrio, si accese particolarmente tra i teologi Gesuiti, detti molinisti (da Luigi Molina che a Lisbona aveva stampato nel 1588 un'opera in quattro volumi "La grazia e il libero arbitrio") e i Domenicani, detti tomisti dal loro riferimento a san Tommaso. Le sedute durarono circa dieci anni, dal 1598 al 1607, quando Paolo V, dopo aver chiesto per iscritto i pareri della commissione, la sciolse dichiarando ognuna delle due parti libera di proporre la propria opinione. Nel 1611, tuttavia, per evitare che una nuova discussione accendesse troppo gli animi, un decreto dell'Inquisizione subordinò l'ulteriore pubblicazione di scritti sul problema della grazia, alla concessione di uno speciale permesso. Nel campo della riforma interna della Chiesa, notevoli furono i suoi sforzi, con significativi risultati, di riforma giudiziaria e di risanamento del bilancio statale. Importante fu l'imposizione dell'obbligo della residenza degli ecclesiastici; fu pubblicato il nuovo 'Rituale Romanum', furono protetti i nuovi ordini religiosi, furono fondate scuole per i poveri. Con Paolo V i tempi si resero ormai maturi per risolvere il 'problema' dell'Archivio Pontificio. Nell'ambito della ricerca storica cresceva il bisogno di accedere alle fonti documentarie, per il sostegno e l'impulso che da esse poteva trarre la storiografia, specie quella di parte cattolica che si era affacciato al mondo della cultura con gli 'Annales ecclesiastici' del cardinale Cesare Baronio e dei suoi continuatori. Altri motivi infine di carattere amministrativo, giuridico e curiale, dovettero farsi pressanti in questo tempo se Paolo V, ad un anno appena dalla sua elezione, si dimostrava vivamente interessato al recupero delle carte degli archivi pontifici ancora disperse, ordinando con il breve "Apostolicae Sedis" del 25 gennaio 1606, che le molte e varie scritture della Santa Sede e della Camera Apostolica in possesso di diverse persone fossero perentoriamente consegnate nel giro di sei giorni al Commissario della Camera Apostolica o ai Custodi della Biblioteca Vaticana o dell'Archivio di Castel Sant'Angelo, pena la scomunica. Inoltre, con il breve, "Cum nuper" del 31 gennaio 1612 il pontefice ordinava di trasferire libri e documenti dal vecchio al 'nuovo archivio' (così venne indicato), eretto nel Palazzo Apostolico nominandone Custode Bartolomeo Ansidei. Sembra che il papa avesse anticipato di qualche tempo la sua decisione dopo una visita, che lo aveva turbato, all'Archivio di Castel Sant'Angelo, dove molti documenti erano in preda ai topi e sommersi dalla polvere. Nonostante le opposizioni di diversi curiali, desiderosi di conservare la documentazione nei propri archivi, il pontefice, coadiuvato soprattutto da Bartolomeo Cesi, riuscì ad attuare il suo progetto. La sede del nuovo Archivio, adiacente al Salone Sistino della Biblioteca Vaticana, fu appositamente attrezzate con armadi di pioppo, recanti le armi gentilizie di casa Borghese, ed affrescata nella parte superiore con un ciclo di scene a carattere storico, ancora oggi visibili, raffiguranti donazioni, privilegi e tributi alla Chiesa da parte di sovrani, da Costantino a Carlo IV di Lussemburgo. Sempre a Paolo V si deve il Salone detto dei Corazzieri al Quirinale. L'ambiente fu edificato da Carlo Maderno nell'ambito dei lavori di ristrutturazione dell'ala sud del palazzo promossi dal papa. Questo vasto salone, detto in origine Sala Regia, era destinato agli incontri ufficiali del pontefice con le delegazioni diplomatiche straniere in visita alla Santa Sede. Il soffitto ligneo a cassettoni dorato su fondo azzurro reca alle due estremità lo stemma di Paolo V. Al centro del soffitto una immagine dello Spirito Santo fu sostituita alla fine dell'Ottocento dallo stemma sabaudo. I soggetti degli affreschi sono volti ad esaltare la figura e l'attività pontificia, il cui stemma e i cui animali araldici (aquila e drago) ricorrono più volte in tutto il fregio. L'attuale denominazione della sala si deve alla cerimonia della rivista del reparto Corazzieri che qui si tiene in occasione di alcune importanti cerimonie. Date le vaste dimensioni dell'ambiente, nel Salone hanno luogo molte delle attività di alta rappresentanza, quali la consegna delle insegne ai cavalieri del lavoro e gli auguri di Natale al corpo diplomatico da parte del Capo dello Stato. A partire dal 1607 Paolo V commissionò a Carlo Maderno il completamento definitivo della basilica di san Pietro, trasformando l'impianto a croce greca in croce latina con l'aggiunta di tre campate e del portico d'ingresso; porta la firma del Maderno anche l'imponente facciata della basilica, finalmente completata. Ugualmente Paolo V si adoperò per abbellire la basilica di santa Maria Maggiore, dove fece costruire due cappelle paoline. Davanti alla basilica mariana, nel 1614, fece porre la maestosa colonna corinzia, unica superstite di quelle della basilica di Massenzio; la colonna venne dedicata alla Vergine ed è la più vistosa testimonianza di una devota consuetudine, diffusa ovunque fino a questo secolo, che ha posto colonne crocifere davanti alle chiese. Infine, porta la sua firma, il ripristino dell'acquedotto di Traiano, battezzato dell''Acqua Paola". Il 28 gennaio 1621 Paolo V si spense, dopo quasi 16 anni di pontificato. I suoi resti riposano nella magnifica Cappella Borghese nella basilica romana di santa Maria Maggiore.
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