ANTONIO nacque a Bosco (oggi Bosco Marengo - AL) appartenente al Ducato di Milano, il 17 gennaio 1504, dalla nobile ma decaduta famiglia GHISLIERI. Oggi nella sua casa natale, oltre ovviamente al fabbricato, ottimamente conservato, si possono trovare suppellettili, mobili antichi, una cappelletta affrescata, quadri e l'effige di san Pio V.
Per vivere fu costretto a fare il pastore finchè a quattordici anni entrò tra i Domenicani di Voghera; da qui passò al convento di Vigevano dove emise la professione solenne nell'Ordine dei Frati Predicatori assumendo il nome di MICHELE. Negli anni di preparazione al sacerdozio, insieme a solida formazione teologica, facilitata da un'intelligenza vivida, maturò un'intensa vita di pietà e manifestò quella austerità di vita che gli avrebbe meritato tanta stima negli anni successivi.
Completò i suoi studi a Bologna e fu ordinato sacerdote a Genova nel 1528. Per sedici anni fu insegnante di filosofia e teologia a Pavia, Bologna, Bergamo, e successivamente priore nei conventi di Vigevano e Alba, dove si caratterizzò per una rigida disciplina nell'osservanza religiosa. Nominato Inquisitore a Como, spiegò un'indomita energia per arrestare le dottrine protestanti, che segretamente erano introdotte in Lombardia. Il suo intelligente vigore attirò l'attenzione del cardinale Giampietro Carafa, che lo fece nominare, nel 1551, Commissario Generale dell'Inquisizione Romana. Quando costui divenne papa con il nome di Paolo IV, lo elesse prima vescovo di Sutri e Nepi nel 1556 e, l'anno successivo, cardinale. Nel 1558 gli fu assegnata l'alta carica di Inquisitore Generale della Chiesa romana.
Dopo l'elezione di Pio IV monsignor Ghislieri fu nominato, nel 1560, vescovo di Mondovì, ma ben presto ritornò a Roma per occuparsi di otto vescovi francesi accusati di eresia. Con il papa non ebbe rapporti cordiali perché, con rude indipendenza, ne disapprovava l'indirizzo mondano e nepotista. Quando Pio IV morì, il cardinale Ghislieri fu eletto a succedergli, per suggerimento del cardinale Carlo Borromeo, nipote del defunto papa; era il 7 gennaio 1566. Esattamente dieci giorni dopo, nel suo sessantaduesimo compleanno, ricevette l'incoronazione; scelse di chiamarsi PIO V.
Da papa continuò a portare il saio domenicano di colore bianco, consuetudine conservata dai pontefici ancora oggi. Egli impersonò il rinnovamento cattolico nella sua forma più decisa e austera; anche sul trono di Pietro conservò il suo rigido tenore di vita di religioso mendicante. Il suo zelo per gli interessi della religione e della Chiesa fu grande quanto la sua energia nell'attuazione delle riforme tridentine a Roma e negli altri paesi cattolici.
In adempimento ad una decisione del Concilio di Trento, che aveva chiesto che fosse redatto un testo chiaro e completo della dottrina cristiana, nel 1566 comparve il CATECHISMO ROMANO 'ad Parochos', compilato dal cardinale Carlo Borromeo e redatto in buon latino da Aldo Manuzio; nel 1568 un'edizione rinnovata del BREVIARIO e nel 1570 del MESSALE ROMANO.
Nel 1571 nel rafforzare gli strumenti operativi della Riforma cattolica creò la CONGREGAZIONE DELL'INDICE, per l'esame dei libri contrari alla fede cattolica, e rinvigorì l'Inquisizione Romana; riorganizzò la Penitenzieria.
Interveniva personalmente alle sessioni del Tribunale dell'Inquisizione e, due volte la settimana, dava udienza al popolo per dieci ore consecutive. Le sue preferenze andavano ai poveri che ascoltava pazientemente, confortava e aiutava con soccorsi pecuniari.
Favorì enormemente la fondazione di seminari tra cui ricordiamo il Collegio Ghislieri di Pavia.
La sua opera di purificazione dei costumi investì soprattutto la Corte romana colpendo senza pietà gli abusi, riducendo da 1060 a 600 le inutili bocche da sfamare, e nominando una commissione di cardinali perché vigilasse sulla cultura e i costumi del clero, che lasciavano molto a desiderare.
Nell'attuazione delle disposizioni impartite dal Concilio fu coadiuvato assai da monsignor Nicolò
Omaneto, braccio destro del Borromeo a Milano ed erede dello spirito di Gian Matteo Giberti, sagace riformatore del vescovado di Verona. Ai sacerdoti furono interdetti la simonia, gli spettacoli, i giochi, i banchetti pubblici, l'accesso alle taverne. Ai vescovi fu imposto un previo esame per l'accertamento sulla loro idoneità, la residenza, pena la privazione del loro titolo, la fondazione dei seminari diocesani e l'erezione delle Confraternite di catechismo; inviò visitatori apostolici nelle diocesi italiane per far rispettare con severità le norme emanate.
Fu rigido avversatore del nepotismo. Ai numerosi parenti accorsi a Roma con la speranza di qualche privilegio, Pio V disse che un parente del papa può considerarsi
sufficientemente ricco se non conosce l'indigenza. Siccome i cardinali ritenevano opportuna la presenza di un nipote del papa nel Collegio dei Principi della Chiesa, Pio V si lasciò indurre a dare la porpora a Michele Bonelli, figlio di sua sorella e domenicano pure lui, perché lo aiutasse nel disbrigo degli affari. A un figlio di suo fratello permise di entrare nella milizia pontificia, ma lo cacciò persino dallo Stato appena seppe che coltivava illeciti amori.
Per migliorare la moralità del popolo romano punì l'accattonaggio, la questua (con due bolle: 1567 e 1570) e la bestemmia, vietò il combattimento di tori e il carnevale, espulse da Roma un grande numero di cortigiane, impose un limite al lusso e alle spese che si facevano in occasione di feste.
Durante la carestia del 1566 (quando si distinse particolarmente l'Associazione dei Fatebenefratelli, poi da lui stessa elevata a Ordine religioso nel 1572) e le epidemie che ne seguirono, fece distribuire somme considerevoli ai bisognosi e organizzò i servizi sanitari. Per reperire le somme necessarie, soppresse qualsiasi spesa superflua e spinse l'oblio di sé fino a fare adattare alla sua statura gli abiti dei suoi predecessori.
Pur non avendo molta attitudine per l'amministrazione dello Stato, volle favorire il benessere dei cittadini tracciando strade, costruendo acquedotti, favorendo l'agricoltura, facendo bonifiche, migliorando le fortezze di difesa.
Nel 1577 proclamò san Tommaso d'Aquino Dottore della Chiesa e obbligò le Università allo studio della Somma Teologica; nel 1570 aveva fatto stampare un'edizione completa e accurata di tutte le opere del santo.
Favorì la musica con la nomina del Palestrina a Maestro della cappella pontificia e le missioni con l'invio di religiosi nelle 'Indie orientali e occidentali' con l'invito agli spagnoli di non scandalizzare gli indigeni delle loro colonie.
Favorì i Monti di Pietà per sottrarre i cattolici dalle usure degli ebrei, contro i quali nel febbraio 1569 emanò la Bolla "Hebraeorum gens", con cui ne ordinava l'espulsione da tutte le terre dello Stato Pontificio, ad eccezione di Ancona e Roma. Gli ebrei di Bologna, città facente parte dello Stato dal 1506, passarono nel vicino territorio estense; ma siccome la bolla ordinava anche la distruzione di tutto ciò che potesse ricordare l’esistenza di una comunità ebraica, compresi i cimiteri, gli ebrei di Bologna abbandonarono la città portando seco anche i loro morti. In seguito scomparirono per sempre alcune comunità ebraiche italiane: quelle di Ravenna, Fano, Camerino, Orvieto, Spoleto, Viterbo, Terracina, non risorsero mai più. Gli ebrei abitanti presso Roma si rifugiano nel già sovrappopolato ghetto romano.
Anche nel resto d'Italia si sentirono le conseguenze della politica antiebraica del papa. A Milano il cardinale Borromeo, propose l'obbligo del marchio giallo, e in un secondo tempo ottenne la loro espulsione. Anche Venezia, dopo la vittoria sui Turchi a Lepanto (vedi sotto), decise di cacciare gli ebrei, decisione poi revocata.
La sua opera puntò, naturalmente, anche all'estirpazione delle eresie. La Bolla cosiddetta "In coena Domini", una raccolta di censure riservate al papa, la cui origine risale al XIII secolo, ebbe da Pio V nel 1568 una formulazione ancora più rigorosa.
Il 1° ottobre 1567 si espresse ufficialmente con la Bolla "Ex omnibus afflictionibus" condannando 79 proposizioni di Michele Baio, professore a Lovanio, e dei suoi discepoli senza farne il nome, semplicemente in sensu ut jacent, dichiarandole in parte eretiche, in parte erronee o scandalose e sospette. Altre bolle furono emanate per la denuncia del dirum nefas, 'l'esecrabile vizio libidinoso' (1568), la conferma dei privilegi della Società dei Crociati per la protezione dell'Inquisizione (1570); il divieto di discussione sull'Immacolata Concezione (1570); l'approvazione del nuovo ufficio della Vergine Maria (1571).
Nel 1571 fu soppresso l'Ordine degli Umiliati, che a Milano avversavano le riforme del Borromeo, accusati di depravazione.
Sotto il suo pontificato Pietro Carnesecchi e Aonio Paleario, già protonotari apostolici, subirono l'estremo supplizio per la loro adesione agli errori dei protestanti, rispettivamente nel 1564 e nel 1567.
Parimenti intransigente fu nella sua politica estera, fondata essenzialmente sulla difesa del cattolicesimo dall'eresia, mirante ad ampliare i diritti giurisdizionali della Chiesa. Per questo mandò in Germania il Legato Gian Francesco Commendone, per impedire che l'imperatore Massimiliano II si sottraesse alla giurisdizione della Santa Sede; inviò milizie proprie in Francia a combattere contro gli Ugonotti tollerati da Caterina de' Medici ai danni della religione cattolica; esortò Filippo II, re di Spagna, a reprimere il fanatismo degli anabattisti nei Paesi Bassi; incaricò san Pietro Canisio di confutare le Centurie di Magdeburgo, prima tendenziosa storia della Chiesa compilata dai protestanti.
Poggiandosi su una concezione canonistica medievale, nel tentativo di elevare al trono inglese Maria Stuart di Scozia, ritenuta la leggittima sovrana, Pio V non esitò a scomunicare e a decretare la destituzione della regina d'Inghilterra ELISABETTA I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, una sovrana di grandi capacità, dal finissimo intuito politico, priva di ogni idealismo religioso, ma che seppe portare la potenza dell'Inghilterra a un altissimo livello, assicurandone la posizione di fronte a Francia e Spagna.
La Bolla di scomunica, "Regnans in excelsis", pubblicata il 25 febbraio 1570, oltre la scomunica e la deposizione della sovrana, scioglieva i sudditi inglesi dal giuramento di fedeltà. Le accuse nella bolla papale denunciavano più il risentimento di un nemico sconfitto che non lo sdegno di un pontefice per le questioni religiose; Elisabetta veniva accusata di aver abolito la messa, le preghiere, i digiuni e le pratiche cattoliche, spargendo per il regno l'eresia, scacciando il clero da chiese, conventi e scuole, ma soprattutto il papa la dichiarava decaduta da ogni privilegio in quanto usurpatrice della corona. A tali gratuite insolenze neppure i cattolici inglesi si sentirono di offrire consensi; fu un grave errore quello del papa invitare ogni cattolico inglese ad essere un buon cattolico, tradendo il proprio patriottismo. Questa fu l'ultima deposizione di un regnante; se la si considera dal punto di vista del risultato, fu un grosso errore.
La regina, che già nutriva avversione per i cattolici che mai l'avevano riconosciuta legittima erede al trono, emanò leggi severissime contro di essi, rimettendo in auge il patibolo. Fu un'epoca tremendamente dolorosa per i fedeli cattolici, che perseguitati come nemici dello stato e rei di alto tradimento, furono gravati di tutta la crudeltà di una giustizia sanguinaria. Non solo, ma la bolla inasprì maggiormente l'orgoglio protestante: il regno fu invaso da scritti inneggianti all'anglicanesimo.
Dopo che l'impero ottomano ebbe conquistato Farmagosta e Nicosia (Cipro), eroicamente difese dal veneziano Marcantonio Bragadin (1571) che, dopo la resa, fu scuoiato vivo, Pio V riuscì con la sua autorità ad imporre una tregua alle risse casalinghe degli stati europei e a costituire una LEGA SANTA per arginare la minacciosa avanzata dei turchi.
Questa Lega si costituì il 20 maggio 1571 ed era composta, oltre che dalla Chiesa, da Spagna e Venezia; inoltre vi si associarono Emanuele Filiberto di Savoia, Ottaviano Farnese, l'Ordine di Malta, la Toscana, Genova, Urbino. Tutti riuniti sotto il supremo comando di don Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V, fratellastro di Filippo II. Lo scontro con i turchi, allora all'apogeo della loro potenza, avvenne il 7 ottobre 1571 nel golfo di LEPANTO, che diede il nome a tale battaglia, considerata sul piano tecnico-militare, la più grande battaglia navale dell'età medievale e moderna, nel campo della marina a remi.
Agli ordini di Mehmet Alì Pascià la flotta turca per parare la minaccia nemica si era avviata, la mattina del 7, verso l'imboccatura del golfo di Lepanto; comprendeva 222 galere, 60 galeotte con 150 cannoni e 88.000 uomini circa. La flotta cristiana era composta da 202 galere, 6 galeazze, 30 navi minori con 1815 cannoni e 74.000 uomini circa, comandate dai veneziani Sebastiano Veniero e Agostino Barbarigo (105 galere), dal genovese Gian Andrea Doria (79 galere), dal messo papale comandante Marcantonio Colonna (12 galere) e da altri minori.
L'avvicinamento delle due armate non fu veloce: le navi cristiane navigavano a lento moto, con i remi, controvento; quelle ottomane erano spinte dal vento. Caduto lo scirocco queste ultime spensero in breve l'abbrivo e si fermarono; verso mezzogiorno si levò una brezza da ponente favorevole ai cristiani, sicchè fu per i turchi la volta di vogare. Lo scontro avvenne nel pomeriggio. G.A. Doria che comandava l'ala destra al largo in fuori si accontentò di scompigliare col fuoco la sinistra nemica. Il veneziano A. Barbarigo, che comandava la sinistra cristiana attaccò risolutamente la destra nemica sgominando 30 galere. La lotta al centro, guidata da don Giovanni d'Austria in persona, durò a lungo nonostante l'impiego congiunto di fuoco e arrembaggi, ma terminò con la disfatta turca, che si completò contemporaneamente anche sulle ali. In conclusione 50 navi ottomane furono distrutte, 117 catturate, uccisi 8000 turchi e circa 10.000 fatti prigionieri; perdite alleate: 15 galere e 7500 uomini, fra cui il Barbarigo. La vittoria cristiana distruggeva la leggenda, formatasi attraverso le imprese turche del mediterraneo durante il XVI secolo, della imbattibilità dell'impero ottomano, di cui segnava insieme l'inizio della decandenza marittima.
Nella stessa ora in cui terminava la battaglia, Pio V stava ragionando di conti con il suo tesoriere quando improvvisamente si alzò, andò alla finestra, rimase alcuni istanti estatico con lo sguardo volto a oriente, e poi esclamò: "Non occupiamoci più di affari. Andiamo a ringraziare Dio perché la flotta cristiana ha riportato vittoria!". Furono immediatamente suonate la campane per comunicare la vittoria e invitare tutta la cristianità al ringraziamento.
A ricordo dell'avvenimento, che cambiò il corso della storia, fu introdotta la festa del Rosario (inizialmente detta 'santa Maria della Vittoria'), il giorno 7 ottobre, che in quell'anno cadeva di domenica; la festa venne estesa nel 1716 a tutta la Chiesa universale, e definitivamente fissata al 7 ottobre da Pio X nel 1913. Il senato veneto fece dipingere la scena della battaglia di Lepanto nella Sala delle adunanze con la scritta: "Non la forza, non le armi, non i comandanti, ma il Rosario di Maria ci ha resi vittoriosi!".
Alla magnifica vittoria di Lepanto seguirono, purtroppo, dissensi fra i governanti, che portarono allo scioglimento della Lega; il successo, dunque, non fu adeguatamente sfruttato e il papa non potè vedere concretizzata la sua aspirazione alla liberazione del Santo Sepolcro.
Pio V, spossato da ipertrofia prostatica di cui, per pudicizia, non volle esser operato, si spense la sera del 1° maggio 1572, a 68 anni d'età, dopo aver detto ai cardinali radunati attorno al suo letto: "Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato! Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l'onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità".
Di lui san Carlo Borromeo aveva detto che, da lungo tempo, la Chiesa non aveva avuto un capo migliore e più santo. Fu sepolto in san Pietro, in Vaticano. L'8 gennaio 1588 la salma venne traslata nella cappella del SS. Sacramento, voluta da Sisto V, a santa Maria Maggiore; il monumento funebre è opera di L. Sarzana.
Lo stesso Sisto V aprì il processo di canonizzazione. Pio V fu beatificato da Clemente X il 27 aprile 1672 e canonizzato da Clemente XI il 22 maggio 1712. La sua festa celebrata il 5 maggio, è stata fissata al 30 aprile dal nuovo calendario.
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