GIOVANNI Maria CIOCCHI dal Monte nacque a Monte san Savino (AR) nel 1487. Dotato di viva intelligenza, studiò giurisprudenza a Perugia e Bologna; avviato alla carriera ecclesiastica fu nominato arcivescovo di Siponto dal 1512 al 1544 e di Pavia dal 1544 al 1550; nel 1543 fu anche presso la diocesi suburbicaria di Palestrina. Venne inviato da Paolo III come Legato pontificio al Concilio di Trento (primo periodo 1545-1547), insieme a Marcello Cervini (futuro Marcello II) e all'inglese Reginaldo Pole. Loro compito era determinare la scelta degli oggetti di discussione e sorvegliare i dibattiti stessi e nelle questioni più importanti, essi ricevevano istruzioni direttamente da Roma; vi si distinse per la fermezza di propositi e la severità dei principi. Grazie all'appoggio del cardinal Farnese, nipote del pontefice suo predecessore, fu eletto cardinale nel 1536.
Alla morte di Paolo III si ebbe una vacanza della sede per quasi tre mesi. Il conclave era diviso tra i cardinali imperiali e quelli francofili; egli era il rappresentante della fazione moderata; l'8 febbraio 1550 il cardinal Ciocchi dal Monte fu eletto assumendo il nome di GIULIO III. Riportiamo uno stralcio di un singolare documento, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi, contenente alcuni consigli che i cardinali diedero al papa appena eletto:
"Fra tutti i consigli che possiamo avere a presentare alla Sua Santità, ne riserviamo il più importante in ultimo. Dobbiamo tenere gli occhi bene aperti ed intervenire con tutta la potenza nostra nell'affare che abbiamo da considerare. Trattasi di quanto segue:
- La lettura del Vangelo non deve essere permessa che il meno possibile specialmente nelle lingue moderne, e nei paesi sottomessi alla Vostra autorità. Il pochissimo che vien letto generalmente alla messa, dovrebbe bastare e devesi proibire a chiunque di leggere di più.
- Finche il popolo si contenterà di quel poco, i vostri interessi prospereranno; ma nel momento che se ne vorrà leggere di più, i vostri interessi cominceranno a soffrire. Ecco il libro, che più di nessun altro, provocò contro di noi le ribellioni, le tempeste che hanno arrischiato perderci.
Difatti, se alcuno esamina accuratamente l'insegnamento della Bibbia e lo paragona a quanto succede nelle nostre chiese, troverà ben presto le contraddizioni e vedrà che il nostro insegnamento spesso si scarta da quello della Bibbia e più spesso ancora in opposizione ad essa. Se il popolo si rende conto di questo, ci provocherà senza requie finche tutto venga svelato ed allora diventeremo l'oggetto della derisione e dell'odio universale. È necessario dunque che la Bibbia venga tolta e strappata dalle mani del popolo però con gran prudenza per non provocare tumulti".
Il carattere fermo e deciso mostrato da prelato, si trasformò in lento e mondano. Ma ugualmente l'opera di Riforma proseguì. Appena eletto papa promulgò il X Giubileo (anche detto 'Giubileo di Michelangelo', per l'attiva presenza a Roma del celebre scultore), indetto da Paolo III, con la Bolla 'Si pastores ovium', che venne inaugurato, con la tradizionale apertura della Porta santa della basilica di san Pietro, il 24 febbraio 1550, e si concluse il giorno dell'epifania del 1551; onde durò meno di un anno. Al fine di favorire i pellegrini, attuò le disposizioni emanate dal suo predecessore sul blocco dei fitti e per regolare il mercato alimentare, norme che in seguito verranno sempre ripetute. Il moderato afflusso dei pellegrini furono seguiti particolarmente da san Filippo Neri con la Confraternita della santa Trinità, un ospizio che ospitava fino a 600 persone al giorno. A questo Giubileo partecipò anche Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti.
E proprio ai Gesuiti, nel luglio 1550, confermò le Costituzioni della Compagnia e li autorizzò, nel 1522, a fondare in Roma il Collegio Romano e il Collegio Germanico, quest'ultimo destinato all'educazione dei giovani prelati tedeschi nella lotta all'eresia.
Si adoperò per combattere il nepotismo e gli abusi della Chiesa romana (con un Concistoro convocato poco dopo l'elezione, il 28 febbraio 1550). Negò la porpora a Pietro Aretino il quale aveva scritto e dedicato al pontefice alcune opere sacre, e si aspettava di essere fatto cardinale, tanto più che con Paolo III la sua quasi certezza di aver il cappello rosso era stata stroncata solo dalla morte di quel papa. All'arrivo a Roma del letterato suo conterraneo, Giulio III gli preparò una calorosa accoglienza, lo abbracciò, lo baciò in fronte e gli mise a disposizione un appartamento veramente regale in Vaticano, ma di farlo cardinale non ne parlò neppure.
Ma proprio con Giulio III si ebbe uno dei fenomeni nepotistici più significativi, che ancora oggi, odora di scandalo. Infatti già da cardinale le pasquinate lo additavano insistentemente come sodomita, ma lo scandalo esplose quando, nemmeno quattro mesi dopo la sua elezione, nominò cardinale il diciassettenne INNOCENZO DEL MONTE (1532-1577), che aveva già fatto adottare dal fratello Baldovino (prima dell'adozione il ragazzo si chiamava Santino). Anche se molti storici affermano che Giulio III fece nominare cardinale 'un figlio', molti altri studiosi non mettono in dubbio che il pontefice fosse affettivamente molto legato a questo ragazzo che aveva conosciuto tredicenne, quale figlio d'un suo servitore. Pare che la nomina cardinalizia fu il premio supremo della sua compiacenza. Tale nomina, contro cui protestarono invano i cardinali più sensibili alla necessità di riformare i costumi della Chiesa per contrastare la Riforma protestante, suscitò ampio rumore nelle Corti europee: la lista dei commenti scandalizzati dell'epoca è lunghissima. E nonostante una voce benevola che circolava a Roma spiegasse beffardamente la nomina come premio del fatto che il ragazzo era... custode della scimmia del papa (e fu quindi soprannominato 'Bertuccino'), per i protestanti non c'erano dubbi sulle motivazioni della nomina.
Come se ciò non bastasse, Innocenzo si rivelò uno dei peggiori cardinali che la Chiesa abbia mai avuto: rimasto libero di sé a 23 anni (Giulio III morì nel 1555) fu coinvolto in una catena di fattacci ed esiliato da molti pontefici successivi.
Protettore di artisti e mecenate, Giulio III fece costruire sulla via Flaminia, dal 1551 al 1553 la splendida Villa Giulia, opera dell'Ammannati, del Vignola e del Vasari. Il complesso della villa si articola su due cortili separati da un ninfeo, che originariamente era un vero e proprio teatro d'acque. Internamente la villa è riccamente decorata con affreschi, stucchi, marmi policromi e statue; ivi venne collocato il Museo archeologico. Dopo la morte del papa fu ereditata dal fratello Baldovino, ma, alla sua morte avvenuta nel 1557, fu confiscata dal Paolo IV.
Inoltre potenziò la Biblioteca Vaticana e l'Università La Sapienza di Roma. Protesse Michelangelo e Palestrina.
Riuscì a far riaprire il Concilio di Trento (secondo periodo, sessioni XI-XVI) sospeso da Paolo III nel 1548; infatti la nuova bolla di convocazione fu promulgata il 14 novembre 1550. Per alleviare il lungo viaggio dei prelati a Trento si fece uso per la prima volta, di carrozze sospese a cinghie di cuoio per ammortizzare i balzi provocati dalle ruote, normalmente cerchiate in ferro.
Il Concilio fu ufficialmente aperto il 1° maggio 1551.
A questa parte del Concilio non intervennero i prelati francesi a causa della guerra contro la Francia in cui Giulio III si trovò implicato (vedi sotto); invece dalla Germania convennero a Trento gli arcivescovi elettori di Magonza, Treviri, Colonia. Nel suo insieme il nomero deipartecipanti fu di poco superiore rispetto al primo periodo.
Si proseguirono i lavori circa i sacramenti e si pubblicarono i decreti relativi sull'Eucarestia (sess. XIII, 11 ottobre 1551), sulla Penitenza e sull'Estrema Unzione (sess. XIV, 25 novembre 1551) e i decreti di riforma riguardanti per lo più l'esercizio dell'autorità vescovile, i costumi del clero e la regolare collazione dei benefici. In seguito all'infaticabile azione dell'imperatore Carlo V, comparvero dall'ottobre 1551 al marzo 1552, muniti di un salvacondotto del concilio, anche alcuni inviati dei protestanti tedeschi, cioè del principe elettore Gioacchino II di Brandeburgo, del duca Cristoforo del Wurttenberg, di sei importanti città imperiali della Germania Superiore e del principe elettore Maurizio di Sassonia.
Nonostante ogni accondiscendenza però le trattative con loro non approdarono a nulla, perchè essi posero condizioni in parte inaccettabili, quali la sospensione e la ridiscussione di tutti i decreti già emanati, il rinnovamento dei decreti di Costanza e Basilea sulla superiorità del concilio sul papa, e lo scioglimento dei membri del concilio dal giuramento di obbedienza al papa.
Il tradimento del principe elettore Maurizio verso l'imperatore e il suo passaggio al servizio della Francia, la spedizione degli alleati nella Germania meridionale, e la minaccia di occupazione della città di Trento, convinsero Giulio III, preoccupato anche di veder precipitare la contesa tra Carlo V ed Enrico II in una guerra generale, alla sospensione del concilio per due anni, decretata nella sessione XVI (28 aprile 1552); in effetti però trascorsero quasi un decennio completo prima che il sinodo venisse ripreso.
Giulio III, infatti, si era lasciato trascinare dall'imperatore in una guerra contro i Farnese, anche se dopo appena due giorni la sua elezione, aveva ordinato che Parma fosse restituita ad Ottavio Farnese; aveva anche confermato l'investitura del ducato di Castro ad Orazio, fratello di Ottavio, e ad entrambi aveva lasciato le cariche di prefetto di Roma e di gonfaloniere della Chiesa. Eppure nonostante questo zelo, ben presto i buoni rapporti che regnavano tra il pontefice e i Farnese si alterarono e ciò dipese dal fatto che i Farnese avevano visto nuovamente il territorio di Parma invaso da Ferdinando Gonzaga, e Orazio, il 27 maggio del 1551, lusingato da Enrico II, che gli prometteva in sposa la figlia naturale Diana, aveva stretto legami con il sovrano francese.
Ne risultò che la casa Farnese, prima era schierata a favore del papa e dell'imperatore, ora si metteva sotto la protezione della Francia. Giulio III, suo malgrado, si trovò coinvolto in una guerra che tornava a metter di fronte la Francía e la Spagna. Come al solito, il teatro delle contese dei due sovrani non poteva che essere l'Italia.
Ferdinando Gonzaga (filo-imperiale) occupò Brescello, terra del cardinale Ippolito d'Este, che era al servizio del re di Francia, e si preparò a cingere d'assedio Parma, mentre alla Mirandola, mandati da Enrico II, giungevano Piero Strozzi e Cornelo Bentivoglio per radunare truppe e soccorrere il Farnese. Sul cominciare del luglio 1551 l'esercito imperiale-pontificio mandò ad assediare la Mirandola, saccheggiando e bruciando barbaramente il territorio; intanto Enrico ordinava al suo generale, il Brissac, di occupare san Damiano, Chieri, Brusasco ed altre terre del Piemonte, riuscendo ad alleggerire Parma e la Mirandola dalla pressione ispano-pontificia. Difatti Ferdinando Gonzaga, che aveva devastato il territorio parmense e occupati parecchi luoghi, fra cui Calestano, Torrechiara e Felino, lasciato all'assedio della città parte del suo esercito al comando del marchese di Marignano, con il resto dovette accorrere in Piemonte (settembre del 1551).
La partenza del Gonzaga cominciò a far sentire il peso maggiore della guerra a Giulio III, il quale si pentiva ora di essersi messo in una lunga e dispendiosa guerra e cercava di riavvicinarsi alla Francia. Trattative con Enrico II vennero iniziate, ma il sovrano francese pose delle condizioni così pesanti che il pontefice ruppe i negoziati. Questi però furono ripresi quando il papa si accorse che la fortuna dell'imperatore, minacciato da una terribile insurrezione in Germania e da grandi preparativi francesi, stava declinando, di modo che i nuovi incontri condussero ad un accordo, stipulato il 29 aprile 1552.
In questo accordo si stabiliva una tregua di due anni, passati i quali il re di Francia avrebbe lasciato il duca Ottavio in piena libertà di poter trattare e accordarsi con il papa; quest'ultimo e l'imperatore non sarebbero stati più offesi nell'indipendenza dei loro territori; Castro veniva consegnata in mano dei due cardinal Farnesi. L'imperatore aveva undici giorni di tempo per poter essere incluso nell'accordo; se non lo avesse fatto sarebbero stati dichiarati nulli tutti i provvedimenti presi in suo favore e, inoltre, se non avesse voluto ratificare gli articoli che riguardavano lui, il papa sarebbe stato libero di ritirarsi dalla guerra "senza prestare ad esso l'autorità sua, né aiutarlo, né di favore, né di gente, né di denari, né di vettovaglie, né altrimenti in qualunque maniera si sia".
Il pontefice fece sapere a Carlo V di essere stato costretto all'accordo dalle sue finanze esauste, dai pericoli cui era esposto lo Stato Pontificio e dal fatto che la Francia tendeva ad abbracciar le dottrine luterane; l'imperatore, che in quel momento non si trovava in condizioni migliori del papa, accettò l'accordo e lo ratificò il 10 maggio.
Giulio III si interessò anche al ritorno dell'Inghilterra al cattolicesimo. La riconciliazione avvenne di fatto sotto la regina Maria la Cattolica, a cui il pontefice, nel gennaio 1555, mandò legato un valente prelato, il cardinale Reginaldo Pole; ma non fu che breve tregua: succeduta al trono Elisabetta I, il distacco della Chiesa inglese da Roma divenne definitivo.
Grande mangiatore di cibi grassi e agliati, Giulio III, gottoso da tempo, morì a Roma il 23 marzo 1555. Le sue spoglie riposano insieme a quelle del suo pupillo, Innocenzo, nella Cappella del Monte, nella chiesa di san Pietro in Montorio a Roma.
|