Giuliano della Rovere nasce ad Albisola il 5 dicembre 1443. La famiglia, nobile da alcuni anni, ha già un suo membro candidato al trono papale; si tratta di Sisto IV (pontificato 1471-1484) , zio di Giuliano, che nei primi studi aiuterà il giovane nipote nella carriera ecclesiastica. Prima ancora che Sisto IV salga sul soglio, Giuliano diviene vescovo di Avignone e di altri sedi fra cui Bologna e Vercelli e ha anche la legazione della Marca e dell'Umbria.
Poi appena salito sul soglio (1471) lo zio al 28enne nipote gli dà la porpora di cardinale.
Sia dallo zio papa, sia da papa Innocenzo VIII, Giuliano riceve importanti incarichi diplomatici e missioni politiche presso la corte francese e in Olanda. Queste sue esperienze gli permette di contrarre vincoli di amicizie presso i regnanti di Francia e ciò gli sarà particolarmente utile quando chiederà l'aiuto del re francese Carlo VIII contro il papa Mediceo Alessandro VI, sotto il cui pontificato egli è costretto a vivere dieci anni in Francia, esule da Roma.
Era quello uno dei periodi più tristi della storia della Chiesa, un'età di corruzione e di nepotismo, di crisi dell'autorità spirituale e temporale del Papa. Per capovolgere la situazione ci voleva un uomo innanzitutto di nazionalità italiana, ricco di cultura rinascimentale, oltre che un uomo di azione, cioè un principe che va alla conquista di un regno come un soldato.
L'obiettivo doveva essere: la restaurazione della potestà temporale della Chiesa assai compromessa nell'Italia delle Signorie, ed era una potestà che desiderava accomunare tutto il territorio italiano.
Finalmente, il 31 ottobre 1503, ormai 60enne, la tenace avversione allo scandaloso pontificato di Alessandro VI, è premiata. Alla morte di quest'ultimo per un attacco di febbre perniciosa (di malaria, ma alcuni dicono avvelenato) e dopo il brevissimo (nemmeno un mese) pontificato di Pio III, Giuliano viene eletto Papa col nome di GIULIO II.
Più che un papa di chiesa, fu poi - per il suo procedere guerresco- definito un "papa soldato". Purtroppo la sua eccessiva audacia e impulsività non gli permetteranno di coronare i suoi intenti.
Si era scelto il nome Giulio, non tanto in omaggio al pontefice che aveva portato quel nome, quanto per ammirazione verso Giulio Cesare. E nonostante i suoi 60 anni, di animo e più ancora di aspetto era veramente cesareo, più adatto a fare un principe o un capitano d'esercito che non un papa. "Ma di un tal papa (sostiene il Rohrbarcher) aveva bisogno quel tempo".
Alla sua elezione ci furono i soliti maneggi tra i diversi gruppi di cardinali. Giuliano riunì il 20 ottobre nel palazzo Vaticano i cardinali spagnoli e Cesare Borgia (non del tutto ripreso dallo stesso male che aveva colpito Alessandro VI). Il Borgia nella speranza di poterlo sfruttare diede il suo voto favorevole a Giuliano Della Rovere, ma questi a sua volta contava di sfruttare il Borgia, promettendogli di crearlo gonfaloniere della Chiesa, assicurardogli i domini, di unire in matrimonio il nipote Francesco della Rovere con una figlia del duca. Il Valentino - che non si era mai fidato di nessuno - non fece bene i suoi calcoli fidandosi proprio nel Papa che era stato il nemico più accanito della famiglia Borgia. Ma ciò non ci deve recare meraviglia. Le condizioni di Cesare Borgia erano tali da indurlo ad accettar l'amicizia di chi lo aveva sempre avversato. Egli aveva difatti perduta gran parte del suo stato, e le stesse Romagne che gli si erano mantenute fedeli, ora erano in subbuglio e gli sfuggivano di mano.
Pandolfo Malatesta aveva ceduto Rimini ai Veneziani; in potere di questi ultimi erano cadute Faenza, Montefiore, Sant'Arcangelo, Verucchio, Porto Cesenatico e parecchie altre terre; al Valentino non rimanevano che le rocche di Forlì, Cesena, Forlimpopoli e Bertinoro.
Il 31 ottobre 1503, in poche ore i 27 cardinali avevano eletto Giuliano, il giorno dopo lo proclamarono.
Per prima cosa Giulio II, avverso com'era alla famiglia del suo predecessore, non volle abitare l'appartamento dei Borgia, per non vedersi davanti i loro ritratti o i loro stemmi.
Suo pensiero dominante - e lo comunicò a tutti i sovrani - la restaurazione della potestà temporale della Chiesa, oltre il proposito di abbattere l'impero turco. Esortava quindi i sovrani di Spagna a far la pace con la Francia, onde unire le loro armi nella santa impresa. In cuor suo altro impegno, era quello di distruggere non solo i loro stemmi da ogni edificio ma i Borgia stessi.
Ma per distruggere l'opera dei Borgia, era necessario liquidare il duca Valentino e la di lui famiglia. Delle sue intenzioni il pontefice dava prova l'anno dopo (1504), quando con una bolla tolse il ducato di Semoneta a Rodrigo Borgia per assegnarlo al Gaetani, e a Cesare non concesse la carica promessagli di capitano generale della Chiesa. Il Borgia rodendosi dalla rabbia si accorse presto del suo errore, delle mire del papa, ed era indispettito perchè i territori della Romagna erano in subbuglio, e Venezia pronta ad impadronirsene, aveva già occupato Faenza, Ravenna, Cervia e scesa fino a Rimini, la parte migliore della Romagna.
Giulio in questa situazione non proprio chiara, anzi piuttosto ambigua dei veneziani, non volle rompere del tutto con il Valentino, gli sembrò invece più opportuno incitarlo a riconquistare quei territori, temendo che passassero in soggezione di Venezia (a suo parere già troppo forte).
In effetti i veneziani speravano di giocare il pontefice, dandogli a credere che quanto facevano in Romagna, lo facevano contro il suo nemico Cesare Borgia e non contro di lui.
Giulio non si fece incantare dai veneziani e agì subito: intimò al Borgia di consegnargli tutte le terre della Romagna. Cesare cominciò a nicchiare, e allora il papa diede ordine che fosse catturato e tradotto a Roma.
La cattura fu eseguita da Mantova, e il suo ambasciatore narra che Cesare era all'improvviso diventato vile e pauroso, e che piangendo pensava al suo triste destino, convinto che l'avrebbero condannato a morte. Giulio invece non arrivò a tanto, quando l'ebbe davanti non si mostrò crudele; gli assegnò perfino un appartamento dentro il Vaticano, ovviamente sotto stretta sorveglianza.
Dalla sua quasi prigionia, il duca scrisse e ordinò ai suoi capitani di consegnare le città ai messi papali. I capitani di Forlì e Bertinoro non vollero eseguire l'ordine dicendo che l'avrebbero eseguito solo alla presenza del duca in piena libertà; quello di Cesena non solo si rifiutò ma i messi del papa li fece impiccare. Giulio a Roma andò su tutte le furie e rinchiuse questa volta Cesare nella torre dei Borgia.
Però nel frattempo gli spagnoli avevano rialzato la testa in seguito alle vittorie di Consalvo Borgia di Cordova contro i francesi nell'Italia meridionale. In brevissimo tempo tutto il reame di Napoli era caduto in potere della Spagna, la quale, l' 11 febbraio del 1504 concluse a Lione una tregua di tre anni con la Francia. Giulio a quel punto acconsentì ad un accomodamento pacifico col Valentino; lo liberò, lo mise sotto la sorveglianza del cardinale spagnolo Carnayal, e lo mandò in Romagna dandogli tempo 40 giorni per convincere i capitani di Cesena, Forlì e Bertinoro a consegnare le fortezze delle città.
Bertinoro e Cesena (ma non Forlì) consegnarono le fortezze, e Carnayal dopo aver ricevute in mano le città, ad insaputa del pontefice mise il libertà il Valentino, il quale si precipitò a Napoli presso lo zio cardinale Lodovico Borgia. Consalvo di Cordova, non solo lo accolse bene, ma gli promise delle milizie per riconquistare la Romagna. Doveva però chiedere in Spagna a Re Ferdinando il Cattolico, che per tutta risposta invece di assentire, gli passò l'ordine di catturare il Valentino, perchè pericoloso alla pace d'Italia.
Il 27 maggio 1504, Cesare fu catturato, incatenato, rinchiuso nel castello di Ischia. Il 20 agosto successivo inviato in Spagna in catene e rinchiuso nel castello di Medina del Campo. Ma pur sorvegliato a vista, Cesare il 25 ottobre 1506 calandosi da una finestra riusci a evadere dalla fortezza. Andò a rifugiarsi presso il cognato Giovanni d'Albrette, re di Navarra.
Giulio II apprese la notizia con qualche timore, subito allontanato quando il 12 marzo 1507 gli giunse un'altra rassicurante notizia che l'informava che Cesare era caduto combattendo in una banale battaglia sotto le mura del castello di Viana contro un ribelle del cognato.
Così finiva, quasi nell'oscurità, i suoi giorni questo principe che con ogni mezzo era riuscito a costituirsi in Italia uno stato potente. La sua sorte provava chiaramente come fossero di durata effimera quegli stati acquisiti con il nepotismo delle famiglie papali, con le nefandezze, con la forza, con la minaccia delle armi, con i crimini.
Tuttavia, Machiavelli parlando dell'opera politica del Valentino nel "Principe" dice: " Benchè l'intento suo non fosse di far grande la Chiesa, non di meno ciò che fece tornò a grandezza della Chiesa, la quale, spento il duca, fu erede delle fatiche sue". Vale a dire che il Valentino aspirò a formarsi un principato nei territori pontifici, dove imperversava l'anarchia. Vi riuscì, ma non potè conservarlo per sè, perchè Giulio II, con mano energica, seppe spodestarlo e recuperare alla Chiesa le terre di Romagna che il Valentino aveva riordinate.
Cio che accadde dopo la morte del Valentino (i fatti d'armi e le contese fra Stati e Chiesa, con Giulio II in testa a cavallo con la spada in mano) vi suggeriamo di leggere le pagine dedicate fino al 21 febbraio 1513 in "Storia d'Italia"....Capitolo Giulio II- Lega Cambrai- Lega Santa
Di fronte ai due stati stranieri che avevano messo piede nel settentrione e nel mezzogiorno d'Italia non rimanevano che due sole potenze, Venezia e lo Stato Pontificio, le quali avrebbero potuto impedire la rovina della penisola se fossero andate di accordo.
Per riavere le terre occupate dai veneziani Giulio II in un primo momento si limitò a lanciare contro la potente città lagunare semplici ammonimenti a titolo di rivendicazione. Ma poi risoluto a rimettere nelle mani della Chiesa tutti i possessi che le erano appartenuti, GIULIO II aveva ricusato le proposte di Venezia che si dichiarava pronta a pagare alla Santa Sede un tributo per le città che aveva acquistate, e nel novembre del 1503 a NICOLÒ MACHIAVELLI aveva manifestato il suo fermo proposito di ricuperare quelle città dicendo che se non fossero restituite egli «avrebbe fatto ogni estremo sforzo e provocati tutti i principi cristiani » contro i Veneziani. Vedendo che i suoi reclami rimanevano lettera morta, nel gennaio del 1504 il Pontefice pubblicò una bolla con la quale ingiungeva ai Veneziani di restituire tutti i luoghi di Romagna; ma all' ingiunzione il doge rispose che "mai si renderia dette terre, anche se dovessimo spendere fino le fondamenta delle nostre case". Una sfida dunque.
Alle minacce di scomunica, Venezia rispondeva con insolenza. Alle parole di Giulio "Io non mi rimarrò fino a che non vi abbia fatti umili, e tutti pescatori siccome foste", l'ambasciatore Pisani pare sorridesse di compassione e di rimando rispose "Vieppiù vi faremo noi, Padre Santo, un piccol chierico, se non sarete prudente".
A complicare ulteriormente le cose ai veneziani ci si mise l'imperatore Massimiliano I che accampava diritti su alcune città occupate da Venezia in terraferma, dove da un po' di tempo la Repubblica di San Marco stava allargandosi; e per le stesse ragioni anche il re di Francia che - come duca di
Milano - aspirava a Bergamo, Brescia, Cremona.
Non riuscendo ad ottenere ciò che chiedeva con pacifiche trattative, approfittò Giulio II, divenendo il promotore della nascita di una lega ai danni di Venezia. La Lega fu conclusa a Cambrai il 10 dicembre 1508. Vi aderirono i francesi, l'imperatore, il re di Spagna Ferdinando, il marchese di Mantova, i duchi di Savoia e di Ferrara ed altri principi minori.
La superba Venezia confidando nelle sue forze iniziò le ostilità con le truppe condotte da Niccolò Orsini e Bartolomeo di Alviano. I quali affrontarono il conflitto senza un vero e proprio piano di guerra, cosicchè il 14 maggio 1509 ad Agnedello avvenne lo scontro tra Francesi e i Veneziani. che ebbero la peggio, furono battuti. Ma più che una battaglia stavano perdendo una guerra; i nemici invadevano il suo territorio da tutte le parti, e tutti puntavano sulla laguna. Il pericolo era enorme per la stessa sua sopravvivenza. Ma qualche saggio salvò la Repubblica. Per prima cosa sciolse dall'obbedienza tutte le città della terraferma, così ognuna provvide alla propria difesa dall'occupazione straniera. Poi con Giulio II si dichiarò pronta (e inviò a Roma sei delegati) a restituire le città contestate. Il papa che non aspirava che a quel recupero, trattò la pace separatamente con i veneziani e in San Pietro ci fu la
riconciliazione.
La pace separata non piacque a Luigi XII, che oltre che strepitare, inalberò la bandiera della ribellione contro il pontefice; ad una assemblea di cardinali convocata prima a Orleans poi a Tours, stabilì che "il papa non ha la facoltà di far guerra a un principe straniero fuori dello Stato Pontificio; e che verificandosi il caso il principe aggredito ha facoltà di impossessarsi dei domini della Chiesa e di negare obbedienza al romano pontefice". Si ritornò insomma a proclamare i privilegi della chiesa di Francia e la nullità delle censure contro i medesimi.
Giulio non si perse d'animo. Prima fulminò con la scomunica il re di Francia e i cardinali ribelli (14 ottobre). Poi montò a cavallo e alla testa delle truppe accorse di persona contro il Bentivoglio (filofrancese), deciso a impadronirsi di Bologna. Aveva 70 anni, gli strapazzi e le fatiche incisero sul suo fisico. Si mise a letto con la febbre alta, ma nel delirio lanciava invettive contro i francesi. Quando riprese un po' di forze, un cronista bolognese narra che disse "...che non voleva più rasar la barba fino a quando aveva scalzato fora el re Ludovico de Franza dall'Italia".
Alla fine di un dicembre molto rigido, Giulio II lasciò il letto, e contro il parere dei medici, il 2 gennaio 1511 si portava all'esercito che stringeva d'assedio Mirandola in mano ai nemici.
Girolamo Lippomano, ambasciatore veneto così scrisse "Giulio II è comparso contro l'aspettazione di tutti. Da quanto pare è pienamente ristabilito: gira intorno al campo nel turbinio di neve; non teme nè vento nè pioggia, ha una tempra da gigante. Ieri dì e oggi ha nevicato senza interruzione; la neve arriva al ginocchio dei cavalli, pur tuttavia il papa sta nel campo".
Per star vicino alle truppe, si stabilì al chiostro di S. Giustina. E poco mancò l'animoso pontefice di rimanerci per sempre. Il 17
gennaio una palla di cannone nemica cadde nel suo appartamento ferendo due suoi camerieri e mancando di poco il papa (la palla fu poi inviata come ex voto al santuario di Loreto). E quando tre giorni dopo la fortezza capitolava, nella breccia aperta delle mura, Giulio II si arrampicò su per una scala a pioli per essere tra i primi a penetrare.
(Per la conquista e la perdita di Bologna vedi le pagine indicate nel link sopra)
____________________________
Il 21 febbraio del 1513 è il giorno in cui Giulio II cessò di vivere, dopo aver compiuto l'ultimo suo atto: l'alleanza che costrinse i veneziani a unirsi a lui nella Lega Santa per lottare contro gli stranieri. Diceva Giulio II all'ambasciatore veneto Giustiniani "Noi vorressimo che li Italiani non fossero nè francesi, nè spagnoli, e che fossero tutti Italiani e loro stessero a casa sua e noi alla nostra". Fu il primo a lanciare il fatidico grido. "Fuori i barbari!". E fu lui stesso a muovere e a comandare gli eserciti contro i mercenari del trono capetingio: lui il primo ad entrare a Modena nella fortezza presidiata dai francesi, attraverso una breccia. Lui a entrare a Perugia, lui a entrare a Bologna. I francesi furono poi cacciati e dovettero abbandonare tutti i loro possessi nella penisola italiana, compresa la Lombardia, anche se Luigi XII non si era rassegnato a perdere una città dell'importanza di Milano.
Purtroppo gli eventi che portarono a cacciare i Francesi ebbero per conseguenza la loro sostituzione con altri stranieri, gli Spagnoli.
Dunque l'opera di Giulio II quando morì, non era ancora compiuta, ma ebbe la soddisfazione di vedere i "barbari" lontani dall'Italia.
Un errore lo commise, forse di principio: credette di restaurare l'influenza religiosa del papato, rendendolo forte militarmente. Comunque fra i principi d'Italia di quel secolo Giulio II fu quello che ebbe una politica arditamente italiana. L'egemonia dello Stato Pontificio in Italia e l'egemonia dell'Italia in Europa: ecco l'ideale perseguito - ma non raggiunto - da papa Giulio II.
Si narra che gettò le chiavi di S. Pietro nel Tevere, e che serbò solo la spada di S. Paolo. E si racconta che Michelangelo quando abbozzava la statua da erigere a Bologna a Giulio II, dopo aver disegnata la mano destra del pontefice in atto di benedire, chiedeva "Ma che farà la sinistra? Porterà un libro?". E Giulio gli rispose: "A me un libro? Mi tratti da scolaro? Voglio una spada".
Liberatosi del Borgia, di Gian Paolo Baglioni, e di Giovanni Bentivoglio, dovè arrestarsi di fronte alla potenza di Venezia: come abbiamo letto aderì allora alla Lega di Cambrai affrettando così la fine dell'unico Stato italiano ancora in grado di resistere allo straniero: fu questo il suo principale errore politico. Resosi in seguito conto del pericolo rappresentato dalla Francia le si volse contro, e oltre che con la Spagna e Svizzera si unì proprio con Venezia nella Lega Santa.
Non commise invece nessun errore quando maturò la felice idea di illustrare la religione con la magnificenza delle arti. Andava dicendo "Noi reputiamo essere nostro dovere di promuovere il culto divino non solo con statuti, ma altresì col buono esempio..... Il saggio Salomone, sebbene non illuminato dalla luce del cristianesimo, non risparmiò alcun sacrificio onde edificare al Signore Iddio una casa degna di Lui". Evidentemente Giulio II non solo voleva imitare ma superare Salomone.
Basterà ricordare l'opera concepita e voluta da Giulio II: la nuova basilica di San Pietro; fu lui a collocare la prima pietra il 18 aprile dell'anno 1506; costruzione dapprima affidata al Bramante.
Una grandiosa mole materiale che desse l'immagine tangibile della grandezza della Chiesa, che Cristo aveva affidato da reggere a Pietro.
Altra scelta felice furono gli artisti chiamati da Giulio II a Roma; i più geniali architetti, pittori, scultori di tutti i tempi. Bramante concepì l'architettura di S. Pietro; Raffaello e poi Michelangelo dipinsero le Stanze e la Cappella Sistina; al secondo commise anche il suo sepolcro, che doveva consistere in un mausoleo gigantesco, coronato di statue e coperto da bassorilievi. Michelangelo non lo condusse a termine; ci resta però la statua del Mosè, che è lo sforzo più originale, più grande e più sublime della scultura cristiana. "In verità nel Mosè di Michelangelo (scrive il
Pastor) è incarnato quel papa-re, che umiliava la superba Venezia, restaurava lo Stato ecclesiastico e cacciava dall'Italia i bellicosi francesi. Tutta la terribile violenza e quasi sovrumana energia del papa Della Rovere, ma insieme l'orgoglio, la fierezza e il carattere inflessibile non che il naturale oltremodo veemente e passionale dell'artista parlano da questa figura titanica".
Curiose le relazioni tra Giulio II e Michelangelo, due caratteri che giunsero a lotte violente fra loro, ma che tuttavia si comprendevano a vicenda, diventando perfino inseparabili. Ricorriamo a ciò che scrive l'inglese Addington Sjmonnds "Erano due uomini di egual calibro e dello stesso temperamento; grandiosi nei loro disegni, fieri nell'esecuzione dei loro piani, terribili nel rigore e nell'impeto del loro genio; uomini costrutti moralmente e materialmente con linee di forza e di grandezza, piuttosto che di grazia e di sottigliezza; uomini in cui niente era di volgare o di mediocre, i cui stessi difetti erano improntati di passione e di grandezza. Essi si incontrarono come nubi cariche di elettricità, piene di tempeste e di lampi, e di primo tratto s'intesero l'un l'altro".
-------------------------------
Il Gregorovius dà questo giudizio di Giulio II: " Sulla cattedra di S. Pietro fu uno dei più profani e antisacerdotali tra i pontefici, appunto perchè fu uno dei prìincipi più eminenti del suo tempo". Il Bellamino osserva dal canto suo che "...i pontefici avevano pur l'obbligo di difendere i propri Stati, dal momento che erano prìincipi temporali. Tanto meno poi spetta agli Italiani infamare la memoria del bellicoso pontefice, poichè nella sua politica e nelle sue imprese militari diede un raro esempio di seguire un indirizzo risolutamente nazionalista, precorrendo in tempi forse e meglio dei grandi scrittori di storia e di politica della sua epoca".
"I tempi erano tali - come dice il Burckhardt- che bisognava essere o incudine o martello, e Giulio II, per conservare il suo Stato e per restaurare la potenza della Chiesa, fece da martello".
In sintonia anche il Pastor: "All'estero, dove le cose italiane non si conoscevano da vicino, fece molto scandalo per il procedere guerresco del papa, mentre in Italia l'opera politica di Giulio II veniva quasi generalmente riguardata come indispensabile e benefica per la Chiesa e per la patria... Così Giulio II ci sta innanzi come uno dei più poderosi pontefici dopo Innocenzo III, per quanto ei non fosse un ideale di papa. La critica imparziale infatti non può negare che Giulio II, abbia secondato troppo delle tendenza esclusivamente politiche e proceduto in tutte le sue imprese con una passionatezza e interperanza punto dicevoli a un papa. Genuino, personaggio fuori affatto della comune, egli concepì il suo compito in maniera impetuosa, violenta, con una forza veramente erculea. Ma forse richiedevasi appunto un tale personaggio per diventare il salvatore del papato in un epoca di prepotenza, quale era il principio del secolo XVI" (vol. III, 712).
-----------------------------
Morto Giulio II, i cardinali si chiusero in conclave il 4 marzo e il giorno 11 riuscì eletto GIOVANNI de' MEDICI che, col nome di LEONE X, fu incoronato papa in San Giovanni in Laterano l' 11 aprile del 1513, anniversario della battaglia di Ravenna.
Nella scelta del Medici, uomo dotto, amante delle arti e della pace, c'era la volontà e il desiderio da cui il collegio cardinalizio era animato di dare alla Chiesa un capo che del predecessore non avesse la natura collerica e l' indole battagliera.
|