Dopo la morte di Paolo II avvenuta improvvisa il 26 luglio 1471, i cardinali del Sacro Collegio di riunirono in conclave per eleggere il nuovo papa. Erano 18, di cui 15 italiani, quindi esclusa la possibilità dell'elezione di uno straniero.
Anche questa volta i cardinali prima di esprimere il voto su uno di loro, stesero un accordo molto simile ai precedenti (ma poi sempre disattesi); il più importante era sempre il solito: consolidamento del Sacro Collegio nei confronti della sovranità assoluta del pontefice; un capitolato che tendeva a diminuire il potere monarchico del papa a tutto vantaggio di quello del Sacro Collegio. Ma anche questa volta le speranze furono deluse dal nuovo eletto che si avvalse del parere di alcuni canonici, ma in pratica era quel concetto ben chiaro espresso da Paolo II ""Io sono il papa e posso fare e disfare come più mi piace".
Il 9 agosto risultò eletto il cardinale Francesco della Rovere, poi consacrato il 25 dello stesso mese con il nome di SISTO
IV.
Della Rovere era nato a Celle di Savona il 21 luglio 1414, da modesta famiglia. Entrato nell'Ordine dei Minori (dove poi divenne superiore generale dei Francescani) compì gli studi alle università di Pavia e Bologna, dove in entrambe fu anche professore. Il dotto francescano Bessarione dice che non vi era allora in Italia persona erudita al pari del Della Rovere. Compiaciuto di tali qualità ad elevarlo alla dignità cardinalizia il 18 settembre 1867, fu Paolo
II.
Divenuto pontefice, nei suoi 13 anni di pontificato, non smenti la sua fama di dotto e di studioso, rivelandosi un uomo
politico di prim'ordine, per quanto poco fortunato, perchè il suo periodo coincise con quello più agitato in Italia.
Nel giuramento del famoso accordo pre-elezione, vi era anche l'impegno di proseguire la crociata contro i Turchi, e Sisto IV non venne meno a quel patto, mettendoci anche molto zelo per la difesa della cristianità, preparando navi e raccogliendo somme e inviando cardinali e legati ai vari sovrani europei per sollecitare il loro intervento.
Il fallimento principale fu che in questo periodo gli Stati Italiani erano in stato
convulsionario, con alleanze che si facevano e disfacevano. Tuttavia un intervento in Asia minore ci fu con l'aiuto di Venezia e Napoli; e qualche risultato la flotta al comando del cardinale Oliviero Carafa
lottenne, 23 gennaio del 1473 fece il suo solenne ingresso a Roma, portando con sé le catene del porto di Attalea che vennero appese alle porte del Vaticano. 23 gennaio del 1473 fece il suo solenne ingresso a Roma, portando con sé le catene del porto di Attalea che vennero appese alle porte del Vaticano. Ma i risultati furono ben scarsi. Anzi i Turchi giunsero fino all'Isonzo e quasi alla porte di Venezia, e tutti gi altri stati a guardare.
Queste vicende le narriamo con abbondanza di particolari nella pagine di Storia d'Italia.
Per Venezia fi fu la necessità di una pace con gli Ottomani e avviate trattative con Costantinopoli e il 26 gennaio del 1479 tra la repubblica e il sultano venne firmato un trattato. Oltre alla pace con "gli infedeli" Venezia pensò anche agli affari; due cose che sdegnarono gli ipocriti stati e staterelli italiani rimasti a guardare, forse in attesa della fine della Repubblica. Un cronista contemporaneo, Giovanni
Duglos, si lagnò che Venezia avesse sottoscritto questo trattato con disonore proprio e di tutta la cristianità, e se ne dolsero vivamente anche i principi cristiani di cui l'inerzia e il mal talento erano stati non ultima ragione che si stipulasse. Ben meglio sarebbe stato per loro e per essa se tale ipocrita concordia nei lamenti e nelle accuse si fosse palesata invece nella volontà di soccorrerla a tempo contro quel nemico di cui si deploravano i trionfi dopo che con delazioni, con favori, con eccitamenti si era aiutato a conseguirli ».
Ma se a Venezia in questi anni si soffriva, a Milano gli Sforza prosperavano...
noi qui vi rimandiamo a queste pagine, con i moltissimi avvenimenti legati ai potenti signori lombardi
Nello stesso periodo a Firenze non c'era serenità neppure dentro la famiglia dei Medici, né mancavano le congiure: come la "Congiura dei Pazzi". vedi in queste altre pagine
Padrone quasi assoluto di Firenze Lorenzo de' Medici cercò di estenderne il territorio dalla parte della Romagna, acquistando Imola; che era caduta nelle mani di Galeazzo Maria Sforza. Il tentativo però di acquistare questa città non solo non doveva riuscirgli, ma doveva, procurargli un nemico: Sisto
IV.
Il Pontefice, che aveva fatto base di tutta la sua politica il nepotismo e che aveva, non appena ricevuta la tiara, dato il cappello cardinalizio a due suoi nipoti, andava sollecitando lo Sforza affinchè gli vendesse Imola, che voleva dare in signoria a Girolamo
Riario, suo nipote (un nipote, ignorante di politica, che trascinò lo zio papa in guerre e intrighi deleteri per lo Stato Pontificio. Colmato da lucrose rendite, si mise a sperperarle conducendo una vita dissoluta, fino al punto che a 28 anni era già morto). Per dare a questo nipote un grande principato Sisto IV minacciò l'equilibrio politico italiano. (Vedi più avanti)
La congiura de' Pazzi rafforzò a Firenze l'autorità di Lorenzo de' Medici, ma suscitò contro di lui, due nemici implacabili: il Pontefice e il re di Napoli. SISTO IV era stato vivamente colpito dalla notizia dell'impiccagione dell'arcivescovo Salviati e dall'arresto del cardinal
Sansoni, che i Fiorentini trattenevano malgrado nessuna prova ci fosse della sua complicità con i cospiratori.
Fallite le pratiche avviate da Roma per ottenere la liberazione del cardinale, il 1° giugno del 1478 il Pontefice lanciò la scomunica contro Lorenzo de' Medici, il gonfaloniere, i priori, gli otto della balia e tutti coloro che si erano resi colpevoli dei malvagi delitti dell'aprile e minacciò di sottoporre Firenze all'interdetto se tutti costoro non fossero stati consegnati alle autorità ecclesiastiche entro il mese di giugno.
La signoria di Firenze restituì la libertà al cardinale, ma non obbedì alle altre ingiunzioni del Pontefice, il quale, il 1° di luglio, lanciò l' interdetto sulla città, proibì ai fedeli di avere rapporti con i Fiorentini, dichiarò sciolte le loro alleanze, vietò che ne fossero contratte di nuove e mise il veto ai soldati di recarsi al servizio in quella repubblica.
Le operazioni guerresche ebbero inizio nel luglio del 1478. Sisto IV, cominciando le ostilità, con l'appoggio del re di Napoli, dichiarò che egli moveva soltanto contro Lorenzo de' Medici e che se i Fiorentini lo avessero cacciato li avrebbe accolti nella lega contro il Turco.
I Medici e i fiorentini non s'impressionarono, anzi Lorenzo scese a Napoli e riguardo all'alleanza tra Ferdinando e il Pontefice, Lorenzo fece comprendere al re che essa non poteva durare a lungo data l'età avanzata di Sisto IV e che era meglio assicurarsi l'amicizia di una repubblica perché più stabile anziché quella della Santa Sede meno stabile a causa della breve vita dei Papi o della variazione della successione. Il 6 marzo del 1480 Ferdinando concluse con Lorenzo la pace tra il suo reame e la repubblica fiorentina.
Grande fu lo sdegno del Papa quando seppe della pace conclusa senza il suo consenso; ma non era in grado di continuare la guerra da solo e poco dopo sospese le ostilità contro Firenze pur mantenendo l' interdetto. Anche i Veneziani si rincrebbero con gli alleati Fiorentini per non essere stati consultati; ma questi non si curarono dello sdegno del Pontefice né delle lagnanze di Venezia e si mostrarono grati a Lorenzo, il quale, al suo ritorno, venne accolto come salvatore della patria.
Il 28 luglio del 1480 una numerosissima flotta turca si presentava davanti ad Otranto per punire il re Ferdinando degli aiuti prestati ai cavalieri di Rodi. Assalita dagli infedeli, Otranto si difese valorosamente per una quindicina di giorni, ma alla fine, sopraffatta dal numero dei nemici e battuta da poderose artiglierie, dovette cedere (1 agosto). Dei ventiduemila abitanti, dodicimila furono uccisi nel primo furore della vittoria; i fanciulli, che potevano esser venduti a caro prezzo, e gli adulti, dai quali si poteva ricavare una grossa taglia, furono fatti schiavi; l'arcivescovo Stefano e i preti perirono fra atroci tormenti.
Il pontefice preoccupato ora dalla presenza del Turco nella penisola e dalle voci che correvano di febbrili preparativi in Albania per una grande spedizione d'infedeli, si dava ad organizzare una lega italiana. Fino allora si era rifiutato di conciliarsi con Firenze, ma il 5 dicembre di quell'anno ricevette dodici ambasciatori della repubblica, si riappacificò coi Fiorentini, e tolse l'interdetto dalla loro città.
La lega e l'intervento fu superflua, perché il 3 maggio del 1481 moriva MAOMETTO II presso Nicomedia e, scoppiata una guerra civile tra Bajazet II e
Gem, figli del sultano, Ahmet abbandonava l' impresa d'Italia per correre in aiuto del primo.
Ariadeno, rimasto senza soccorso, si difese valorosamente per alcuni mesi, ma il 10 settembre del 1481 accettò gli onorevoli patti che gli si offrivano e consegnò Otranto al duca di Calabria. Con la liberazione di Otranto cessava il pericolo turco; ma cessava anche quel breve periodo di pace in Italia che questo stesso pericolo era riuscito a produrre.
La pace del 1480 tra Lorenzo de' Medici e Ferdinando re di Napoli aveva prodotto - come si è detto - un vivissimo malcontento nel Pontefice e nei Veneziani. Questi ultimi, pur potendo con la loro flotta, che si trovava nelle vicinanze, impedire ai Turchi lo sbarco presso Otranto, non si erano mossi, animati com'erano da gelosia e da odio verso il re di Napoli, anzi qualcuno crede che siano stati proprio loro a indurre il sultano a questa spedizione; il Papa, invece, che temeva il Turco, aveva finito con l'adattarsi a quella pace e se n'era giovato per combattere gli Ottomani. Ma quando il pericolo fu allontanato, egli si lasciò nuovamente guidare dal desiderio di accrescere la potenza della sua famiglia e orientò maggiormente la sua politica verso Venezia con la quale nel maggio del 1480 aveva stretto alleanza.
Istigatore di questa nuova politica papale era il nipote del papa Girolamo
Riario, che nel settembre del 1480, dopo la morte di PINO degli ORDELAFFI, si era impadronito di Forlì e ne aveva ricevuta l'investitura dal Pontefice. Con tale acquisto il Riario aveva considerevolmente accresciuto i suoi possedimenti; ma non era ancora contento ed aspirava al possesso di Ferrara. Per conseguire il suo scopo si recò a Venezia e, a nome del Papa, propose alla repubblica di muovere guerra agli Estensi.
I motivi per farla scoppiare li narriamo nei fatti storici in queste pagine.
La guerra scoppiò nel maggio del 1482. Due gruppi di stati si trovarono l'uno contro l'altro. Cosicchè la penisola fu divisa in due campi e si cominciò a combattere nel centro e nel settentrione con accanimento. Ma anche nello stesso Stato della Chiesa iniziò un turbinoso vortice: i Colonnesi uscivano dalle loro fortezze e saccheggiavano le campagne spingendosi fin presso le mura di Roma, spalleggiati dai Savelli ed osteggiati dagli
Orsini, mentre Lorenzo Giustini, rivale di Niccolò Vitelli, devastava il territorio di Città di Castello. In Romagna stavano uno di fronte all'altro il Bentivoglio e il
Riario; Ibletto dei Fieschi sconvolgeva i confini del ducato di Milano; Pier Maria de' Rossi dava filo da torcere alle milizie di Ludovico il Moro nel Parmense; mentre nei confini del Ferrarese si svolgeva la guerra principale ma a favore dei Veneziani. Successi che preoccupavano il Pontefice, il quale, temendo che la potenza della repubblica riuscisse di danno ai possessi della Santa Sede, deliberò di porre fine da parte sua alla guerra e il 28 novembre del 1482 stipulò con il re di Napoli una tregua, alla quale il 12 dicembre seguì una pace.
Conclusa la pace, Sisto IV scrisse alla repubblica di Venezia, elencando i danni prodotti dalla guerra ed esortandola a posare le armi. Venezia però che tanti sacrifici aveva fatto per quella guerra, alla quale era stata indotta proprio dal Papa, e che stava per raccogliere i frutti delle sue vittorie, si mostrò sdegnata sia della pace che delle esortazioni papali e si rifiutò recisamente di desistere dall'impresa di Ferrara. Sisto IV la minacciò di scomunica, ma queste minacce non fecero che inasprire maggiormente i Veneziani, i quali richiamarono da Roma il loro ambasciatore Francesco Diedo e dichiararono che non avrebbero cessato le ostilità contro gli Estensi a costo anche di dover da soli sostenere il peso d'una guerra contro tutta l' Italia.
E sola difatti si trovò Venezia contro il re di Napoli, il Pontefice, Firenze, Milano e Ferrara, ma non si perse d'animo. Non la spaventarono neppure le censure ecclesiastiche. Sisto
IV, verso la fine del maggio del 1483 lanciò l' interdetto su Venezia ingiungendo al clero di abbandonare la città scomunicata; a sua volta il governo della repubblica richiamò da Roma tutti i preti veneziani, ordinò al suo clero di continuare a celebrare gli uffizi sacri, dichiarò di appellarsi a un futuro concilio e iniziò pratiche presso l' imperatore e i re di Francia e d'Inghilterra perché lo convocassero.
Seguirono intrighi, cambiamento di alleanze, a un certo punto la guerra procedeva pigramente perché tutti erano stanchi, specie i Fiorentini e i Ferraresi, e la lega non era più compatta come al principio delle ostilità. Reciproci sospetti avevano raffreddate le relazioni tra Ludovico il Moro e Alfonso di Calabria; il primo temeva che
l'Aragonese volesse sostenere i diritti di Gian Galeazzo, cui da tempo aveva fidanzato la figlia Isabella, il secondo dal canto suo sospettava, e non a torto, che il Moro volesse usurpare il ducato al nipote. Iniziarono trattative con Ludovico il Moro, che portarono alla pace. Questa fu stipulata a Bagnolo (presso Brescia) il 7 agosto del 1484.
Scrive il Sismondi: "Questa pace indispettì il pontefice; egli aveva lungamente sperato di arricchire il nipote o con le spoglie del duca di Ferrara o con quelle dei Veneziani; ma, venute meno in parte le sue speranze, sperava almeno di assicurargli i piccoli principati della Romagna, anzi nemmeno dubitava che non gli fossero concessi; specialmente era sicuro che Girolamo Riario avrebbe ottenuto il grado, che invece fu dato al
Sanseverino, di capitano della lega, grado che, unito allo stipendio, doveva risarcirlo delle pretese cui era stato costretto a rinunziare".
SISTO IV chiamò la pace di Bagnolo vergognosa e ignominiosa, e vogliono gli storici che il Pontefice ne provasse tanto dispetto da morirne. Cessò infatti di vivere cinque giorni dopo, il 12 agosto del 1484.
Benevolo non fu il giudizio che di lui diede la storia. Fu più un sovrano temporale che il capo della cristianità e si curò più degli interessi del suo stato e della sua famiglia che di quelli della Chiesa. Fra le sue opere, attinenti al ministero ecclesiastico.....
...citiamo il Bertolini: « ....i privilegi strepitosi da lui concessi all'ordine dei Francescani, a cui egli era iscritto; l'ardore con il quale egli sostenne il principio della papale teocrazia onde i Concilii non erano per lui che meri strumenti della sovranità del Pontefice ed esecutori della sua volontà: il tribunale dell' inquisizione, istituito in Spagna con pieni poteri largiti a quei sovrani (breve del 1° novembre 1418), affinchè l'intento di reprimere le apostasie fosse meglio raggiunto: e dal breve di Sisto IV data l' inizio dei terribili supplizi, i quali resero infame nel mondo l' inquisizione spagnola, e fissarono l' irreparabile decadimento di quella nazione; la creazione di cardinali indegni quali suo nipote Pietro Riario e Ascanio Maria Sforza, l'autore dell'elezione papale di Rodrigo
Borgia.
E a proposito dei nipoti di Sisto, non può certo tornargli a lode il fatto di avere egli conferito la porpora a sei di quei parenti: cioè il nominato Pietro
Riario, Giuliano della Rovere il futuro papa Giulio II, Cristoforo e Girolamo Basso della Rovere, Raffaele Sansoni Riario e Domenico della Rovere. Di fronte a questi fatti biasimevoli, non può meritare gran valore il culto della Vergine da lui professato con grande ardore, così da innalzare in onore di Essa due templi, quello di Santa Maria del Popolo e di Santa Maria della Pace, che egli visitava con ostentata frequenza; e nemmeno può essere citata a titolo di compensazione delle sue colpe, la istituzione dei Cantori della Cappella Sistina eretti in corporazione speciale.
La Cappella Sistina (che prende appunto il suo nome) fu fatta costruire nel palazzo Vaticano espressamente per le funzioni religiose del papa; per abbellirla chiamò i maggiori pittori del tempo, da Mino da Fiesole a Sando
Botticelli, da Domenico Ghirlandaio a Pietro Perugino, da Luca Signorelli al
Pinturicchio. Completò poi l'opera con i suoi capolavori Michelangelo.
Ma se nei campi della politica e della religione le opere di Sisto IV meritano più biasimo che lode, in quelli che riguardano la cultura e l'edilizia di Roma, egli merita pieno plauso. Prima opera ammirevole è il riordinamento e l'incremento della biblioteca vaticana, la quale, per mezzo di Sisto
IV, ebbe triplicato il patrimonio librario lasciatole da Niccolò V; onde i codici da essa posseduti oltrepassarono, sotto il suo pontificato, la cifra di tremila e cinquecento. L'importanza nuova acquistata dalla biblioteca vaticana ebbe il suo coronamento nella nomina dello storico dei Papi Bartolomeo Platina a bibliotecario.
Per ciò che riguarda l'edilizia romana, non si esagera dicendo che Sisto trasformò la città medioevale di Roma in una città moderna. Per le sue costruzioni egli si servì di diversi architetti; ma quelli a cui affidò le opere principali fu il fiorentino BACCIO
PONTELLI, uno dei precursori del Bramante. Le costruzioni di Sisto IV ebbero per scopo più l' igiene che l'arte. In luogo di nuovi monumenti egli diede pertanto a Roma vie larghe e ben lastricate, un nuovo ponte (Ponte Sisto) che agevolasse le comunicazioni con
Trastevere, e un grande ospedale, che fece risorgere ampliato e rinnovato quello eretto da Innocenzo III col nome di Santo Spirito.
Per queste opere Sisto IV vive anche oggi e vivrà, finché il mondo duri, nella memoria dei Romani ricordato come un "sovrano" che si occupò della salute fisica dei loro antenati; ma per altre opere più copiose e ben più importanti la memoria di lui non potrà dissociarsi da quella del decadimento morale del Papato, onde egli segnò l'inizio ».
(Bertolini).
Sisto IV era appena spirato il 12 agosto del 1484, e subito gravi tumulti scoppiarono in Roma.
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