Morto PIO II il 15 agosto 1464, i cardinali, che lo avevano seguito ad Ancona, se ne tornarono a Roma e la sera del 28 agosto si chiusero in conclave al Vaticano.
Prima di procedere all'elezione essi stabilirono di porre un freno all'onnipotenza papale e di innalzare l'autorità del sacro collegio compilando una capitolato elettorale che conteneva le norme seguenti: il Pontefice doveva continuare l' impresa contro i Turchi con tutte le forze della Chiesa e come risorse economiche impiegandovi tutto il ricavo delle miniere d'allume scoperte a Tolfa; il numero dei cardinali non poteva oltrepassare i ventiquattro; nessuno poteva ottenere il cappello cardinalizio se non avesse compiuto i trent'anni; dei cardinali uno soltanto poteva essere parente del Pontefice; il Papa non poteva procedere a nomine cardinalizie, intimar guerre e concludere alleanze senza il consenso del sacro collegio; non doveva esser conferito a laici il comando delle fortezze del Patrimonio; infine i cardinali dovevano riunirsi due volte l'anno per esaminare se le disposizioni del capitolato fossero state fedelmente eseguite.
Passati all'elezione, i cardinali con molta facilità si accordarono sul nome del patrizio veneziano PIETRO BARBO, che il 30 agosto venne eletto Pontefice e consacrato il 16 settembre prese il nome di PAOLO
II.
Questo Veneto, di portamento maestoso, di gentili maniere, contava quarantasette anni, era nipote per parte di madre di Eugenio IV, ricchissimo, liberale, vanitoso, ed eccessivamente amante del lusso. Nella festa della sua incoronazione spese una enormità di fiorini e si fece fabbricare una tiara costosissima tempestata di preziose gemme. Ci fu qualche umanista che ebbe da ridire su questo sfarzo e lo ridicolizzò in due versi "Di Paolo papa il capo è vuoto: è giusto quindi che sia di gemme e d'oro onusto".
Ma vi erano altri che lo lodavano per la sua generosità; teneva una farmacia privata e i farmaci li distribuiva gratuitamente. Anche nell'incoronazione gratificò il popolo col destinargli una elargizione di 1200 ducati.
Quanto all'accordo con quella serie di convenzioni dette sopra, che avrebbe dovuto dare molta importanza al Sacro Collegio, era stato giurato da tutti, ma quando salì poi sul soglio, l'eletto non concesse ai cardinali più di tanto. Anzi, tre giorni dopo la sua elezione, con una bolla annullava quanto stabilito nella sede del conclave. Bloccò così il tentativo di "monarchia costituzionale" e si riprendeva la sovranità pontificia assoluta. La bolla la fece sottoscrivere dagli stessi cardinali, in cambio accordò loro aumenti nei sussidi finanziari. Inoltre volendo clerizzare l'intero apparato amministrativo non concesse più giurisdizioni e magistrature ai laici. E questo voleva dire anche sopprimere il collegio degli Abbreviatori. Cosicchè molti letterati e umanisti che ne facevano parte si ritrovarono a spasso senza lavoro e senza stipendio.
Ci fu una levata di scudi, discussioni e polemiche, e uno di loro - il Platina - prese le difese del folto gruppo dei radiati e intervenne a voce alta, propose perfino un ricorso al Tribunale della Sacra Rota. Ma per tutta risposta Pio II gli rispose "Io sono il papa e posso fare e disfare come più mi piace".
L'altro non si arrese, pubblicò una pubblica lettera inviata al papa, dove si metteva in discussione il suo operato, minacciando perfino la convocazione di un Concilio. Ma si ritrovò immediatamente messo ai ceppi e rinchiuso dentro Castel San'Angelo. Solo per intercessione del cardinal Gonzaga quattro mesi dopo fu liberato. Ovviamente il Platina non si liberò del rancore, e quando poi compose "Vitae pontificum" di Paolo II fece questo ritratto "Ebbe così in odio gli studi dell'umanità et così li
dispregiava e li vilipendeva, che tutti quelli che vi davano opera solea chiamare heretici. Per questo confortava et assortava i Romani a non fare molto perdere tempo ai figlioli loro negli studi di queste lettere e che assai era e bastava se essi sapevano leggere e scrivere".
Come annota il Gregorovius, il popolo doveva essere lasciato nell'ignoranza, e per arrivare al suo fine, ricorse al vecchio mezzo, con la tecnica del "panem et circenses", "lo saziò di pane e di divertimenti".
Con la pompa e con le feste il Pontefice mirava a distogliere il popolo romano dal Pensiero della libertà, volendo egli mantenere intatto il potere temporale.
"" Il suo pontificato - scrive il Bertolini - fu dei più tranquilli per la città di Roma. La quale riuscì sotto di esso ad abbandonarsi ai sollazzi che gli elargiva con grande liberalità il Pontefice: ci furono feste carnevalesche con cortei bacchici e con corse nobilitate dalla presenza del Papa, che ne allungò il tracciato dall'arco di Domiziano alla loggia del suo palazzo situato presso San Marco, a fine di poter godere anche lui il pubblico spettacolo. Delle feste romane facevano parte i pubblici convivi promossi anche questi a spese del Papa davanti al suo palazzo, sempre rallegrati dalla sua presenza; onde la politica del panem et circenses, dopo tanti secoli di oblio, parve allora rediviva".
Fu infatti il primo che fece rivivere i pagani ludi carnacialeschi, che tornarono a svolgersi con cortei bacchici, vari giochi, corse sul "Corso", per poi concludersi in grandi libagioni, risa e lazzi. Lui conosceva bene le aspirazioni della plebe romana, e agendo così lo allontanava dalle aspirazioni municipali. E quando lo vedeva gozzovigliare, a divorare cibo senza ritegno, o a fare ressa per impossessarsi di quelle monete che lui - con cinica soddisfazione - soleva buttare affacciato dal balcone del famoso attuale Palazzo di Venezia (allora palazzo S.Marco) , poteva ben dire che il popolo era indegno della libertà. Inoltre un popolo che mangia, beve e gozzoviglia si sottrae ai subbugli demagogici e rivoluzionari; insomma chi si diverte non cospira.
Ma il papa si sbagliava, perchè non è mai il popolo a cospirare, nella sua ignoranza la plebe con la sua irrazionalità segue sempre i cospiratori di qualsiasi congrega, e fa le rivoluzioni con il primo che si presenta sulla piazza a predicare la "sua" demagogia, e dopo un giorno la plebe è capace di fare una controrivoluzione con un secondo che all'incirca dice le stesse cose, o perchè ha più carisma, o perchè ha più fascino del primo, o perchè promette donativi.
Non è che Paolo II non conoscesse il valore della cultura (era anche un profondo conoscitore d'arte), ma proprio perchè la conosceva, la sua politica fu quella dei regimi assoluti, che hanno la tendenza a lasciare il popolo nell'ignoranza. "Se li trasformiamo tutti in dotti, nessuno avrà più voglia di lavorare, tutti avranno la presunzione di voler comandare". Segnò insomma una battuta d'arresto nel progresso del Rinascimento.
Tuttavia Paolo II non fece rivivere solo il Carnevale e le antiche feste pagane per la plebe, ma spese molti denari per far restaurare i monumenti che i colti e umanisti romani avevano un vero e proprio culto, ma che anche lui amava e collezionava nella sua residenza abituale che aveva iniziato a costruire prima ancora di diventare papa (l'attuale Palazzo di Venezia).
Gli archi trionfali di Tito e di Settimio Severo, la statua di Marco Aurelio e tanti altri monumenti e edifici furono restaurati per conto del pontefice.
Questo culto della romanità non era solo una particolarità del pontefice, ma in parallelo si era molto diffuso negli ambienti umanisti, si era enormemente ampliato, ed era così sentito che erano nati dei cenacoli, accademie (Accademia Romana), ritrovi, dove i più fanatici si vestivano alla romana, usavano nomi romani, celebravano le antiche feste, compreso il Natale di Roma del 21 aprile, contavano gli anni dalla sua fondazione, e avevano anche eletto un Pontefice Massimo: Pomponio Leto.
Pio II che proprio lui aveva iniziato questo "revival", cominciò a voler porgli un freno. Inoltre temendo l'ostilità di questi dotti e prestando fede alle dicerie che intorno ad essi correvano, che cioè complottassero contro di lui, cominciò ad essere guardingo, a sguinzagliare nei vari ambienti le sue guardie e i suoi informatori.
Il complotto (o come tale fu dipinto) fu scoperto in tempo e vi erano dentro letterati e circa venti soci dell'Accademia; quattro i capi, fra cui il Leto e nuovamente il Platina. Finirono tutti nelle celle di Castel Sant'Angelo. Non emerse granchè, qualche parola di protesta al vento di troppo e nulla più. Ma proprio Leto scrisse in carcere un'apologia che si chiudeva con una umiliante confessione di gravi offese fatte al pontefice, seguita da una implorante preghiera di perdono. Pio II fu indulgente, ritenendo sufficiente il castigo e l'umiliazione furono rimessi in libertà. Ma l'Accademia Romana fu definitivamente chiusa. E se da questa si erano sempre levate alcune voci di protesta sull'autorità pontificia, con la chiusura le proteste da allora non si udirono più.
Non elenchiamo qui le varie vicende italiane in questo settennale pontificato di Paolo II. Vicende che sono molte, e dove il papa disperse le sue forze in guerriglie e contrasti tutt'altro che fortunati. Sono abbondantemente narrate in queste pagine dei Riassunti di Storia d'Italia)
Come i suoi predecessori, anche Paolo II volle avventurarsi in una nuova crociata contro i Turchi.
A metà anno 1469 era caduta in mano dei Turchi Negroponte. Questo grave avvenimento, portò a proporre a tutti gli stati italiani di costituire una lega difensiva contro i Turchi, la quale venne conclusa il 22 dicembre del 1470. Ma essa non diede che scarsissimi risultati. Per molti i Turchi erano cose lontane, che non riguardavano l'Europa, ma semmai solo i Bizantini, e qualche mercante di Venezia.
Insieme ai Veneziani Paolo II cercò aiuti in altre parti. Cercò di spingere contro i Turchi Hassan Beg, conquistatore della Persia, e per mezzo del frate francescano Luigi di Bologna riuscì a stringere un'alleanza con lui; ma il Pontefice non riuscì a vedere i risultati di questa alleanza, essendo morto - come si è detto - il 27 luglio del 1471 per un colpo aploplettico; aveva soli 55 anni.
Una morte che non gli permise di cogliere i frutti anche di un'altra sua singolare iniziativa. Mosso dallo zelo per la salute delle anime, tenendo calcolo che non tutte le generazioni avrebbero la possibilità di ottenere le indulgenze giubilari da indirsi ogni cinquant'anni, pochi mesi prima di morire aveva con apposita bolla stabilito che il giubileo avesse a ricorrere ad ogni quarto di secolo. Ma morì senza avere la consolazione di aprire la Porta Santa per l'anno giubilare che già aveva preannunciato: il 1475.
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