Morto Martino V il 20 febbraio 1431, il 1° marzo presenti a Roma 14 cardinali del Sacro Collegio, questi si riunirono in conclave nel convento di S. Maria sopra Minerva.
Prima ancora di fare il nome del successore i cardinali giurarono una singolare convenzione: il papa eletto doveva riformare la Corte romana e non trasferirla fuori Roma senza il consenso cardinalizio; doveva partecipare al Concilio in programma a Basilea per fare la riforma della Chiesa; i feudatari dovevano prestare giuramento di fedeltà non solo al papa, ma anche al Sacro Collegio dei cardinali; infine il neo-papa nello Stato Pontificio non doveva compiere alcun atto importante senza il collegio stesso.
Con questa convenzione si aveva una forte limitazione dell'autorità del papa, il quale non avrebbe potuto prendere alcuna decisione importante.
Concluso questo patto, due giorni dopo, il 3 marzo, i quattordici cardinali votarono un nome: il 48enne Gabriele Condulmer, nato a Venezia nel 1383, uno dei nipoti di Gregorio XII che lo aveva nominato prima vescovo di Siena poi cardinale di S. Clemente. Consacrato l'11 marzo in S. Pietro prese il nome di Papa EUGENIO IV.
Appena salito sul soglio, emanò una bolla: con questa confermava la convenzione giurata dai cardinali prima della sua elezione. Ma quando mise mano al rinnovo della Corte, cominciarono le prime opposizioni, e in prima fila i parenti del papa morto, cioè i Colonna, che pur avendo da anni saccheggiato il tesoro pontificio, volevano conservare i benefici ottenuti dal loro congiunto, e fra questi Castel
Sant'Angelo, Ostia e altre terre. Gli si ribellarono ma Eugenio reagì con fermezza e con una bolla del 18 maggio 1431, li scomunicò e li privò di ogni beneficio. Furono così ridotti all'impotenza, ma
ovviamente diventarono nemici giurati di questo pontefice.
Quanto al Concilio di Basilea che come data era imminente l'apertura, confermò al cardinale Cesarini la presidenza dello stesso. Il concilio si aprì pochi giorni dopo, il 23 luglio, nella cattedrale di Basilea, ma vi erano così pochi presenti che l'apertura solenne fu fatta solo nel dicembre dello stesso anno.
Si aprì, ma in mezzo ai congressisti vi erano molti rappresentanti di varie sette, e fra questi gli Hussiti per discutere le loro dottrine. Le prime relazioni del Cesarini sull'andamento del concilio furono condensate e riportate al pontefice tramite il canonico di Besanzone Giovanni Beaupere; questi piuttosto zelante fece un quadro fosco del concilio, che Basilea era una città insicura per svolgervi un concilio, e che la presenza degli eretici avrebbe forse rimesso in discussione le decisioni dogmatiche e disciplinari già prese a Costanza.
Eugenio fu molto impressionato da questa relazione e precipitosamente con una bolla indirizzata a tutti i fedeli e al Sacro Collegio dichiarava sciolto il concilio di Basilea e annunciava per dicembre il trasferimento dello stesso a Bologna.
Invece di far tacere il conflitto, Eugenio lo rese più aspro ed acuto con la sua bolla.
I membri del Concilio, per darsi l'aria di ignorare l'esistenza della bolla di scioglimento, si accordarono di non intervenire alla adunanza del 13 gennaio 1432, nella quale si sarebbe data lettura del documento papale. Indi, il 21 dello stesso mese, emanarono una lettera enciclica con la quale annunziarono la ferma risoluzione "di rimanere uniti per compiere con l'ausilio dello Spirito Santo, l'opera al concilio assegnata"». (Bertolini ).
Lo stesso presidente Cesarini con una vibrata lettera al pontefice, esponeva i gravi danni che ne sarebbero venuti se scioglieva il concilio, e per essere coerente, per protesta si dimise dalla carica di presidente. L'assemblea senza aspettare la sostituzione dal pontefice, ne nominò un altro e questi inviò un'ambasciata a Roma e lettere a tutta la cristianità per affermare che il Concilio di Basilea avrebbe continuato i suoi lavori per "il bene della Chiesa".
Era un atto di ribellione, ma era del resto coerente a quanto detto a Costanza a proposito di Concili, Infatti nei decreti di Costanza era stato stabilito che l'autorità del concilio deriva direttamente da Cristo e questa autorità era dei cardinali del sacro collegio cardinalizio al quale doveva sottomettersi lo stesso pontefice, e che quindi il concilio il papa non poteva nè scioglierlo nè trasferirlo altrove senza il loro consenso.
Incoraggiati anche dalle varie corti, dalle università parigine, dai principi tedeschi (che confidavano in questa sessione conciliare per annientare i moti delle sette eretiche) e dal clero, e questo fu severo affermando che a Eugenio quella bolla del trasferimento, doveva essere stato il demonio a ispirargliela, e che lui non era stato capace di resistergli.
Altri si spinsero più in là e ricordando sempre i decreti di Costanza, fecero presente che il pontefice non poteva eleggere nuovi cardinali se non pel tramite del concilio.
il 29 aprile del 1432 ingiunse al Pontefice di ritirare la bolla entro sessanta giorni e di comparire di persona, prima che spirasse quel termine, a Basilea se non voleva essere condannato in contumacia.
Tutta l'intera questione stava prendendo una brutta piega, c'era perfino nell'aria una destituzione, e c'era quindi il timore di un nuovo scisma. Forse più disastroso di quello precedente.
Intervenne allora Sigismondo, prima cercando di attenuare i contrasti con i ribelli di Basilea, poi l'Imperatore, il quale, desiderava ottenere, come poi ottenne (31 maggio del 1433), l' incoronazione imperiale, si fece spontaneamente mediatore tra Basilea e Roma. Riuscì è vero, a spuntare gli angoli e a spianare la via all'accordo, ma questo fu soltanto possibile quando il Papa, vista minacciata l' integrità dello Stato della Chiesa (in Italia, dagli Sforza e altri) si decise a cedere.
Questo perchè in Italia stavano prendendo una brutta piega i fatti legati agli Sforza. Questi - spalleggiato dai Colonna, nello stesso aprile del 1433, fecero la pace con Venezia e Firenze, per vendicarsi del favore che Eugenio IV aveva accordato e queste due repubbliche.
A questo punto, allora Eugenio IV cedette: il 15 dicembre del 1433 revocò le sue bolle e riconobbe il Concilio; poi si accordò con lo Sforza, gli conferì il titolo di Gonfaloniere della Chiesa e il 25 maggio del 1434 lo nominò suo vicario della marca di Ancona. Sperava il pontefice traendo dalla sua parte lo Sforza, di liberarsi dalle molestie del Fortebraccio; ma questi, sebbene sconfitto dall'altro a Mentana, continuò le sue operazioni contro Eugenio IV ed unitosi al Piccinino, anche lui mandato dal Visconti, si fece così minaccioso da indurre Roma alla ribellione.
Il 29 maggio del 1434, una deputazione di cittadini si recò in Transtevere, dove il Pontefice si era ritirato, ad annunziargli che il popolo aveva ristabilito il regime repubblicano sotto il governo dei banderesi e ad invitarlo a riconoscere il nuovo stato di cose e rinunziare al potere temporale. Eugenio IV allora non si occupò che della propria salvezza: la notte del 4 giugno, travestito da benedettino e con poca compagnia, raggiunse sopra un mulo Ripagrande, da dove con una barca si rifugiò ad Ostia; poi partì per Civitavecchia e Pisa e viaggiò alla volta di Firenze, dove pervenne venti giorni dopo.
Ma come se non bastasse anche Bologna si era levata con le armi contro il Pontefice ed aveva chiesto aiuto al Visconti che fu sollecito a mandarle un corpo di milizie.
Fuggito il papa, a Roma si scatenò l'anarchia; il governo dei banderesi aveva sì preso il potere ma dimostrò subito di essere impotente a ristabilire l'ordine, anzi era artefice di nuovi disordini e si era reso odioso per le sue violenze, di modo che il popolo, che si era ribellato per ristabilire nella città il regime repubblicano, ora desiderava il ritorno del potere temporale pontificio.
A questo cambiamento di umore non era estranea l'opera di BALDASSARE di OFFIDA, comandante di Castel Sant'Angelo in nome del Papa. Cinque mesi dopo la fuga del Pontefice, il 26 ottobre del 1434, comparve alla testa di un nerbo di milizia, il vescovo condottiero GIOVANNI VITELLESCHI, che, preso il Campidoglio, restituì nella città l'autorità di Eugenio IV.
L'audace entrata del Vitelleschi a Roma in breve tempo rialzò le sorti del Pontefice; l'azione di Francesco Sforza rialzò quelle dei collegati, La guerra volgeva ormai alla fine. Niccolò d' Este si era fatto intermediario, e nell'agosto del 1435 gli riuscì di pacificare a Ferrara i belligeranti. Bologna ritornò all'obbedienza della Chiesa. EUGENIO IV, lasciata Firenze dopo due anni circa di soggiorno, si stabilì a Bologna (18 aprile del 1436).
Mentre lo Sforza portava le armi nella Marca d'Ancona, il VITELLESCHI a Roma portava le sue contro i baroni della Sabina, del Lazio e della Tuscia per ridurli all'obbedienza della Chiesa.
Nelle mani del vescovo, cadde GIACOMO da VICO, che veniva decapitato a Soriano. Poi toccò toccò al conte ANTONIO SAVELLI, che venne impiccato presso Scantino e il suo castello raso al suolo. E stessa sorte toccò ai Colonna, che furono ridotti all'impotenza: Palestrina, che era la loro rocca, fu presa nell'agosto del 1436 e rasa al suolo.
Grati dell'opera svolta dal Vitelleschi, sia pure con estrema crudeltà, nel debellare i baroni riottosi, il senato e il popolo di Roma, il 12 settembre del 1436, a lui che era stato nominato patriarca d'Alessandria, arcivescovo di Firenze e cardinale, decretarono una statua equestre da erigersi in Campidoglio con la superba epigrafe: "al terzo padre di Roma da Romolo in poi" .
Rinasceva intanto il conflitto tra il Pontefice e il Concilio di Basilea. Questo, imbaldanzito dal contegno remissivo di Eugenio IV, aveva deliberato riforme che nessun Papa avrebbe potuto accettare, abolendo alcune delle principali rendite della Chiesa e menomando l'autorità del Pontefice. Inoltre, avendo GIOVANNI PALEOLOGO, imperatore di Costantinopoli, nella speranza di essere aiutato contro i Turchi dalla Cristianità occidentale, chiesto che si iniziassero negoziati per l'unione della Chiesa greca alla latina, i padri raccolti a Basilea proposero ai deputati greci come sede dei negoziati o Basilea stessa o Avignone.
Queste due città erano troppo lontane per i legati che venivano dall'Oriente e che chiedevano invece una città italiana. Il Pontefice, che voleva far sentire la sua autorità al Concilio, colse l'occasione del desiderio espresso dai greci e il 18 settembre del 1437 fissò come sede del Concilio Ferrara ed ordinò ai padri raccolti a Basilea di trasferirsi in questa città entro un mese.
Il Concilio rispose minacciando la sospensione e perfino la deposizione del Pontefice; ma i padri più prudenti, non volendo assumersi la responsabilità d'un nuovo scisma proprio nel momento in cui un altro scisma vecchio di tanti secoli stava per risolversi, andarono a Ferrara, e fra questi il presidente ch'era il cardinale GIULIANO
CESARINI.
A Basilea rimasero gli intransigenti che al posto del Cesarini elessero presidente il cardinale LUIGI d'ALEMAN, arcivescovo d'Arles, che citò il Pontefice a comparire davanti a quell'assemblea, e a nome di questa lo dichiarò sospeso dalle sue funzioni.
Il 9 dicembre del 1437 moriva l'Imperatore Sigismondo e un mese dopo, l'8 gennaio del 1438, il cardinale Albergati apriva il concilio di Ferrara in nome del Papa. Questi venne a presiederlo il 27 dello stesso mese e il 4 di marzo vi ricevette l' Imperatore di Costantinopoli, che, venuto in Italia su navi veneziane con un seguito numeroso di prelati e di dotti, tra cui l'arcivescovo di Nicea Bessarione e il filosofo Gemisto Pletone, entrò a Ferrara con grandissima pompa su un cavallo bardato di porpora e sotto un baldacchino azzurro portato dai signori della città.
Il concilio ferrarese aveva cominciato i suoi lavori annullando le ultime deliberazioni di Basilea; l' 8 di ottobre cominciò la discussione per l'unione delle due chiese. Ma non a Ferrara si doveva porre termine al grande scisma. Era scoppiata la guerra tra il Visconti e le due repubbliche alleate di Firenze e Venezia. (vedi le pagine in Storia d'Italia).
Eugenio IV, non sentendosi più sicuro a Ferrara, accettò l' invito di Cosimo de' Medici e, traendo pretesto dalla peste che era scoppiata nella città degli Estensi, il 10 gennaio del 1439 trasferì il Concilio a Firenze. Qui continuarono le sedute per l'unione delle due chiese e il 6 luglio di quell'anno, nella venticinquesima sessione, fu proclamata nella chiesa di Santa Maria del Fiore l'"unione", e il Pontefice riconosciuto come capo della Chiesa universale. Eugenio IV promise ai Greci una flotta, un esercito e tutti gli altri aiuti necessari e difendere Costantinopoli se assalita dai Turchi; intanto dai Medici, banchieri papali fece pagare alla guardia dell' Imperatore un acconto la somma di dodicimila fiorini.
Ma mentre si proclamava la fine dello scisma d'Oriente e l'unione delle due chiese che doveva durare fino al 1443, un altro scisma si preparava. Il Concilio di Basilea il 26 giugno del 1439 dichiarava deposto EUGENIO IV e il 5 novembre di quel medesimo anno eleggeva papa il duca AMEDEO VIII di SAVOIA.
Questo principe, era noto per l'attività e la saggezza politica; nel 1416 aveva assunto il titolo di duca conferitogli dall' imperatore Sigismondo; aveva dato stabile assetto all'università di Torino; nel 1418 aveva unito ai suoi domini la contea del Piemonte essendosi estinto con la morte di Ludovico il ramo maschile legittimo dei principi d' Acaia; nel 1422 aveva ricevuto l' investitura imperiale del Genovese; nell'agosto del 1434 aveva promulgato per tutti i suoi stati un codice di leggi (Statuta Sabaudiae); infine lasciato il disbrigo degli affari di governo al figlio Ludovico, si era, il 16 ottobre di questo anno, in compagnia di sei gentiluomini, vedovi come lui, ritirato nell'eremo di Ripaglia sul lago di Ginevra, da lui fondato quattro anni prima, dove aveva istituito l'ordine equestre di San Maurizio.
Amedeo, ch'era un fervente fautore della riforma della Chiesa e più volte aveva tentato di mettere pace tra il Pontefice e il Concilio di Basilea, prima di pronunciarsi convocò a Ginevra l' 8 dicembre gli Stati Generali e, ottenuto l'assenso del clero, dei nobili e dei comuni dei suoi domini, abdicò al trono in favore del figlio ed accettò la tiara, assumendo il 5 gennaio del 1440 il nome di papa FELICE V.
« Ma anch'egli - scrive il Bertolini - dovette dividere il disinganno che subì il Concilio. Francia e Germania, che avevano fino allora parteggiato per il Concilio, continuarono a riconoscerne i decreti, ma non riconobbero l'antipapa, con il quale vedevano risuscitarsi lo scisma d'occidente di triste memoria".
All'improvviso ci fu un mutamento di scena. Alfonso d'Aragona che aveva appoggiato e lusingato in concilio di Basilea, divenuto re, comprese che il suo interesse era più dalla parte Eugenio che non da quella dell' antipapa. Non minore interesse aveva il Eugenio di accordarsi con Alfonso, che era il sovrano più potente d'Italia, e la cui inimicizia avrebbe certamente fatto ostacolo a un suo ritorno a Roma. Stando dunque così le cose, fu facile ad entrambi - nel reciproco interesse- di arrivare a un accordo.
Alfonso deputò a suo plenipotenziario il vescovo di Valenza ALONSO BORGIA; il Papa, da, parte sua, delegò lo SCARAMPO; e l'uno e l'altro siglarono il 14 giugno 1443 il trattato di Terracina, che il Papa poi ratificò a Siena (6 luglio). Con questo, Alfonso si obbligava a riconoscere Eugenio IV come Papa legittimo, ad allestire un naviglio da mandare contro i Turchi, e a prestare un corpo di cinquemila soldati per cacciare Francesco Sforza dalla Marca di Ancona.
E il Papa, dal canto suo, riconosceva Alfonso re di Napoli, e gli conferiva la investitura de' feudi pontifici di Benevento e Terracina. Un'aggiunta recata nel successivo anno al trattato (15 luglio 1444) portava il riconoscimento di FERRANTE figlio naturale di Alfonso a suo erede al trono.
La concessione del re Alfonso ad Eugenio IV portò con sé quella del duca Filippo Maria Visconti.
Abbiamo nominato lo SCARAMPO. Il Vitelleschi, accusato dai suoi numerosi nemici di volere impadronirsi dello stato pontificio e avere delle intese col Piccinino e il Visconti, era stato il 19 marzo del 1440 davanti a Castel Sant'Angelo ferito ed arrestato ed era morto il 2 aprile non si sa bene se di veleno o in seguito alle ferite. Il potere tenuto a Roma dal Vitelleschi era stato dato dal Pontefice al patriarca d'Aquileia, Ludovico Scarampo, che nel giugno del 1440 aveva sconfitto il Piccinino ad Anghiari e restituita la sicurezza al territorio romano.
Ma, come il Vitelleschi, lo Scarampo era feroce e prepotente con Romani, che ormai da dieci anni circa vivevano senza il Papa e ne desideravano il ritorno sperando in un po' di pace e meno prepotenza. EUGENIO IV a Roma vi fece il suo solenne ingresso il 28 settembre del 1443 e si rese subito molto simpatico al popolo togliendo la tassa sul vino che il governatore pontificio aveva imposto. A Roma da Firenze si trasferì pure il concilio e qui riconfermò le bolle che il Papa aveva emanate contro l'antipapa (Felice V - Amedeo di Savoia) e i padri di Basilea.
Fra gli artefici della riconciliazione dell'imperatore con il papa, c'era sia a Basilea poi a Siena un giovane prelato, e che era prima ostile a Eugenio IV: Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II nel 1458.
Se a Roma era tornata la pace, tutto il resto d'Italia era in armi, a Milano come a Venezia, a Torino come a Firenze....
ma le dettagliate cronache guerresche le riportiamo nelle pagine in Storia d'Italia.
Poco prima di terminare il suo mandato terreno, Eugenio era amareggiato della neutralità della Germania e con Federico III d'Asburgo, nuoceva al suo prestigio, ma alla fine con intense trattative diplomatiche (al cui servizio fin dal 1442 era passato Enea Piccolomini) era riuscito a concludere un concordato con i principi tedeschi, che fu firmato a Roma il 7 febbraio 1447, mentre era già a letto per la malattia che doveva condurlo al sepolcro.
Infatti, pochi giorni dopo, il 23 febbraio 1447, Eugenio moriva.
Enea Picolomini (futuro papa Pio II) pur schierato inizialmente contro Eugenio scrisse poi di lui "Fu un papa grande e glorioso; disprezzò il denaro, amò la virtù; nella prospera fortuna non fu orgoglioso, nell'avversa non si perse d'animo; non conobbe la paura; il suo animo tranquillo si rifletteva nel suo volto sempre uguale".
Era un uomo di modesta cultura, ciononostante si circondò di valenti letterati, aprì Roma all'Umanesimo, nel restauro delle chiese chiamò accanto a sè valenti artisti come il Donatello, l'Angelico, Pisanello, e proprio al Filarete (prima arte rinascimentale in Roma) affidò la scultura delle porte di bronzo della costruenda Basilica San Pietro, che sono ispirate proprio al Concilio di Firenze (un Concilio il suo, che ebbe - non era mai accaduto - tre sedi a Ferrara, Siena e Roma).
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