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GREGORIO XII, Angelo Correr, di Venezia
(1406-1415)

La morte di Innocenzo XII avvenuta il 6 novembre 1406, porgeva una nuova occasione per far cessare lo scisma; ma neppure questa volta i cardinali vollero astenersi dall’eleggere un nuovo Pontefice e forse, date le turbolenze che affliggevano Roma e le mire palesi di Ladislao, non avevano torto. Pertanto si unirono in conclave, giurando, prima, solennemente che chiunque venisse eletto avrebbe fatto di tutto per porre termine allo scisma, che non avrebbe nominati nuovi cardinali ed avrebbe deposto, se necessario, la tiara. Ma questo giuramento - come abbiamo già letto - altre volte era stato fatto e mai era stato mantenuto.
Ma bisogna anche dire che quei patti erano anticanonici, poichè nessun patto o condizione può essere imposta al papa eletto; il papa per diritto divino è superiore al collegio cardinalizio e la sua autorità è assolutamente indipendente. Altrimenti non sarebbe stato un vero papa ma soltanto un procuratore del Sacro Collegio cardinalizio.Dal Conclave, il 30 novembre del 1406, venne eletto il cardinale veneziano ANGELO CORRER, che prese il nome di GREGORIO XII.
Patriarca latino di Costantinopoli, il Correr era un uomo alto di statura, ma magro, tutto pelle e ossa, ottuagenario. Ma era animato da un desiderio vivissimo di dar pace alla Chiesa.

Tenendo fede al giuramento fatto, s'impegnò subito ad inviare lettere ad Avignone, a quelle università e ai principi, dicendo che era suo ardentissimo desiderio la pacificazione, proponendo al suo rivale Benedetto XIII una scambievole abdicazione Seguì anche un'ambasceria per avviare le trattative tendenti a comporre lo scisma entro tre mesi. Nel contempo a Roma a chi gli era vicino andava ripetendo che avrebbe cercato l'unione per terra e per mare, e se era il caso anche raggiungendo Avignone con una semplice barca da pellegrino.
Queste lettere, l'ambasciata, la sua disponibilità, fecero molta impressione in Francia, e l'antipapa Benedetto non poteva tirarsi più indietro, perchè le stesse cose le aveva dette lui in precedenza. Non disse di no, ma non accelerò i tempi, fece vagamente l'accenno a un incontro che doveva avvenire a metà strada, a Savona.
Carlo VI re di Francia, che aveva questa signoria, e fu lieto di potere offrire ospitalità ai due rivali.
Tutta la Cristianità credeva veramente che la fine dello scisma era finalmente vicina.
Teologi, universitari e il clero, in Francia erano tutti impegnati a risolvere quest'intricata questione, e la soluzione migliore che trovarono fu quella di prospettare una abdicazione contemporanea dei due papi, seguita da un nuovo conclave e una nuova elezione.
L'ottunagenario Gregorio, fu però mal consigliato, ascoltando i suoi più stretti collaboratori, si convinse che se fosse andato a Savaona a incontrare il suo avversario, sarebbe stato come riconoscere Benedetto un legittimo papa. Ma più che i consiglieri, gli storici ritengono comunemente che furono i suoi parenti veneziani; questi da un anno piombati a Roma come cavallette, vedendo svanire tutti i loro benefici, fecero pressioni sul pontefice a non accettare l'incontro. Queste cose a Roma erano conosciute e quindi si scatenò il malcontento popolare - come per Innocenzo - nel dire che non aveva volontà per la composizione dello scisma, che non muoveva un dito, e di essere uno spergiuro. Oltre una buona dose di insulti per i suoi parenti così tanto interessati a far naufragare l'unione.
Ma non è che anche l'altro ad Avignone stesse meglio. Il suo essere evasivo, il non muovere un dito anche lui, creò malcontento, e quel poco di carisma che aveva riacquistato dopo i suoi cinque anni di prigionia ad Avignone non solo lo perse, ma cominciò a sentirsi minacciato e prima che lo mettessero ancora una volta sotto assedio, il 15 giugno 1408 fuggì da Avignone, riparando in Aragona; da qui con una bolla indisse un suo Concilio a Perpignano per il novembre dello stesso anno.

Il Re di Francia davanti ai due palesemente poco propensi ad incontrarsi, decise di agire diversamente. Propose e l'idea fu accettata di riunire i cardinali delle due fazioni in un concilio a Pisa per il marzo 1409. I cardinali in una specie di sinodo, avrebbero avuto due scelte, costringere i due papi ad abdicare o altrimenti li avrebbero deposti, nominando poi un altro pontefice.

I cardinali che dovevano incontrarsi a Pisa, erano sette di Avignone e sette di Roma. Questi ultimi erano sì della fazione romana, ma ribelli a Gregorio perchè aveva nominati cardinali e aggiunto al Sacro Collegio due suoi nipoti a loro sgraditi. Il pontefice irritato, prima cercò di richiamarli all'obbedienza, ma visti inutili questi sforzi, li scomunicò ed elesse dieci nuovi cardinali; ma non potendo certo rimanere a Roma, trovò opportuno lasciarla ai primi di marzo per trasferirsi a Rimini . Si mise sotto la protezione dei Malatesta e dalla città adriatica inviò severi moniti a Firenze accusandola di dare ospitalità in Toscana a un concilio illegale, poichè nessuno poteva erigersi al di sopra del vero pontefice.

Ad avvantaggiarsi in questa situazione ostile a Gregorio, fu Benedetto che come aveva annunciato, a Perpignano il 1° novembre 1408 aveva già riunito un suo concilio con 120 intervenuti. Discussero molto per varie settimane, ma non tutti furono favorevoli alla causa di Benedetto, anzi alcuni di loro, nonostante un veto, e la minaccia di arresto, vollero partire per il Concilio di Pisa che nel frattempo si era il 25 marzo 1409 già aperto. Infatti vi giunsero a cose finite.

In questi mesi, se dentro la Chiesa il caos era enorme, nel mondo laico era ancora maggiore. Tra l'uno e l'altro concilio, i sovrani dei vari Stati non avevano preso una netta posizione, si schieravano ora per l'uno ora per l'altro, ma senza alcuna convinzione.
Alla fine, uno spiraglio credettero che ci fosse nel concilio di Pisa, e oltre ad essere presenti i loro portavoce, a Pisa c'era una vera folla rappresentata da 10 cardinali filo-benedettiano, 14 filo-gregoriani, 4 patriarchi, 80 vescovi, 102 procuratori di vescovi assenti, 27 abati, 220 procuratori di abati assenti, 4 generali degli Ordini dei mendicanti, 13 deputati di università, alcune centinaia di dottori in teologia. Unici assenti i due papi che 5 giorni dopo, il 30 marzo furono dichiarati contumaci.
Fu una riunione burrascosa. Perchè alcuni sostennero che quel concilio era illegittimo, altri sostenevano a spada tratta le ragioni di Benedetto, altri quelle di Gregorio. Ma non erano pochi quelli che volevano giustificare l'operato del concilio. E furono proprio questi ultimi nella nona sessione (10-17 maggio) a riuscire a mettere d'accordo tutti nel dichiarare che quello era un concilio ecumenico, cioè rappresentante di tutta la Chiesa. Fu costituito un tribunale supremo che dichiarò per prima cosa la fusione dei due gruppi di cardinali in un solo collegio, e questo rifiutava obbedienza a entrambi i due papi rivali.
Una motivazione ci doveva pur essere, ed allora il 22-23 maggio furono letti gli atti di accusa; la principale era quella di eresia e di aver provocato lo scisma.
Il 5 giugno, il patriarca di Alessandria lesse la sentenza definitiva, "Pietro de Luna e Angelo Correr, eretici e scismatici, sono spogliati di tutte le loro dignità, esclusi dalla comunione della Chiesa e i fedeli sono prosciolti dall'obbedienza verso i medesimi". "La Santa Sede è vacante, e tutte gli atti erogati dai due deposti, sono da ritenersi nulli".
Un Te Deum, grandi feste di popolo e scampanio di campane in tutte le chiese della città, posero fine a questa prima parte del concilio, che era la più facile, perchè si erano eliminate le cause disgregatrici della Santa Chiesa. Più difficile era ora quella parte del concilio che doveva procedere alla nomina di un nuovo pontefice; e questo per iniziare la difficile opera di riforma doveva avere delle capacità non comuni.
Il 15 giugno i 24 cardinali del (nuovo) Sacro Collegio si riunirono in conclave. Dieci giorni dopo offrivano la tiara al cardinale BALDASSARRE COSSA, legato di Bologna, uomo astuto e violento; ma, giudicando che non fosse ancor giunto per lui il momento opportuno, indicò il vecchio settantanne cardinale PIETRO FILARGI di Candia, arcivescovo di Milano, che il 26 giugno venne eletto Pontefice e consacrato il 7 luglio col nome di ALESSANDRO V
Qualche malumore per questa elezione ci fu, infatti mancò una approvazione generale, e alcuni canonisti e teologi, cominciarono a dire che le decisioni che erano state prese dall'assemblea erano prive di ogni concreto fondamento giuridico, e che più che un Concilio era un "conciliabolo".
E se qualcuno aveva creduto che lo scisma era finito, si ritrovò ora con tre papi, il che era peggio di prima.
Infatti i due papi spodestati non è che avevano rinunciato alla lotta e ognuno nei territori di propria influenza continuarono ad esercitare la loro autorità.
Gregorio XII aveva l'appoggio dell'Italia degli Stati pontifici e dei principi germanici, Benedetto quello della Spagna e qualche parte della Francia, il neo eletto Alessandro la maggior parte della Francia e alcuni stati cristiani.
Il primo, mentre avvenivano le elezioni a Pisa aveva indetto un suo concilio ad Aquileia ribadendo ai convenuti che i legittimi papi erano solo quelli di Roma. Probabilmente non fu molto convincente, i due principali patriarchi della zona, quello di Venezia(Grado) e quello di Aquileia, schierarono la loro obbedienza al neo-eletto a Pisa. Qualcuno in assemblea in gran segreto propose perfino di arrestarlo; Gregorio tempestivamente informato della congiura, con uno stratagemma, indossando gli abiti di un suo cameriere riuscì ad eclissarsi rifugiandosi a Gaeta sotto la protezione del re di Napoli Ladislao.
Ma Ladislao non era più re di Napoli, a Pisa il neo-papa Alessandro V appena eletto (ritenendo che Ladislao costituiva sempre un serio pericolo - ed infatti stava tramando di impossessarsi di tutti gli Stati Pontifici, compresa la stessa Toscana) aveva riconosciuto re di Napoli e gonfaloniere della Chiesa Luigi II d'Angiò, spodestando e scomunicando Ladislao. Questi si era poi ritirato a Gaeta meditando vendetta.
Ma l'angioino nella primavera del 1410 era poi salito a Roma, aveva domato alcune rivolte popolari, sconfitte quelle che erano a favore di un ritorno del re di Napoli, placate quelle a favore di Gregorio. Conquistata Roma favorì l'entrata a Roma del neo-pontefice. Come al solito la volubile Roma applaudì l'uno e l'altro.
Il legato di Bolagna che si era fatto da parte a Pisa lasciando ad Alessandro la tiara, cioè Baldassarre Cossa, ritenne che quello era il suo momento. Invitò a Bologna il pontefice e questi appena qualche giorno dopo, il 3 maggio moriva, non senza sospetto di veleno da parte dello stesso Cossa, che tramava di sostituirlo ai vertici del potere. Infatti fece tutto in casa, riunito un conclave il 17 maggio ne uscì ovviamente lui papa col nome di Giovanni XIII.
Cossa era ambizioso, aveva più doti di condottiero che non di papa, e oltre che essere abile di intrighi politici era un esperto militare nell'azione e nella strategia.
Scortato dalle armi di Luigi d'Angiò, il 13 aprile andò a prendere possesso di Roma dove il 25 fu consacrato papa. Ma a Roma non erano per nulla cessate le rivolte popolari; l'angioino ne domava alcune ma non riusciva a estirparle, nè riuscì a prendere possesso del regno di Napoli strenuamente difeso dagli uomini di Ladislao. Non riuscendo a concludere nulla alla fine Luigi abbandonò il campo e se ne tornò in Francia.
Non dimentichiamo che a Gaeta dove si era acquartierato Ladislao, si era rifugiato Gregorio XII assieme a tre cardinali, dopo sua la fuga da Aquileia. Entrambi speravano in qualche aiuto dal re di Germania Roberto, ma questi moriva proprio il giorno che a Bologna era stato proclamato il Cossa, papa Giovanni XXIII.
Partito il D'Angiò, Giovanni XXIII si trovò solo contro Ladislao, il quale, passato al difensiva, avanzava verso Roma, favorito dai baroni della Campagna. In queste condizioni il Pontefice non poteva sperare di competere con il nemico. Il momento era pittosto critico, ma intrigante com'era iniziò delle trattative con Ladislao e il 14 giugno del 1412 tra i due fu conclusa la pace. Giovanni XXIII abbandonava completamente la causa di Luigi II d’Angiò, pagava al re centomila fiorini, gli concedeva l' investitura del reame e lo nominava gonfaloniere della Chiesa. Dal canto suo Ladislao riconosceva legittime le decisioni del concilio di Pisa e l’elezione di Giovanni "eletto per divina ispirazione". Insomma rinnegava Gregorio XIII, il quale temendo di essere arrestato e consegnato al suo avversario, fece ciò che aveva fatto ad Aquileia, fu costretto a fuggire da Gaeta dov'era suo ospite e con una galea veneziana prese il largo; andò prima in Dalmazia, poi a Porto Cesenatico e infine a Rimini dove trovò asilo presso Carlo Malatesta.
Ma l'accordo di Ladislao con Giovanni XXIII durò poco.

Dalla Germania dov'era morto l'anno prima Roberto, giunsero notizie poco rassicuranti in Italia e alla Chiesa finita nel caos. La corona di Germania e quella imperiale se l'era messa sulla testa da solo Sigismondo, che a nome della cristianità dichiarò intollerabile la situazione esistente con tre pontefici privi di una concreta autorità. Minacciava di scendere in Italia; ma per prima cosa il 30 ottobre 1413 informò cardinali, vescovi, abati e patriarchi che avrebbe aperto ufficialmente il 1° novembre 1414 a Costanza un Concilio ecumenico. L'invito lo estese anche ai tre pontefici con il proposito di comporre lo scisma. Avvicinandosi la data del Concilio, Giovanni XXIII partì per Costanza il 1° ottobre del 1414. A Trento egli si incontrò col duca Federico d’Austria, che strinse alleanza col Pontefice e gli promise il suo appoggio durante il periodo del concilio. Giunse a Costanza il 28 ottobre con nove cardinali e il 5 novembre apri il concilio. In sul principio l’assemblea non fu molto numerosa perché Sigismondo era stato ad Aquisgrana a farsi incoronare, né tutti i prelati che avevano riconosciuto le decisioni del concilio pisano erano ancora arrivati; ma a poco a poco affluirono da ogni parte vescovi, preti, abati, ambasciatori, principi, curiosi in tal numero che più di centomila persone tra laici ed ecclesiastici si trovarono concentrate a Costanza quando la vigilia di Natale arrivò l’imperatore. Giovanni XXIII aveva condotto dall’Italia un seguito numerosissimo per esercitare maggiore influenza sull’assemblea e senza dubbio ogni decisione sarebbe stata a lui favorevole se si fosse votato per testa; ma per semplificare i lavori il 7 febbraio 1415 il concilio stabilì che si votava per nazioni. I rappresentanti delle varie nazioni (Italia, Francia, Germania, Inghilterra e, più tardi, la Spagna) dovevano discutere separatamente sui vari problemi e portare nelle sedute generali i risultati delle particolari discussioni. Così l' Italia non ebbe più il vantaggio della maggioranza e - come le altre- contò solamente un voto. Giovanni XXIII sperava che il concilio, ritenendo valide le deliberazioni di quello di Pisa, avrebbe confermato la deposizione degli altri due pontefici e riconosciuto lui solo Capo della Chiesa; ma si accorse subito di essersi ingannato. Scopo dei partecipanti al concilio era quello di porre fine allo scisma il quale, purtroppo, continuava poiché la Spagna ubbidiva ancora a Benedetto XIII e alcune parti dell'Italia e della Germania a Gregorio XII. Pertanto l’assemblea fu di avviso che tutti e tre i pontefici deponessero la tiara e Giovanni XXIII si trovò costretto il 10 marzo a promettere di deporre la dignità se gli altri due avessero fatto la stessa cosa. 
Questa promessa equivaleva ad una definitiva rinunzia al Pontificato, perché, dati gli umori dell’assemblea e le accuse che si andavano facendo su di lui, Giovanni non poteva sperare di venire rieletto. Unico mezzo di salvezza era lo scioglimento del concilio e, per provocarlo, il 20 marzo, travestito da palafreniere, il Pontefice se ne fuggì a Sciaffusa, terra del duca d’Austria, e lì lo raggiunsero i suoi cardinali.Ma anche questa volta le speranze di Giovanni andarono deluse: l’imperatore si dichiarò per la continuazione del concilio, Giovanni Berson, cancelliere dell’università di Parigi sostenne eloquentemente che il concilio rappresentava la Chiesa universale e per questo era superiore allo stesso Pontefice, e così il concilio continuò in un’atmosfera di giustificata ostilità a Giovanni XXIII.
 Questi, citato a presentarsi davanti l’assemblea, promise di tornare a Costanza, ma intanto cercava di suscitar la discordia in tutta la cristianità e di mettere in cattiva luce Sigismondo. Non vi riuscì. I suoi cardinali, impauriti, abbandonarono il Papa e fecero ritorno a Costanza; dal canto suo l’imperatore, volendo privare il Pontefice del suo maggior protettore, pubblicò il bando contro Federico d’Austria, che immediatamente si vide assalito dai baroni vicini, dalle città del Reno e della Svevia e dalla lega elvetica; alla fine, abbandonata la causa del Papa, tornò a Costanza sottomettendosi a Sigismondo. Giovanni XXIII, dopo di essere stato a Lanfenburg, a Friburgo e a Brisac, fu da Federico di Brandeburgo condotto il 17 maggio al castello di Tadolfzell, presso Costanza, dove gli fu annunziato che il concilio lo aveva deposto (29 maggio del 1415) in seguito ad un processo in cui erano state mosse gravissime accuse, in parte giuste in parti false, al Papa. Questi venne chiuso, in perpetua prigionia, nel castello di Gotteben, dove si trovava carcerato l’eresiarca GIOVANNI HUSS. Più remissivo e fortunato fu Gregorio XII. Egli mandò a Costanza CARLO MALATESTA, che il 14 luglio, nella quattordicesima sessione conciliare, lesse la rinunzia del suo protetto al pontificato. Ripreso il nome di Angelo Conner, tenne la dignità cardinalizia e si ebbe la legazione delle Marche. Morì in Recanati il 18 ottobre del 1417 in età di novant’anni. 
Non rimaneva che Benedetto XIII. Ma il fiero spagnolo non volle cedere. Invano l’imperatore si recò a Perpignano per persuaderlo a deporre la tiara. Egli sosteneva — e non a torto — che, essendo lui l’unico cardinale vivente nominato avanti lo scisma, mentre gli altri che il concilio aveva condannati erano papi stati eletti dopo, solo questi erano da considerarsi illegittimi, e a lui solo spettava il diritto di scegliere il nuovo Pontefice e lui eleggeva sè stesso. Di fronte a tale ostinazione, i suoi stessi sostenitori lo abbandonarono: San Vincenzo Ferreri disertò la sua causa; lo stesso fece il re d’Aragona, che il 6 di gennaio gli tolse l’obbedienza, e il suo esempio fu poco dopo imitato dai re di Castiglia, di Navarra e di Scozia. Benedetto XIII si ritirò a Peniscola, castello inaccessibile della Spagna, alle rive del Mediterraneo, e lì gli giunse la notizia, che il 26 luglio del 1417, nella trentasettesima sessione, il concilio lo aveva deposto. 
Dichiarata vacante la Santa Sede, si decise di procedere all’elezione di un nuovo Pontefice. Il conclave, questa volta, non fu composto di soli cardinali, ma ad essi vennero dal concilio aggiunti sei deputati per ciascuna delle cinque nazioni. L’ 11 novembre 1417 fu eletto il cardinale romano ODONE COLONNA.

Lo scisma si poteva considerare finito. Benedetto XIII continuò a proclamare i suoi diritti fino al 1424, anno in cui cessò di vivere. Aizzati dal re d’Aragona che si era reso ostile con Martino, i quattro cardinali del defunto papa gli diedero un successore che prese il nome di Clemente VIII, ma questi fu soltanto papa di Peniscola e nel 1429 si sottomise al legittimo Pontefice. 
Oltre il compito di comporre lo scisma, il concilio di Costanza si era proposto di combattere le eresie e di riformare la Chiesa nel capo e nelle membra. Per raggiungere il primo scopo, furono condannati al rogo GIOVANNI HUSS, che peri il 6 luglio del 1415 e GIROLOMO DA PRAGA che venne arso il 20 maggio del 1416.
 
Quanto alla riforma della Chiesa, se ne fece un gran parlare, ma non si concluse nulla di positivo e si stabili di riparlarne nei futuri concili. 
Nella sua quarantacinquesima sessione, il 22 aprile del 1418, il concilio di Costanza di sciolse.

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