Come abbiamo già riportato nella sua biografia, Onorio IV era morto a Roma il 3 aprile 1287. Nel suo stesso palazzo S. Sabina sull'Aventino si riunirono i cardinali per eleggere il successore. All'inizio dell'estate non avevano ancora raggiunto un accordo, e proprio nei mesi di caldo afoso, a Roma era scoppiata una terribile epidemia di malaria, che colpì anche i cardinali del conclave. Uno alla volta sei di essi morirono e gli altri presi dal terrore abbandonarono il palazzo. Solo uno, stoicamente sfidando la morte, rimase a S. Sabina: il cardinale Gerolamo Masci. Per il resto dell'intero anno e l'inizio del successivo, la sede pontificia rimase "vacante".
Passata l'estate, l'autunno e l'inverno, solo il 22 febbraio 1288 i cardinali tornarono a riunirsi nel palazzo dei Savelli a S. Sabina, ma si sbrigarono subito, nello stesso giorno - forse come premio allo stoicismo del cardinale che da quel palazzo non si era mai mosso - elessero Gerolamo Masci che prese i nome di papa NICCOLO' IV. Mai era stato eletto a un soglio pontificio uno degli umili "figli" di san Francesco.
Masci 58enne, era infatti generale dell'Ordine dei Francescani; di umili origini, nato a Lisciano (AP); monaco, altamente religioso, pio, senza egoismi, iniziò subito a distinguersi anche per le sue capacità e la sua zelante religiosità e, al tempo di papa Onorio X, questi lo scelse e lo inviò come legato in Oriente. Quando rientrò per i buoni servizi prestati alla Chiesa, papa Niccolò III lo creò cardinale, e successivamente papa Martino IV nel 1281 gli diede la sede vescovile di Prenestrina.
Appena eletto, con una Roma ancora in pace, i Romani gli fecero tante feste alla sua incoronazione e, pure a lui -come avevano fatto con Onorio - dato che era morto nel frattempo suo fratello, il Senatore Pandolfo, gli conferirono la dignità senatoriale a vita. Ma anche Niccolò cedette subito tale carica, prima affidandola ai due Orsini prima a Orso poi a Bertoldo.
La pace continuò nel corso del suo primo anno di pontificato, ma già nella primavera del 1289 uno dei soliti partiti nobili che aspirava al governo della città, in prima fila i Savelli (in seconda i Colonna) iniziarono dei tumulti che ben orchestrati portarono ben presto Roma in una situazione caotica, e anche pericolosa, tale che l'ex monaco, temendo qualche colpo di mano, per sentirsi sicuro lasciò la sua sede per rifugiarsi a Rieti. Poi vedendo che gli Orsini non riuscivano a controllare la situazione, fece un'inversione di rotta e si affidò ai Colonna nominandolo unico Senatore di Roma.
A uno di questi, a Giovanni, affidò la marca di Ancona, nominò il figlio maggiore di questi - Pietro - cardinale di S. Eustachio e l'altro più giovane - Stefano - conte di Romagna. Quest'ultimo piuttosto arrogante nel territorio affidatogli cominciò a comportarsi non da conte ma da re, e i suoi "sudditi" alla fine sfociarono in una insurrezione, guidata dai figli di Guido da Polenta, che catturarono il violento, lo chiusero in carcere e Niccolo IV con tutte le sue intermediazioni fece fatica a liberarlo.
Mentre accadeva questo in Romagna, il padre del giovane, Giovanni Colonna, fatto insediare dal papa in Campidoglio, al pari e più del figlio, pure lui cominciò a fare il padrone di Roma e della Campagna, esautorando ogni altro nobile da tutte le altre cariche, facendo nascere così il solito malcontento degli esclusi e il loro seguito, sempre pronti a innescare rivolte.
Questo in Romagna e Roma, mentre in meridione la situazione non era migliore. Ben presto la Sicilia (cioè gli Aragona che vi si erano insediati) comprese che nulla di buono avrebbe potuto aspettarsi dal nuovo Pontefice. Questi, seguendo la politica dei suoi predecessori, favorevole agli Angioini, il Giovedì Santo del 1288 lanciò una nuova scomunica contro di loro e, sapendo che Edoardo d'Inghilterra si adoperava per metter pace tra la Francia e l'Aragona, ne favorì le pratiche ma solo quelle che dovevano portare alla liberazione dell'angioino Carlo lo Zoppo (vedi più avanti).
Morto Pietro, Giacomo anche se - a dispetto del papa e della scomunica - si era fatto incoronare a Palermo re, sapeva che quello di Sicilia era un trono traballante e con la speranza di imporsi militarmente con una nuova guerra contro i francesi, chiese al fratello Alfonso III di unirsi e aiutarlo a compiere un'impresa simile a quella che il loro padre aveva compiuto in Aragona prima di morire.
Alfonso III valutò la situazione, poi si convinse a non intervenire e abbandonare il fratello Giacomo, perchè molti nobili siciliani con l'appoggio del Pontefice che non aveva compiuto nessun passo indietro con la scomunica (anzi l'aveva riconfermata) contro quelli che lui chiamava "usurpatori", erano tornati ad appoggiare gli angioini. Non era un vero e proprio appoggio, ma ritennero che era l'unica cosa da farsi, per non far scatenare un'altra guerra sull'isola.
Ma anche se avesse accettato, la situazione per Giacomo non sarebbe cambiata di lì a poco, perchè Alfonso morì nel giugno 1291.
Suo fratello invece di demordere, sentendosi erede naturale (era il secondo figlio di Pietro) volle riunire i due regni, dando la nomina di governatore della Sicilia a suo fratello minore Federico.
Torniamo al 1288 e a Carlo lo Zoppo. Dopo aver riconfermata la scomunica agli Aragona, accettando la mediazione di Edoardo d'Inghilterra, Niccolò IV riuscì a farlo liberare a novembre (Alfonso lo lasciò libero ma dietro il pagamento di trentamila marchi d'argento e la promessa giurata dell'Angioino di ritornare in prigionia se nel termine di un anno non convinceva la Francia e la Chiesa a pacificarsi con l'Aragona).
A ppena libero Carlo si incontrò con il Papa a Rieti, dove l'anno dopo il 29 maggio 1289 ricevette solennemente da Niccolò IV la corona per il regno Meridionale (ma non menzionò la Sicilia) che era stato di suo padre, ma in cambio dovette giurare omaggio di vassallaggio alla Chiesa, di dare alla Santa Sede un censo, che non avrebbe mai assunto la carica di Senatore a Roma, che avrebbe dato al papa ogni tre anni un cavallo bianco e sempre per il papa avrebbe armato 300 cavalieri e una flottiglia contro il pericolo di una qualsiasi incursione di nemici negli Stati della Chiesa.
In cambio Niccolò gli concesse di poter riscuotere per tre anni le decime sui beni del clero, in modo da crearsi i consoni mezzi economici per affermare la sua autorità nel regno.
Con la corona in testa, nel giugno del 1289, Carlo lo Zoppo fece il suo trionfale ingresso a Napoli, dove suo padre aveva dominato cinque anni prima, e dove lui aveva preso la famosa batosta da Ruggero dentro le acque del golfo e lì catturato e conosciuto anche la prigionia.
Per quanto fosse stato eletto legittimo re dell'Italia meridionale, a Carlo gli sembrò - ed era un legittimo suo dubbio -che rimaneva aperta la spinosa questione di come riunire al suo regno anche la Sicilia.
Ovviamente per farlo ci voleva una spedizione militare; erano infatti servite a poco le scomuniche del papa. Giacomo pur salendo sul trono aragonese dopo la morte del fratello Alfonso III, si era della Sicilia proclamato re, e come re, di fatto nell'isola si stava comportando continuando a mantenere i suoi possessi anche se aveva dato la luogotenenza a suo fratello minore Federico.
Tuttavia scavalcando il papa, non volendo iniziare un'altra onerosa guerra, Giacomo ormai regnante in Aragona, con la Sicilia affidata al giovane fratello che non sarebbe stato di certo in grado di respingere una spedizione francese partente da Napoli, cominciò a trattare con Carlo II, e sembra che fosse disponibile ad abbandonare la Sicilia. Ma Niccolò
IV, fece fallire ogni trattativa, la Sicilia era e doveva rimanere feudo della Santa Sede. Carlo da lui incoronato, doveva regnare solo nell'Italia Meridionale.
E così la guerra non poteva che ancora continuare in mare e in terra con scarsi successi da una parte come dall'altra, nonostante alcuni patti, trattati e promesse reciproche di pace.
Giacomo non era uomo da temere una guerra, ma non aveva la tempra eroica del padre, che, pur abbandonato dai sudditi, aveva saputo scacciare dal suo regno gli invasori. Iniziò pertanto trattative segretissime con coloro che fino allora erano stati suoi nemici; ma queste mediazioni, per fortuna dei Siciliani, furono troncate da un avvenimento inatteso: la morte di Niccolò
IV.
(vedi la cronache di questa guerra nel link "Storia d'Italia")
Mentre tutto queste manovre avvenivano in Italia, in Oriente le cose per la Chiesa si stavano mettendo molto male. Si stava concludendo miseramente il capitolo delle crociate. I Musulmani stavano dando del filo da torcere ai principi che si erano insediati da quasi duecento anni in Terra Santa. Avevano riconquistato Gerusalemme, e fatto capitolare la eroica ultima resistenza a San Giovanni d'Acri. Niccolò IV ne rimase sconvolto, predicò a destra e a manca una nuova crociata contro gli infedeli. Ma non solo in Europa i principi e re erano sordi ai suoi appelli, ma anche gli stessi principi e re latino-orientali l'antico entusiasmo per simili iniziative belliche non lo sentivano più, loro che da alcune generazioni vivevano lì con famiglie, averi, con l'opulenza materiale e culturale araba, già adattati perfino ai ricchi costumi arabi, avevano tutto l'interesse a condurre trattative diplomatiche e non belliche per il loro quieto vivere in Oriente. Anche l'imperatore di Costantinopoli, al quale Niccolò IV si era accoratamente rivolto, fece orecchie di mercante, anche se per altri noti motivi diversi dai principi. La scomunica - per eresia e perchè responsabile dello scisma- fatta ancora all'epoca di Martino IV non era stata per nulla revocata. Lo scisma era da allora diventato ancora più netto e insanabile, figuriamoci se erano disposti a dare a Roma un aiuto.
Inaspettatamente a far sapere che avrebbe preso la Croce per recarsi in Terra Santa, all'inizio del 1291 fu proprio l'aragonese Alfonso d'Aragona. Promettendo che si sarebbe mosso per la nobile causa, pensava che una investitura sulla Sicilia sarebbe stata la giusta ricompensa alle sue intenzioni, prima ancora della partenza. Ovviamente era solo una opportunistica mossa politica, tanto è vero che (anche lui come i principi latini in Oriente) lui stava trattando con il sultano segretamente.
Come sappiamo da altre pagine in "Storia d'Italia", e dalle pagine delle "Crociate" il capitolo delle bisecolari spedizioni punitive in Terra Santa si concludeva miseramente. Dall'Oriente tutti i cristiani (quelli attivi militarmente) furono cacciati fino all'ultimo uomo.
Nel frattempo in Italia, prima ancora della dipartita di Niccolò, a Roma era proseguito il malcontento nei confronti dei Colonna, sempre più autoritari, e tali da suscitare violenti reazioni da parte degli altri nobili. Niccolo IV, che aveva dato i pieni poteri ai Colonna ( e loro ne avevano approfittato nell'esercitarli) come ricorda il Gregorovius "...veniva deriso per essersi dato anima e corpo ad una sola famiglia"; comparvero perfino dei libelli con delle immagini dissacranti, con il papa che appariva solo con la testa in mezzo a due colonne (simboli nello stemma dei Colonna).
I Savelli e gli Orsini a queste irrispettose manovre, non erano estranei. Alla fine, nel 1291, proprio quando Niccolò predicava la crociate, le tre potenti famiglie si misero d'accordo per una alternanza. Il compromesso (con il popolo a tifare minacciosamente alternativamente per uno o per l'altro, in base al calcolo dei benefici che avrebbe tratto da uno di loro) fu che al Colonna nella carica
senatoriale successe prima un Savelli (Pandolfo), poi insieme, per accontentare subito entrambe le due famiglie, la carica senatoria fu duplice, con un Colonna (Stefano) e un Orsini (Matteo) entrambi in Campidoglio.
A Roma placate queste lacerazioni, come se non bastassero quelle degli stati e dei regni, per un qualche mese dell'anno 1290 tornò la pace, ma fu di breve durata. Pochi mesi dopo dell'anno successivo, il 4 aprile 1291 Niccolò si spegneva nel suo bellissimo palazzo vicino a S. Maria Maggiore dove lui in questa aveva fatto eseguire degli splendidi mosaici; e proprio in questa chiesa venne sepolto; ancora oggi a ricordarcelo è il grande monumento che Sisto V gli eresse.
Fra le sue iniziative vogliamo qui ricordare che Niccolò IV fu anche l'iniziatore dell'ineguagliabile e stupendo Duomo di Orvieto.
Per dare un successore a Niccolò IV, non fu un'impresa per nulla facile, quella pace con i compromessi e opportunismi era stata fatta solo per temporeggiare, e appena il papa esalò il suo ultimo respiro, si tornò a tumultuare nelle strade, mancò un' autorità che garantisse l'ordine, e ognuno a Roma si mise a saccheggiare palazzi e perfino le chiese.
Questo stato di cose durò quasi due anni.
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