A Martino IV (morto il 28 marzo 1285) il Sacro Collegio cardinalizio riunito a Perugia (e questa volta senza le interferenze e le minacce di Carlo
d'Angiò, morto anche lui a inizio anno) dopo soli sei giorni di conclave, il 2 aprile nominò successore l'illustre cardinale romano GIACOMO della potente famiglia SAVELLI (seconda solo agli Orsini e ai Colonna), figlio del senatore Luca e di Giovanna Aldobrandesca dei conti di S. Flora.
Cardinale a S. Maria in Cosmedin, Giacomo era un uomo anziano e infermo (quasi non si reggeva in piedi e con le braccia a fatica faceva l'elevazione dell'ostia) ma era abile ed energico. Ricevuta la nomina, con una Roma piuttosto tranquilla dopo le tardive pacificazioni promosse dal suo predecessore, decise di rientrare nella sua città e l'incoronazione la ricevette a San Pietro il 18 maggio 1285, assumendo il nome di ONORIO IV, in memoria del suo glorioso antenato, Cencio Savelli, cioè Onorio III, l'attivo papa nel turbolento periodo svevo-federiciano anni 1216-1227.
Con simili antenati, il popolo romano al suo rientro non solo lo festeggiò come pontefice, ma volle affidargli anche la carica senatoria a vita, che però lui trasferì al fratello Pandolfo, anche lui piuttosto anziano e anche lui malandato in salute (si appoggiava a delle grucce) ma pure lui come il fratello abile e di spirito vivo, energico ma prudente, tale da assicurare - con le due più alte cariche - entrambi un incontrastato dominio ma anche a far godere per tutto il loro periodo una pace perfetta, e senza alcun tumulto aizzato dagli avversari.
Appena eletto, Onorio, volle dimostrare di essere un uomo di pace: per prima cosa tolse l'interdetto punitivo a Viterbo (Martino IV non l'aveva mai abrogato); promise di restituire la pace allo Stato della Chiesa (e infatti s'impegnò a riappacificare la Romagna di Guido da Montefeltro; infine di
risolvere la questione siciliana, anche se aveva l'impressione che l'Isola era ormai perduta. Tutta la Sicilia si era schierata a fianco di Pietro d'Aragona, che appunto aiutati da loro, con una serie di successi, stava riconquistando tutti i territori angioini.
Il neo-pontefice pur mostrando di non volere essere schiavo degli Angioini, seguì però la politica del suo predecessore e sostenne la corte vacillante di Napoli alla cui sorte era legata strettamente anche quella del Guelfismo d'Italia.
Fu largo di aiuti finanziari al conte Roberto di Artois, confermò per provvedere ai bisogni della guerra "santa" siciliana le decime delle chiese italiane, raccomandò ai principi stranieri gli eredi di Carlo e pubblicò due decreti con i quali riconfermava i privilegi ecclesiastici promulgati nel parlamento di San Martino, e ampliava con nuove leggi quelle dello stesso parlamento vietando la spoliazione dei naufraghi, estendendo ai fratelli e loro discendenti il diritto di ereditare i feudi, limitando alle guerre entro i confini del regno il servizio militare, proibendo le collette straordinarie e precisando la somma delle ordinarie, permettendo il ricorso dei sudditi alla Santa Sede contro le violazioni degli ufficiali regi, e, infine, minacciando d'interdetto e in casi di recidiva la scomunica come pena alle infrazioni di queste leggi.
Insieme con queste buone leggi Onorio però suscitava in Sicilia congiure che, per fortuna, scoperte a tempo, fallivano miseramente. Intanto la guerra tra Aragonesi ed Angioini dalla Sicilia si era stata trasferita in Spagna. Martino IV, prima della sua dipartita, nel bandire la crociata contro re Pietro d'Aragona, aveva deposto questo ultimo dal trono; Martino IV considerava quel territorio feudo della Chiesa, e ne aveva dato l'investitura a FILIPPO di Francia che, a sua volta, l'aveva passato al suo secondogenito CARLO di VALOIS (21 febbraio del 1284).
Predicata la "guerra santa" contro l'Aragonese, vi avevano aderito Francesi, Piccardi, Provenzali, Guasconi, Borgognoni, Tolosani, Brettoni, Inglesi, Fiamminghi, Alemanni e Lombardi; e uomini e navi avevano offerto Genova e Pisa.
Nonostante stabilita sul finir dell'inverno del 1284, la guerra non fu iniziata che nella primavera del 1285, cioè dopo dopo la morte di Martino IV (avvenuta in marzo).
L'esercito allestito nei mesi precedenti era possente: contava diciassettemila cavalieri, diciottomila balestrieri, centomila fanti, e numerosa era pure la flotta, composta da centocinquanta galee e ad altrettante, navi da trasporto. Facevano parte della spedizione FILIPPO L'ARDITO, re di Francia, i suoi figli FILIPPO il "BELLO" e CARLO di VALOIS, il re di Maiorca, il legato pontificio GIOVANNI CHOLLET, cardinale di Santa Cecilia, e molti baroni.
Bisognava insomma regolare i conti con gli aragonesi che ovviamente stavano reagendo alla scomunica e alla destituzione del loro re fatta ancora da Martino IV che - come abbiamo detto sopra - aveva poi dato il regno a Filippo di Francia.
L'esercito francese appena morto Martino IV, si mosse verso l'Aragona, riuscì a varcare i Pirenei, a cogliere qualche successo fino a Gerona, mentre la flotta conquistava la costa catalana fino a Barcellona.
L'offensiva francese via terra subì una battuta d'arresto lasciando sul terreno diverse vittime, perchè le difese approntate da Piero d'Aragona, funzionarono a dovere, e conducendo una micidiale guerriglia con audaci assalti affrontarono e respinsero i francesi; questi poi si sbandarono e a complicare a loro le cose nei reparti ancora efficienti scoppiò una terribile epidemia causando parecchie vittime.
L'offensiva via mare ebbe uguale sorte, perchè Pietro d'Aragona, chiesto in Sicilia l'aiuto del geniale e audace Ruggero di Lauria; questi quando con una quarantina di galee, giunse a Capo S. Sebastiano, non rimase per nulla intimorito nel vedere in lontananza una potente flotta di 300 navigli francesi schierata nei pressi delle "rocce delle formiche".
Come a Napoli con il figlio di Carlo D'Angiò, Ruggero escogitò uno dei suoi tanti stratagemmi. Con l'aiuto delle tenebre e tenendosi al largo con dei piccoli lumi per non cozzare uno contro l'altro, ma invisibili dalla costa, dopo aver dato il segnale d'attacco, fu il primo ad avanzare e con gli altri che lo seguirono a mò di ventaglio che si richiudeva, e questa volta con tanti grossi lumi sul ponte per dare l'impressione che le navi erano centinaia, portò lo scompiglio, terrorizzò i francesi e in breve tempo gli aragonesi prima distrussero poi catturarono ciò che rimaneva dell'intera flotta angioina.
Si hanno solo notizie da parte Spagnola, che sembrano esagerate; ma lo strano (forse perché mortificante) silenzio delle fonti Angioine, indubbiamente fanno pensare che l'armata siciliana quella notte distrusse e catturò tutta la flotta francese.
Filippo a stento riuscì sull'ammiraglia a mettersi in salvo, comandò la ritirata, ma questa incalzata dagli aragonesi, affamata, lacera e decimata dall'epidemia che era in corso, con pochi superstiti riuscì faticosamente a piedi a rivalicare i Pirenei il 30 settembre 1285. Colpito dal morbo epidemico era anche Filippo, che sei giorni dopo cessò di vivere, lasciando l'Aragona (non conquistata) virtualmente in mano al figlio Carlo di Valois che, ricordiamo, dal papa - dopo aver spodestato Pietro d'Aragona - era stato nominato sovrano di quel regno.
Pietro d'Aragona godette per poco il suo grande successo, quaranta giorni dopo l'umiliazione impartira al re di Francia, il 10 novembre moriva, lasciando pure lui una difficile eredità al figlio Alfonso III l'Aragona, e a Giacomo quella del regno di Sicilia (che però il papa a entrambi non riconosceva).
La nuova situazione che si era venuta a creare, creò nuovi problemi a Onorio IV. Giacomo d'Aragona giunse a Palermo il 2 febbraio 1286, riunì un parlamento e questo alla presenza di sua madre Costanza, e con gli applausi del popolo, dei nobili e del clero, gli pose sul capo la corona del regno. Le bolle di scomunica e gli interdetti papali furono del tutto ignorati.
Altro problema per il papa era la prigionia del figlio di Carlo d'Angiò, Carlo lo Zoppo sempre in mano agli aragonesi che tuttavia lo trattavano bene, non l'avevano buttato dentro un carcere, ma gli avevano dato un appartamento adeguato al suo rango di principe ereditario. In questa situazione era intervenuto come mediatore Edoardo d'Inghilterra, proponendo a Carlo ( e lui era disposto) la rinuncia della Sicilia, e a Carlo di Valois (disposto pure lui) la rinuncia dell'Aragona. A Barcellona fu stipulato anche un patto, ma Onorio con una bolla, opponendosi dichiarò nullo il patto, e ribadiva ed esigeva la piena sottomissione alla Chiesa dell'Aragona e del regno di Sicilia.
Dalla disfatta di Filippo, Onorio era comunque cambiato: Cosa aveva in mente non lo sapremo mai. O perchè si era reso conto di aver puntato nel corso del suo pontificato sul cavallo di razza sbagliato, o perchè aveva visto clamorosamente fallire tutta la sua politica filo-francese, o perchè negli ultimi mesi di vita era rinsavito, quando (con tempismo) si rifece vivo Rodolfo D'Asburgo per chiedergli
quell'incoronazione imperiale che non c'era mai stata, Onorio compie una inversione
a centottanta gradi, e con lettera del 31 maggio 1286 sollecita Rodolfo a scendere in Italia e gli promette l'incoronazione a Roma per il 2 febbraio 1287. Che idee avesse non lo sappiamo,
Rodolfo si prepara, a gennaio parte, si attarda però qualche giorno a valicare le Alpi e quando giunge in Italia, Onorio nel suo palazzo di S. Sabina sull'Aventino, il 3 aprile era già morto.
I Savelli erano già molto ricchi, erano padroni dei monti latini a Civita Castellana, avevano il magnifico palazzo e una rocca sull'Aventino, palazzi e torri ai Parioli, ma quando morirono (quasi nello stesso periodo) papa Onorio e il fratello Senatore, i Savelli erano diventati ancora più ricchi e potenti pari agli Orsini e i Colonna; tre famiglie che - sempre con la partecipazione dei volubili cittadini - iniziarono a gareggiarono per il dominio della città, e lentamente lentamente le libertà comunali lasciarono il posto a un solo signore o principe dominatore.
Ma questo cambiamento non era solo una caratteristica a Roma, ma stava avvenendo in molte altre città italiane, dando appunto origine a quel periodo chiamato delle "Signorie".
Ma di questo si parla in altre pagine, noi ora dobbiamo occuparci del nuovo Pontefice,
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