Fin dall'elezione di
Celestino IV, vedendolo malandato com'era, con un piede già nella fossa, i
cardinali, terrorizzati dall'idea di tornare dentro in quella micidiale
clausura per un secondo, più lungo conclave, o forse per mostrare che la
vicinanza dell'imperatore toglieva loro la libertà di decidere sulla scelta,
lasciarono in fretta e furia Roma e si ritirarono una parte ad Anagni, e una
parte nei loro castelli. Cosicchè, morto prematuramente Celestino, per
circa due anni la Santa Sede rimase senza Pontefice, e Roma restò in balia
delle fazioni, delle quali la ghibellina dovette subire le persecuzioni feroci
degli avversari che si rivolsero specialmente contro i Colonna. Per ben
due volte Federico II comparve davanti a Roma, devastando ville e poderi e
sfogando la sua ira contro numerose proprietà dei suoi nemici; ma questo suo
modo di fare, anziché intimorire i Romani a lui contrari, maggiormente li
incitava, provocando altrettante rappresaglie. Ma non solo a Roma; in quasi
tutto il resto d'Italia si svolsero le feroci lotte intestine di Guelfi e
Ghibellini, di Comuni contro altri Comuni... (vedi i fatti in questo
periodo storico 1241-1250)
Gli otto reduci del conclave del 1241,
nel febbraio del 1242 si riunirono ad Anagni per procedere alla nuova
elezione. Ma prima di farlo, in una condizione di scarsa sicurezza, e sempre
sotto l'incubo di un assedio, non trovarono di meglio che iniziare delle
trattative di pace con Federico, il quale volendo dimostrarsi magnanimo, mise
prima in liberta i due cardinali che teneva in carcere (e questi si unirono
agli altri otto del Sacro Collegio), poi si allontanò col suo esercito da Roma
e andò nel marzo 1242 a devastare la terra dei Marsi, nel successivo luglio
toccò ai monti Albani, e qualche devastazione la fece a fine 1242 in
Campagna. Fino al successivo maggio del 1243, i cardinali non si erano
ancora messi d'accordo chi scegliere, tante erano le diversità di vedute. Poi
il 25 giugno all'unanimità fu eletto il cardinale Sinibaldo di S. Lorenzo in
Lucina, conte di Lavagna, della potente famiglia genovese dei Fieschi. Sinibaldo aveva studiato diritto a Bologna, e al tempo di
Onorio
III era uditore della Curia romana. Promosso poi vice-cancelliere della
Chiesa, fu creato cardinale da Gregorio IX nel 1227, e rettore della Marca
d'Ancona tra il 1235 e il 1240. Fu uno degli otto che parteciparono al
conclave da cui uscì il brevissimo pontificato di Celestino.
Uscito
eletto il 25 giugno, quattro giorni dopo, il 28 giugno Sinibaldo fu consacrato
col nome di Papa Innocenzo IV. Con lui, fin dal primo momento, la Chiesa
inizia una nuova lotta con l'Impero. Eppure poco prima della sua elezione
Innocenzo era un pacifista ghibellino, lui e la sua casata erano sempre stati
devoti alla causa imperiale, e proprio lui aveva sempre perorato dentro la
Chiesa un accordo con Federico. Ma una volta salito sul soglio, vedendo
l'imperatore col suo esercito accanirsi in battaglie ingiuste contro la
Chiesa, i suoi sentimenti - già nati quando aveva visto colare a picco la vane
che conduceva al concilio i cardinali- si erano tramutati in guelfi e la
soluzione pacifica l'abbandonò quasi subito. Deludendo chi - visto i
precedenti - si aspettava una pacificazione. Perfino il nome che si era
scelto, era, infatti, tutto un programma di non dubbio significato e, se si
deve credere allo storico Galvano Flamma, all'annunzio dell'elezione, Federico
II stesso trasalendo esclamò: "Perdidi bonum amicum quia nullus papa potest
esse ghibelinus". Sapeva di perdere un amico, e che la nuova amara realtà
era, che nessun papa poteva essere ghibellino.
Infatti, Innocenzo IV,
dimostrandosi di carattere fermo, iniziò ad impiegare tutte le sue energie per
raggiungere al suo obiettivo: la completa disfatta di Federico II.
Quest'ultimo mostrando una certa paura di averlo come avversario, da Melfi
dove si trovava, gli scrisse frasi concilianti, forse con davanti il fantasma
che aveva portato quello stesso nome, che aveva con tanta determinazione prima
perseguitato e poi distrutto la reputazione di Federico Barbarossa. Rammentando ciò, e mostrandosi animato dalla migliore volontà
di pace, e perfino sicuro di ottenerla, Federico II gli scrisse: "Il nome d' Innocenzo vi fu dal Cielo destinato ad indicare che
per Voi ciò che è nocivo scomparirà e sarà mantenuta l'innocenza". Poi in Germania, dando l'annuncio del fausto evento, fece sapere
prossima la riconciliazione; in tutte le chiese del regno ordinò di cantare il
Te Deum; infine inviò ad Anagni una delegazione per confermare al Papa la sua
devozione alla Chiesa.
Innocenzo, iniziò a
dimostrare quello che ora era diventato. Non si lasciò commuovere dalle
parole, dalle apparenze, e dalle promesse, ma inviò i suoi deputati a Melfi
chiedendo che l'imperatore liberasse i prigionieri; restituisse subito tutti i
beni che aveva portati via alla Chiesa; che concedesse amnistia e pace a tutti
i fautori ed alleati della Santa Sede; che accettasse di sottomettere ad un
concilio di grandi laici ed ecclesiastici la decisione delle vertenza che
Federico aveva con la Chiesa. Accettati questi patti, sarebbe stato assolto
dalla scomunica.
Federico, se accettava tutto questo voleva dire
rinunciare al suo programma politico ed abbattere il prestigio della monarchia
non solo di fronte al Papato ma anche di fronte ai Comuni; pertanto rifiutò e
chiese a sua volta che il Pontefice richiamasse il legato che nella Lombardia
predicava la guerra contro di lui. Quanto ai beni ecclesiastici occupati,
proponeva di restituirli ma voleva che la Santa Sede glieli ritornasse sotto
forma di feudi. Ma nel frattempo non cessava le ostilità, andò perfino ad
assediare Viterbo, anche se invano perchè la città si difese, ma nel farlo
massacrò qualche ghibellino e mise in prigione qualche conte filo-imperiale.
Il papa era estraneo a questi eccessi, ma Federico se ne lamentava mentre
continuava a trattare per la pace. Finalmente, dai plenipotenziari
imperiali, questa fu giurata e stipulata il 31 marzo del 1244 con la
cosiddetta "Pace di Roma". (che durò però veramente poco).
Con il
patto, Papa ed Imperatore perdonavano reciprocamente ai sostenitori della
Chiesa e dell'Impero, e Federico si obbligava di rimettere in libertà i
prigionieri, di annullare le confische, di restituire le terre sottratte alla
Santa Sede, accettando la mediazione di Innocenzo nella contesa con i comuni
lombardi. Su questi ultimi Federico aveva dei sospetti sulla politica
pontificia. In effetti il Pontefice non si asteneva di tramare contro
l'imperatore; persuase perfino Adelasia di Sardegna a chiedere lo scioglimento
del matrimonio con Enzo, figlio di Federico, dichiarandolo illegittimo. E se
Federico si procurava di rafforzare il suo partito romano, anche il pontefice
andava alleandosi con Azzone d'Este, Guido Guerra, e guadagnava dalla sua
parte Parma.
Tuttavia in un clima di reciproca diffidenza, Federico
chiese a Innocenzo un colloquio; il primo lo voleva a Narni, il secondo a
Civita Castellana. Il primo non del tutto sincero, stava tramando un suo
arresto. Ma anche Innocenzo subodorando qualcosa di losco, si era rivolto per
un aiuto a Genova ai tre cugini Fieschi, che messi in mare un naviglio il 27
giugno gettavano l'ancora a Civitavecchia (appena in tempo). L'incontro
doveva avvenire il 28, ma mentre Innocenzo si trovava ancora a Sutri per poi
recarsi all'incontro con Federico, ebbe la cattiva novella da fidati
informatori che all'appuntamento trecento cavalieri erano in attesa pronti ad
impadronirsi di lui appena vi sarebbe giunto. Senza quindi recarsi
all'abboccamento imperiale, Innocenzo si portò a Civitavecchia e salito sulle
navi genovesi appena giunte il giorno prima, il papa con parecchi cardinali
salpò per la Francia. Il naviglio il 4 luglio attraccò a Porto Venere per far
riposare il papa colpito da una indisposizione, il 7 luglio giunse a Genova
salutato dal popolo festante, poi Innocenzo prese dimora al convento di S.
Andrea, vicino a Genova e vi rimase tre mesi; rimessosi in salute, proseguì
per la Francia, arrivando a Lione il 2 dicembre 1244. La notizia del losco
tranello imperiale andato però a vuoto per la provvidenziale fuga del papa,
raggiunse ogni angolo e commosse tutto il mondo, dando un colpo grave alla
dignità di Federico.
Innocenzo IV dalla Francia il 3 gennaio 1245,
intimò un concilio ecumenico da tenersi a Lione, invitando tutti i re, i
principi e prelati del mondo cristiano. L'invito lo estese anche a Federico in
persona, ma lo Svevo con la cattiva fama messa in giro dal papa, per non far
la figura del tiranno, inviò dei suoi consiglieri. I quali riferirono solo le
solite vecchie artificiose proposte. Poi forte per l'aiuto che gli veniva da
alcuni signori italiani filo-imperiali, Federico nello stesso anno a giugno
1245 tenne una grande dieta a Verona, dove intervennero oltre quelli italiani
con lui schierati, molti principi e vescovi tedeschi.
Quello invece
indetto dal papa a Lione, aperto nello stesso giugno del 1245 nel monastero di
San Giusto vi parteciparono centocinquanta vescovi, in gran parte della
Francia, della Spagna e dell'Inghilterra. Pochi erano quelli dell'Italia e
della Germania. Nel discorso inaugurale della prima seduta, Innocenzo IV
rivolgendosi all'assemblea, dopo aver paragonati i suoi dolori alle ferite di
Gesù Cristo, pronunciò le parole di Geremia: "O voi che
passate, volgetevi dunque e guardate se vi sia sofferenza eguale al dolore da
cui sono stato colpito", quindi si soffermò a parlare delle colpe
dell'imperatore e delle persecuzioni con le quali lui affliggeva la Chiesa.
La seconda seduta si tenne il 5 luglio 1245. Il Pontefice con maggiore
accanimento rinnovò le accuse contro il monarca, rimproverandogli specialmente
la fondazione della città saracena di Lucera, i commerci che lui aveva con i
paesi arabi, i rapporti che teneva con i dotti musulmani, ed infine, se la
prendeva pure con quelle donne saracene che erano addette al servizio della
corte. Una appassionata difesa di Federico fu fatta da Taddeo di Sesso, ma
i suoi argomenti furono molto sterili e quindi respinti, intervenendo il papa
stesso; ma Taddeo di rimando disse che il clima conciliare lionese era viziato
essendoci solo sostenitori del papa e nessuno a pro dell'imperatore, quindi
non era nè generale nè imparziale. Fu tuttavia proposta all'assemblea un
giureconsulto imperiale, richiesta che fu non appoggiata ma comunque accettata
da Francia e Inghilterra e, dopo aver proposto una sospensione dei lavori di
dodici giorni, invitarono Federico ad inviare a Lione suoi vescovi,
procuratori, ambasciatori, non più tardi del 17 luglio 1245. Questi
soggetti non giunsero in tempo all'assise, e gli imperiali proposero di
prorogare la scadenza e di attendere ancora tre giorni, ma respinta questa
proposta, il giureconsulto imperiale dichiarò incompetente a decidere quel
concilio, in cui molti vescovi erano assenti e non avevano mandato i loro
procuratori; quel concilio al quale la maggior parte dei sovrani cristiani non
avevano inviato i loro ambasciatori; quel concilio in cui i più degli
intervenuti erano mossi da partigianeria.
Dopo questa sfuriata
fu letta la sentenza già preparata prima, nella quale si rinnovavano contro
Federico le accuse d'infedeltà alla Santa Sede, di cui -precisavano- come Re
della Sicilia lui era solo un vassallo; violazione dei trattati altre volte
stipulati con la Curia; di sacrilegio; di tirannide e di eresia. La sentenza
si chiudeva con queste parole:
"Noi dunque, che,
sebbene indegni, rappresentiamo in terra Nostro Signore Gesù Cristo; noi, ai
quali nella persona di S. Pietro furono rivolte queste parole: "tutto ciò
che avrete legato in terra sarà legato in Cielo"; noi, insieme con i
cardinali nostri fratelli e con il sacro Concilio, abbiamo deliberato intorno
a questo principe che si è reso indegno dell'impero, dei suoi regni e di ogni
onore e dignità. Per i suoi delitti e per le sue iniquità Dio lo respinge e
più non tollera che sia re o imperatore. Noi facciamo soltanto conoscere e
denunciamo che, a motivo dei suoi peccati, è respinto da Dio, è privato dal
Signore di qualsiasi onore e dignità, e frattanto anche noi di ciò lo priviamo
con la nostra sentenza. Tutti quelli che sono legati a lui da giuramento
di fedeltà sono da noi in perpetuo sciolti e resi liberi da tale giuramento; e
noi vietiamo loro espressamente ed assolutamente con la nostra apostolica
autorità di prestargli obbedienza come imperatore o re o per qualunque altro
titolo da lui preteso. Coloro che l'aiuteranno o favoriranno come imperatore o
re, incorreranno ipso facto nella scomunica. Quelli cui nell'impero
spetta l'elezione dell'imperatore eleggano pure liberamente il successore di
questo; riguardo al regno di Sicilia, sarà nostra cura provvedervi e nel modo
più conveniente con il consiglio dei cardinali nostri
fratelli".
Quando il Pontefice
ebbe pronunziata la sentenza di scomunica e deposizione, e i cardinali,
ripetutala ebbero rivolti a terra i ceri che tenevano in mano accesi, Taddeo
di Sessa, percuotendosi il petto, gridò: "Questo è il
giorno della collera, delle calamità e della sciagura ! Or gioiranno gli
eretici, non avranno più freno i Carismìi e d'ogni parte irromperanno le orde
mongoliche !". Ed uscì dal concilio. "Ho
fatto il mio dovere. Dio provveda al resto secondo la Sua volontà", rispose Innocenzo IV chiudendo il Concilio e intonando
Te Deum
mentre le campane di Lione suonavano a distesa. "Il concilio era finito.
Esso - scrive il Grogorovius - diede il colpo fatale all'antico impero
germanico; ma la Chiesa n'ebbe in pari tempo bruciata la mano dal suo proprio
fulgore. I due princìpi, che erano stati fin qui i motori della civiltà,
dell'autocrazia imperiale e della teocrazia papale, cedono il posto ad altri
princìpi più consoni all'indipendenza ed alla libertà delle nazioni. Il
papato continuerà ancora a comandare alle anime, però alla condizione che esso
abbandoni le antiche velleità d'imperare anche sui re e sulle
nazioni".
La scomunica di
Federico fece un'enorme impressione sull'Europa, anche se la cancelleria
imperiale di Federico la invase di editti ed appelli perchè insorgesse contro
quell'Anticristo rappresentato da Innocenzo IV. Si ritornò insomma a quella
guerra ideologica e militare già conosciuta da Federico ai tempi di Gregorio
IX.
Il papa dopo la scomunica, la degradazione e lo scioglimento del
giuramento all'imperatore, diede facoltà agli elettori di Germania di nominare
un re, mentre lui avrebbe provveduto da solo per quanto riguardava il regno di
Sicilia e sul resto d'Italia. In Germania i principi tedeschi devoti alla
Chiesa elessero il margravio di Turingia Enrico Raspe. Costui dovette
affrontare subito gli oppositori guidati dal figlio di Federico, Corrado, che
riusciva a sconfiggere a Francoforte il 5 agosto 1246, ma pochi mesi dopo, il
17 febbraio 1247 Enrico moriva. In ottobre lo rimpiazzarono con il giovane
conte Guglielmo d'Olanda, incoronato poi ad Acquisgrana il 1° novembre
1248. In Sicilia invece, molti nobili messi al potere da Federico,
tradendolo si unirono al papa; altrettanto fecero il vicario di Toscana, i De
Morra, Tebaldo Francisco podestà di Parma. In mezzo a tanti voltafaccia,
Federico con l'aiuto del figlio Enzo e del feroce Ezzelino da Romano, riuscì a
riprendere Parma che poi punì con uno sterminio. Ma in una nuova ribellione
dei parmensi, questi gli assalirono la tendopoli piazzata fuori Parma e il 18
febbraio 1248 Federico riuscì a stento a salvarsi fuggendo a Cremona, dove
maturò intenzioni di fare pace con il papa, ma nel frattempo continuava la
guerra. Il 26 maggio 1249, attaccando Bologna, suo figlio Enzo alla battaglia
di Fossalta fu catturato dai bolognesi; lo rinchiusero in una tetra prigione e
ve lo tennero dentro fino alla sua morte. (vedi nel periodo storico indicato
in calce)
Qualche speranza di rivincita gliela diede l'Ezzelino che con
la sua ferocia vinceva e dominava nell'Italia settentrionale; ma al centro e
nel sud Federico era ormai solo, e trasferitosi proprio nel sud, qui
diffidando anche dei suoi più fedeli collaboratori (fra cui Pier della Vigne,
che accusato di intese col papa, fece accecare e buttare in prigione. Ma in
attesa del processo il cancelliere si suicidò), si ritrovò ancora più solo.
Per poco tempo però, il 13 dicembre 1250 Federico moriva a Fiorentino nella
Puglia, all'età di 56 anni per un attacco di febbri intestinali. Fu sepolto
nel duomo di Palermo.
Come Federico aveva gioito alla morte di Gregorio
IX con "villana letizia", a gioire questa volta fu Innocenzo IV; e tale gioia
la manifestò scrivendo lettere (rimaste famose) a tutti i sovrani europei,
annunciando con tono sprezzante e poco lodevoli per un uomo di chiesa, che era
finalmente morto il "nemico giurato della Chiesa
cristiana"...."Esultino i cieli ! Si rallegri la terra, perché con la
morte del vostro persecutore sembra, per l'ineffabile misericordia di Dio, che
si siano mutati in dolci zeffiri e in fresche rugiade i fulmini e le procelle
che sono stati lungamente sospesi sulle vostre teste. Tornate dunque subito
nel grembo della Santa Chiesa, vostra madre, dove soltanto in questa potete
trovare riposo, pace, libertà".
Il 16 aprile 1251
Innocenzo ricevette il re di Germania Guglielmo (che riconfermò il 1° luglio
1252) indi sbarcando a Genova ritornò in Italia; per oltre due anni visitò
varie città della Lombardia, Le accoglienze che Milano fece al Pontefice
furono indescrivibili: tutta la città andò ad incontrarlo e oltre duecentomila
persone fiancheggiavano la strada per un tratto di dieci miglia, dove passò
Innocenzo sotto un baldacchino di seta, sorretto dai più autorevoli cittadini.
Due mesi dimorò a Milano il Pontefice, poi attraverso Brescia, Mantova e
Ferrara scese a Bologna, accolto ovunque festosamente, e di là, per la
Romagna, andò a Perugia e infine ad Anagni, dove dimorò alternativamente fino
all'ottobre del 1253 prima di rientrare a Roma dopo aver ricevuto l'invito dal
Senatore.
Disponendo ora come un suo feudo il regno di Sicilia, si
diede da fare per cercare un re a lui gradito, ignorando del tutto Manfredi.
Ne scelse diversi e fra questi tutti di alto lignaggio: Riccardo di
Cornovaglia, fratello di Enrico III d'Inghilterra; Carlo d'Angiò, fratello di
Luigi IX di Francia; poi con lo stesso figlio di Enrico III, Edmondo di nove
anni. Le trattative fallirono tutte, perchè il papa poneva delle condizioni
che furono dai potenziali beneficiati considerate inaccettabili.
Nel
Sud a resistere come re del regno di Sicilia era rimasto lo scomunicato
Manfredi, principe di Taranto (Manfredi era figlio nato da una relazione
dell'imperatore con la contessa Bianca Lancia, e fungeva da luogotenente in
Italia del fratellastro Corrado). Benvisto e apprezzato anche dai siciliani
per le sue grandi doti di magnanimità e ingegno, Manfredi con la maggior parte
della popolazione a suo favore divenne temerario nei confronti
dell'usurpazione della Chiesa. Tenne prima testa ad alcuni ribelli schieratisi
col papa; poi temendo le trame con gli stranieri di Innocenzo IV, chiese aiuto
in Germania al fratellastro Corrado, che nell'ottobre 1251 era già sceso a
Verona accolto da Ezzelino. Proseguì subito per il Mezzogiorno iniziando fin
dalle prime battute una guerra fortunata, che gli permise di mettere al sicuro
il regno meridionale e di entrare trionfalmente a Napoli nell'ottobre del
1253. Innocenzo IV da Assisi scomunicò pure lui, ma Corrado sentendosi
sicuro, pensò di risalire l'Italia e di marciare contro le città lombarde. Era
appena partito, quando nei pressi di Lavello, tra Melfi e Venosa, il 21 maggio
1254, a soli 26 anni moriva, lasciando suo erede il piccolo Corradino, che sua
moglie Elisabetta di Wittelsbach, gli aveva appena partorito il 25 marzo
1252. Era riuscito a fare testamento, lasciando in eredità il regno di
Sicilia al piccolo Corradino, pur mettendolo sotto la tutela a quel papa che
lui aveva tentato di strappare il regno stesso. Il fratellastro Manfredi
nemmeno lo nominò.
Morto Corrado, instabili com'erano i nobili del
Mezzogiorno, o per un innato odio contro i tedeschi, ne approfittarono subito
per rivolgersi al Papa. Manfredi saggio com'era, invece di continuare una
guerra a oltranza, cercò di accordarsi col papa, cercando di perorare non la
sua causa ma di far riconoscere come erede il piccolo Corradino. Ma Innocenzo
IV non voleva più saperne di dominazione sveva in Italia. Da Manfredi voleva
piena sottomissione alla Chiesa; quanto ai diritti di Corradino - disse - se
ne sarebbe parlato a suo tempo, allorchè questi fosse stato in grado di
esercitarli. Tuttavia concluse il 27 settembre del 1254 un accordo con
Manfredi, nominandolo solo vicario di Taranto e Adria. Manfredi si fidò
poco di questo accordo, e quando venne a sapere che il papa stava raccogliendo
danari dai banchieri e dai beni della Chiesa per formare un esercito e
marciare contro di lui, anticipò le mosse con i suoi fidi Saraceni e presso
Foggia il 2 dicembre 1254 li sbaragliò mettendoli in rotta. Il 27 ottobre,
pregustando una sicura vittoria, Innocenzo IV era già sceso a Napoli accolto
dalla mutevole popolazione. Ma all'annuncio della disfatta di Foggia del 2
dicembre, lo colse un malore; cinque giorni dopo, il 7 dicembre 1254,
moriva.
Innocenzo IV era andato molto vicino al sogno di alcuni suoi
predecessori, ma forse fu troppo avventato, quando invece avrebbe potuto con
più coerenza e con più calma affrontare i quattro anni del dopo-Federico. La sua politica con l'impero è giudicata sfavorevolmente,
soprattutto dagli storici tedeschi. La Chiesa nei dieci anni del suo
pontificato non era più forte ( basterebbe ricordare il vano appello rivolto a
Lione a tutte le nazioni per una nuova crociata, che poi accettò solo Luigi IX
e che si risolse oltretutto in un disastro) e l'impero con la morte di
Federico nei quattro anni che seguirono stava decadendo come forza politica.
Ma Innocenzo IV - preso nella furia contro gli svevi - non riuscì a capire
nè a vedere che agendo così anche per il papato si preparavano tempi di
decadenza.
Più favorevole e
anche più redditizia fu invece la sua attività missionaria, con una serie di
iniziative di ampio respiro evangelico. Basterebbe ricordare le missioni in
Africa e in Asia. In quest'ultima, ai Mongoli ed ai Tartari invasori della
Russia mandò fino al Caracorum il (leggendario) missionario Giovanni da Piano
di Carpino. Approvò la Congregazione dei Servi di Maria, nata a Firenze nel
1233; confermò agli Slavi il privilegio di celebrare gli uffici divini nella
loro lingua; scrisse un libro sulle Decretali e difese con altri scritti la
supremazia della Chiesa.
Poco evangelica - ed è rimasta come una
indelebile macchia del suo pontificato - fu la bolla Ad extirpanda emanata due anni prima di morire, nel 1252, con la quale permise
all'inquisizione di fare uso della tortura.
Sepolto in un primo
tempo a Napoli nella chiesa di S. Restituta, nel 1318 le sue ossa furono
traslate nella nuova cattedrale di S. Gennaro e messe dentro il monumento
funebre che gli fu eretto nel 1318.
Nella stessa Napoli i
cardinali si riunirono per eleggere il successore
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