A Onorio III, morto il 18 marzo 1223, gli fu dato come successore il cardinale UGOLINO dei CONTI di SEGNI, vescovo di Ostia, parente di Innocenzo III, che eletto il giorno dopo, il 19 marzo 1227, prese il nome di GREGORIO IX. Nato ad Anagni 82 anni prima, era dunque già molto vecchio, ma dotato di una vitalità straordinaria (morirà a 96 anni!), di carattere fiero e tenace, di temperamento più energico del suo predecessore, non amava i mezzi termini ed odiava la politica fatta di indugi, di tentennamenti e di compromessi. Era insomma un indomito battagliero.
Lui nella sua lunga carriera aveva visto e vissuto il governo di molti papi e di molti imperatori e in tutte quelle occasioni che abbiamo narrato, si era potuto fare una grande esperienza, a diversi livelli.
Era stato creato cardinale da Innocenzo III, suo parente. Che lo inviò legato pontificio varie volte in Germania, per assistere da vicino il suo protetto Federico, con il quale Gregorio entrò in amicizia.
Morto Innocenzo, nel pontificato di Onorio, era stato di nuovo legato pontificio, ma questa volta nell'Italia settentrionale. Compito che assolse così bene, che nei duri contrasti nati nelle città fra guelfi e ghibellini, lui era riuscito a metter pace sfoderando una inusitata energia.
Forse fu proprio per questo - nonostante l'età - che gli elettori lo prescelsero, sperando di avere nuovamente un papa autoritario capace di contrastare l'imperatore.
Era l'uomo politico che ci voleva, ciononostante era un uomo di fede. Fu proprio lui Ugolino a divenire protettore di San Francesco, facendo approvare da papa Onorio nel 1223 il suo "Ordine Francescano", e - quando lui divenne papa- a canonizzare il frate di Assisi il 16 luglio del 1228.
Consacrato papa in San Pietro il 21 marzo, tre giorni dopo scrisse a Federico per annunciargli l'elezione e ricordandogli che il 15 agosto scadeva il termine per la partenza della crociata. Impegno preso con Onorio, pena la scomunica.
Era, quella di Gregorio, una lettera indirizzata a un "amico", quindi cordiale,
ciononostante il tono era fermo. Del resto Federico lo conosceva, quindi sapeva con chi aveva a che fare. I preparativi questa volta li fece per davvero, radunando in luglio a Brindisi un potente esercito, così grande che le navi che erano state predisposte non erano sufficienti per il trasporto in Terrasanta, bisognò attendere altre navi. Ma durante questa attesa scoppiò un principio di epidemia fra le truppe.
Tuttavia appena fu reso possibile, Federico era poi salpato da Brindisi, ma non andò oltre Otranto. Qui l'epidemia colpì ancora gli equipaggi. Pure lui assalito da una violenta febbre, cedendo alle preghiere delle truppe scoraggiate, tornò a dirigere le prore verso terra ed approdò ad Otranto. Federico a quel punto rinunciò alla crociata e si rifugiò a Pozzuoli per ristabilirsi dalle febbri.
Questi fatti erano veri, ma dato i precedenti (dieci anni di rimandi), quando con le varie ambasciate Federico informò Gregorio IX, il papa credette poco alla storia delle malattie, lo prese come un altro pretesto. Con molta impulsività, il 29 settembre scomunicò Federico, e con una enciclica distribuita all'intera cristianità, denunciava l'imperatore di spergiuro, di dissolutezza, e aggiunse di tirannia.
Federico gli rispose il 6 dicembre, confermandogli gli inconvenienti e gli comunicava che appena rimesso in salute era intenzionato a partire il maggio successivo (1228).
Gregorio convinto di esser preso in giro, non credendo alle sue giustificazioni, nè alla sua precaria salute, il 23 marzo del 1228 gli rinnovò la scomunica.
Giunse perfino a dire che Federico aveva messo di proposito l'esercito in luoghi malsani per farlo decimare dalla pestilenza e di avere così, con questo pretesto, violato il giuramento ed abbandonato le insegne di Cristo.
Ma più per la mancata partenza per la Crociata, il Papa temeva quella sua presenza nel Sud, e nella stessa scomunica non mancò di affermare che Federico stava esercitando delle pressioni sul clero siciliano custodi dei beni papali.
Federico, sdegnato, rispose alle accuse papali molto aspramente con una lettera terribile che inviò a tutti i principi e nella quale si difendeva e dipingeva a foschi colori gli ambiziosi disegni della Curia romana.
La scomunica, le affermazioni del papa, e la lettera di Federico, non mancarono a Roma di suscitare ostilità verso il papa. Primi a muoversi fu quella parte di nobiltà che faceva capo ai Frangipane; questi, filo-imperiali erano stati già agganciati alla causa imperiale da Federico. E quando Gregorio in San Pietro nel dì di Pasqua ( 23 marzo 1228) tenne una omelia accanendosi con degli anatemi contro Federico, scoppiarono i tumulti, i rivoltosi interruppero il papa, poi lo cacciarono dalla chiesa. Gregorio dovette riparare prima a Viterbo poi a Perugia, da dove lanciò la scomunica ai sudditi romani ribelli. I quali misero in
subbuglio la città.
Federico poteva benissimo ora rinunciare alla crociata, invece fece la mossa che metteva dalla parte del torto il diffidente Gregorio. Voleva dimostrare che le accuse mossegli dal Papa erano calunnie.
Alla notizia il fiero 80enne Pontefice che prima tanto aveva fatto per invitarlo a compierla, ora per impedire al monarca scomunicato di offrire al mondo lo spettacolo di una crociata guidata da un principe colpito dall'anatema, anziché pregare per la vittoria delle armi cristiane, scongiurò il Cielo di colpire l'empio sovrano e di non far riuscire la sua sacrilega impresa.
Invece in giugno Federico salpò ugualmente da Brindisi; e quando giunse a Gerusalemme invece di guerreggiare contro gli "infedeli", con un'abile manovra politica e varie trattative diplomatiche ottenne i Luoghi Santi stipulando in febbraio (1229) con il sultano d'Egitto
Al-Kamil, un trattato di reciproca pacificazione. I due erano due grandi statisti, amanti della cultura e rapporti umani, non impiegarono molto tempo per intendersi senza far ricorso alle armi.
AL-KAMIL cedeva a FEDERICO la città di Gerusalemme al patto però che la moschea di Omar restasse proprietà dei Musulmani e questi potessero esercitare liberamente il loro culto; cedeva inoltre Betlemme, Nazareth e tutti i villaggi posti sulle vie che da Gerusalemme conducevano a Joppe e di qui ad
Ancona e s'impegnava di restituire tutti i Cristiani da lui fatti prigionieri.
(vedi nella pagina dedicata, questi reciproci rapporti di stima > > ).
Federico si fece poi incoronare re di Gerusalemme nella chiesa del Santo Sepolcro e nel giugno dello stesso anno faceva già rientro in Italia. Senza colpo ferire Federico aveva messo nella mani dei Cristiani la Città Santa.
Ma gli scongiuri di Gregorio tramite due francescani inviati dal Pontefice e "volati" in
Terrasanta, erano già giunti a Gerusalemme, e rimproverarono severamente, a nome del Capo della Chiesa, i Cristiani d'Oriente di avere accolto un principe su cui pesava la scomunica.
Piombo a Gerusalemme anche l'arcivescovo di Cesarea che lanciò l'interdetto sui Luoghi Santi, suscitando così lo sdegno dei Cristiani del luogo che sostenevano Federico.
Quando poi seppero della pacificazione, inorridirono. E quando poi i francescani rientrarono in Italia a portare a Roma la lieta novella, ad inorridire fu il papa.
Federico fu considerato come un "nemico della religione perché, invece di portar guerra agli infedeli, aveva loro portato la pace", fu chiamato "empio, violatore dei giuramenti, corsaro", Gregorio lo paragonò a quegli "empi monarchi che la collera del Signore aveva altre volte fatto sedere sul trono di David".
Inoltre, mentre era stato assente Federico, aveva fatto di tutto per cercare un legittimo erede per il trono di Sicilia. Inoltre ne aveva approfittato per lanciare il suo corpo di milizie contro quegli stati pontifici che Federico gli aveva sottratto. Dalle Romagne e fino a Benevento gli ex territori pontifici furono devastati dagli invasori, non proprio tanto "evangelici".
Nel suo rientro, per prima cosa Federico con i reduci della Crociata, puntò sul Lazio, deciso a domare le insurrezioni, ma anche intenzionato a incontrarsi e a rappacificarsi col papa. Ma Gregorio non ne volle sapere di incontrare Federico. Anzi per fronteggiarlo chiamò in aiuto i Guelfi dell'Italia settentrionale, che tutto era, meno che guelfa; era Ghibellino, ossia imperiale, vale a dire antipapale. Infatti risposero in pochi all'appello. A quel punto, con le armi spuntate, Gregorio decise di riconciliarsi con il suo grande avversario che dal canto suo - per non provocare ulteriori contrasti - non era contrario.
Le circostanze favorirono questa pace. Roma colpita in febbraio da una drammatica inondazione del Tevere, i danni e la carestia che poi seguirono, fecero ritornare la tranquillità, e convinti i Romani che quella era stata una punizione divina per aver cacciato il papa, invitarono Gregorio a far rientro in Roma. Riaccolto con grandi onori, lui ne approfittò per ribadire che quelle disgrazie erano proprio "castighi divini" contro i nemici della Chiesa che imperversavano in ogni angolo, a Roma, in Italia e negli altri stati.
La pace fu conclusa a Ceprano (San Germano) il 23 luglio del 1230, e fu vantaggiosa al Papa. Questi si obbligava di togliere la scomunica a Federico e a tutti i suoi sostenitori; l'imperatore dal canto suo s'impegnava di perdonare tutti quei sudditi che avevano favorito la causa papale; di richiamare i fuorusciti; di restituire i beni ai nobili; di perdonare ai monaci e ai prelati; di conformarsi nelle faccende della Chiesa al diritto ecclesiastico; di non portare i sacerdoti davanti ai tribunali laici e di non gravarli con tributi straordinari.
Il 1 luglio ad Anagni in un ulteriore incontro Impero e Papato restauravano buoni rapporti, Federico promise di
sottomettersi alla Chiesa, e riconobbe il legame di vassallaggio della Sicilia con Roma.
Ma nell'apparente cordialità e nell'atteggiamento di sudditanza, Federico non aveva proprio per nulla rinunziato al suo sogno monarchico in Italia, nè quello di restaurare un nuovo impero romano.
E oltre che emanare in Germania - tramite suo figlio Enrico nuove leggi contro le libertà delle città e in favore dell'assoluta sovranità del principi, anche nel sud d'Italia e in Sicilia, al termine di quella restaurazione monarchica già iniziata prima della crociata, iniziò a regolare i rapporti fra l'impero e i principi germanici.
Infine promulgò un nuovo ordinamento al regno siciliano con le "Costitutiones Regni Siciliane" che furono poi pubblicate a Melfi nel 1237 ed hanno un'importanza straordinaria nella storia del diritto perché costituiscono il primo serio tentativo di stabilire in mezzo alla società feudale uno stato moderno.
Federico mette da parte la concezione feudale germanica e ritorna alla concezione romana dell'unità del "potere sovrano e dell'eguaglianza giuridica dei cittadini e identifica lo stato con la persona del re, il quale, secondo lui, ha un carattere divino, è l'interprete della volontà di Dio e il ministro della giustizia".
(la cosiddetta "Costituzione di Melfi" la riportiamo in queste pagine > > )
Da come abbiamo appena letto nel corsivo, stabilendo la costituzione di Melfi l'assoluta onnipotenza del re, tale concetto danneggiava la Chiesa, perchè introduceva leggi in contrasto col diritto vigente.
Il Papa non è che si oppose, ma rispose indirettamente con la sua raccolta di "Decretali", promulgate in cinque libri il 5 settembre 1234 (affidate e compilate dal domenicano Raimondo di
Pennafort). Non erano queste leggi, anche se venivano indicate da tempo costituzioni pontificie di carattere generale, ma erano norme canoniche, che emanate dal sommo pontefice avevano la forza obbligatoria per tutti i fedeli. (Le "Decretali" sono
comunemente indicate come "Liber extra", e costituì poi la base del "Corpus iuris canonici" di Pio X e Benedetto
XV).
Federico che da alcuni anni stava emanando le sue leggi in ogni contrada, non ne fu contento, e già era in procinto di causare nuovi contrasti quando due singolari circostanze (perfino paradossali) permisero di riavvicinare i due avversari.
Mentre Gregorio promulgava i "Decretali", nello stesso anno a Roma erano nuovamente scoppiati tumulti dei romani contro l'odiata Viterbo; nuovamente messo in fuga, il papa, andò a rifugiarsi in Umbria, e Federico nel ruolo di fedele protettore della Chiesa era accorso in suo aiuto, affrontando e sconfiggendo i romani a Viterbo. Con i ribelli definitivamente sottomessi, Gregorio potè rientrare a Roma, e proprio grazie all'intervento armato di Federico riuscì a mantenere a Roma il potere temporale della Chiesa. Poi gli fu riconoscente in questa seconda singolare circostanza:
Federico, fu infatti investito da una singolare ribellione in famiglia. Il figlio Enrico, ambizioso com'era, nonostante i suoi 16 anni (e forse aizzato da quei principi tedeschi che non tollerando la perenne assenza di Federico, oltre a tanti malcontenti della stessa politica imperiale, fecero facilmente presa sul debole carattere del ragazzo) si ribellò al padre minacciando il suo trono imperiale. E oltre che avere dalla sua parte i principi ribelli tedeschi, tentò pure di stringere un alleanza in Italia con quelle città lombarde che pur essendo chi più chi meno antipapali erano nello stesso tempo contro Federico che con le sue leggi imperiali minacciava la loro autonomia. E forse si illusero che schierandosi col figlio, Enrico li avrebbe trattati meglio! Infatti il giovane per averli alleati promise loro a piene mani che rinunciava a qualsiasi credito e prometteva di non esigere da loro né tributi né pegni né milizie.
La cosa era seria per Federico, avere buona parte dei lombardi sul piede di guerra non era proprio raccomandabile, Barbarossa ne aveva fatto a suo tempo le spese. Ma paradossalmente a salvare i ribelli Comuni democratici e a salvare la corona dello
Svevo, gli corse in aiuto con la "sua potente arma" Gregorio, che scomunicò Enrico e punì gli ecclesiastici lombardi suoi fautori. Enrico fu catturato, detronizzato, sbattuto poi in prigione dal padre che ve lo tenne fino alla morte, avvenuta nel 1242.
Allontanato per il momento questo pericolo, Federico su istanza del papa si riammogliò per la terza volta il 18 luglio 1235 con Elisabetta, sorella di Enrico III d'Inghilterra. Poi a Magonza fece promulgare una legge sulla pace universale, ma nello stesso tempo pensò alla guerra, volendo punire quei Comuni Lombardi che si erano ribellati alla sua sovranità appoggiando suo figlio Enrico.
I rapporti dei lombardi con il papa erano piuttosto singolari e ambigui, Gregorio si teneva in intimo contatto con la Lega Lombarda, i cui Comuni se manovrati bene da lui potevano costituire potenziali alleati contro l'impero, ma nello stesso tempo (e questo era quanto mai singolare) stroncava a Roma -da quando era salito sul soglio- quelle le stesse aspirazioni che erano invece vive nei comuni settentrionali.
Ma singolari e ambigui erano anche i comportamenti dei lombardi. Le città erano sempre divise apparentemente in due, ma spesso erano come quelle clessidre, scesa la sabbia in uno dei due contenitori, basta un tocco, si capovolge e inizia lentamente un altro travaso.
Così nelle città, bastava un nulla, e subito ricominciava il trasformismo; appena erano vinti i sostenitori imperiali, all'improvviso spuntavano da tutte le parti i partigiani papali, oppure quando decidevano di essere i cittadini autonomi, appena sorgevano dei reciproci contrasti, una o l'altra fazione era pronta a chiamare il papa o l'imperatore per farsi aiutare a sconfiggere gli avversari; e questo fino al prossimo capovolgimento, in una continua alternanza.
Ma molto spesso ad entrambe le due fazioni mancava spesso la risolutezza, la volontà; la loro forza era insidiata e indebolita quasi sempre dalle discordie interne dei due grandi partiti, e dalle periodiche guerre comunali che mettevano Cremona contro Milano e Mantova, Bologna contro Modena, Parma contro Piacenza e Reggio, Padova contro Verona, Verona e Padova contro Vicenza, Venezia contro Ferrara, senza contare quelle altrettanto ricorrenti tra Pistoia e Lucca, tra Firenze e Siena, Firenze e Pisa ecc. ecc.
Nel 1236, la pace universale promulgata da Federico a Worm nel 1235 durò poco. A fine anno Federico si preparò a combattere i Lombardi, perchè questi stavano aumentando di numero e di forze, anche se l'imperatore poteva contare dalla sua parte alcune città ghibelline (soprattutto per merito del sanguinario Ezzelino da Romano, che era riuscito a sottomettere molte città venete).
Federico ripassò le alpi, scese subito in Veneto, prese la ribelle Vicenza, che poi donò a Romano, poi con il suo potente esercito, con altre forze del tiranno veneto, e diecimila Saraceni fatti venire dalle
Puglie, il 27 novembre 1237 a Cortenuova venne a battaglia con l'esercito dei Comuni; questo fu in breve disfatto (10.000 furono i morti e i prigionieri) e Federico fece il suo trionfale ingresso a Cremona alla maniera di "Cesare", con davanti gli avanzi del "Carroccio", al cui albero era legato Pietro
Tiepolo, figlio del doge di Venezia, e podestà di Milano e dietro a lui trascinati in umilianti catene come bestie i nobili catturati, e via via tutti gli altri prigionieri. (vedi i particolari in queste pagine)
Finita la parata, i resti del "Carroccio" furono mandati a Roma, ma non al Papa, fu portato invece in trionfo al Campidoglio (sede e simbolo dei comunali), come a voler far capire a chi doveva intendere che il potere era in mano all'Impero.
Nell'eccitazione dei comunali in festa e della bassa plebe, come al solito imbevuta dalla demagogia di qualche opportunista filo-imperiale (che vedeva giunto il suo momento), presagendo un assalto al palazzo papale, Gregorio pensò bene nel luglio del 1238 di lasciare Roma per rifugiarsi nella città di
Anagni. Ma a Roma non accadde nulla, e già in ottobre il pontefice tornò a Roma riuscendo ancora una volta a imporre a quel manipolo di esaltati ribelli la sua obbedienza. Poi nella primavera successiva - non avendo digerito quell'atto di superbia del "Carroccio" al Campidoglio - Gregorio ricorse alla sua terribile "arma" scomunicando -il 24 marzo 1239- nuovamente Federico e re Corrado, e sciogliendo i sudditi dal giuramento di ubbidienza ai due sovrani.
I due, pur vittoriosi a Cremona, negli stessi giorni dovettero impegnarsi seriamente, dato che Brescia resisteva eroicamente ai loro attacchi. Ciononostante proprio da queste lontane contrade Federico seguitava ad aizzare i Romani contro il papa; faceva imprigionare vari legati pontifici; impediva le nomine vescovili; in Sicilia faceva arrestare il nipote del re di Tunisi che si stava recando a Roma per ricevere il battesimo; non impediva che i "suoi" Saraceni nel sud distruggessero chiese e monasteri; faceva violare in ogni luogo la pace di San Germano; ed infine, Federico fece sposare Adelasia, vedova di Ubaldo Visconti con suo figlio Enzo, cui concesse il titolo di re di Sardegna; ma questo un feudo vantato dalla Chiesa, quindi un dono indebito che fece infuriare Gregorio.
Le relazioni di Federico con il papa si fecero quindi ancora più aspre. Quest'ultimo inviava a parroci e vescovi di ogni cantone terribili accuse contro l'imperatore, mentre il primo a sua volta inviando altrettanto lettere furiose a principi, cardinali, e sudditi cristiani, non solo irrideva e accusava il papa di essere un tiranno, ma lo accusava di essere un protettore degli eretici. Poi minacciando quei comuni che gli davano appoggio, che accusava di essere stati corrotti, da Verona, il 13 giugno 1239, li mise tutti al bando dell'impero, cominciò a perseguitare i seguaci, interdisse ogni commercio con le città pontificie, ed infine cacciò dal suo regno i religiosi fedeli al "papa impostore".
Nonostante i suoi anni, Gregorio invece di fare felpati passi per la pace, rispose il 20 giugno con un aspro e battagliero manifesto, indirizzato a principi e vescovi, descrivendo la tirannide e la crudeltà di Federico che bollò come il "preambolo dell'anticristo".
Federico rispose per le rime, definendolo pazzo, stolto, infedele, profanatore del tempio, seme di Babilonia, bestia dell'Apocalisse, che sedeva sul soglio nonostante considerasse Cristo un impostore.
Tuttavia, molti principi non furono insensibili al papa, alcuni, più cristiani degli altri a causa della scomunica iniziarono ad abbandonare Federico. Ne approfittò subito Gregorio facendo predicare una crociata contro "l'anticristo", e nel contempo - anche se invano - offriva la corona al fratello del re di Francia; poi il 22 settembre 1239 si alleava con Venezia e con Genova e, ammirandola - improvvisatosi come vindice della libertà- si offriva perfino paladino della resistenza vittoriosa della Lega Lombarda. Era un paradosso, ma il machiavellico opportunistico mezzo giustificava il fine.
Federico in effetti cominciò ad avere alcuni problemi, e dato che la sua azione militare non era per nulla incisiva, colse pochi successi. Invano tentò di impadronirsi di Bologna e di Milano, invano tentò di domare rivolte antimperiali scoppiate a Treviso e Ravenna.
Qualche successo lo ottenne invece in Toscana e in Lunigiana, che furono tali da spingerlo nel marzo del 1240 a prepararsi per una marcia verso sud, su Roma per assediarla e fare infine prigioniero Gregorio, annunziando a destra e a manca che "quel papa" era un vero e proprio "pubblico nemico" da annientare; nel contempo lungo il percorso in Italia centrale, Federico seguitava ad incamerare beni ecclesiastici, esiliava preti e vescovi, e colpiva perfino i monaci dei più isolati monasteri.
Il vegliardo papa (alla bella età di 95 anni) alla brutta notizia delle cattive intenzioni dell'Imperatore, non si scoraggiò minimamente. Scese in molte vie di Roma in solenne processione, impugnando le reliquie della santa Croce e i teschi dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, poi al termine giunto nella basilica vaticana, con un possente discorso, esprimendo tutto il suo sdegno per delitti di Federico contro la Chiesa, riuscì ad infiammare gli animi di tutti i Romani.
Teatralmente, lacrimando, si tolse la tiara dal capo e con mano tremante la depose sui teschi di S. Pietro e S. Paolo, esclamando a singhiozzi: "Difendetela voi, o Santi, la città che i Romani lasciano alla mercé dei nemici !". A queste parole e alla vista del vecchio Papa piangente il popolo si commosse, s'inginocchiò, ricevette la benedizione pontificale. Alla commozione seguì l'esaltazione subito ravvivata dai frati domenicani e francescani che predicarono la guerra santa contro l'eretico imperatore. Gli animi furono talmente infiammati che ecclesiastici e laici vollero ricevere dallo stesso Gregorio la croce, simbolo della guerra contro Federico.
Lo sdegno dell'imperatore fu enorme, solo due anni prima aveva aiutato il papa a riconquistare il potere temporale a Roma, e ora trovava papa e romani contro di lui, e addirittura lo stesso Gregorio protettore dei Comuni della Lega Lombarda.
Federico ordinò che ad ogni romano crocesegnato, che fosse caduto in potere degli imperiali, si stampasse sulla fronte con un ferro rovente il segno della croce
Con qul clima di pericoloso fanatismo, Federico ritenne però opportuno non assediare Roma, proseguì infatti per Napoli e andò ad attaccare per dispetto la papale Benevento. Intanto Gregorio temendo un nuovo attacco su Roma, raccoglieva milizie a Ferentino con gli aiuti provenienti dalla Francia e Inghilterra.
Da Benevento, tornando indietro dalla via adriatica, Federico assediò Ascoli; poi risalendo la penisola trovando Faenza a resistergli, con una parte dell'esercito lasciato sul luogo, la assediò per otto mesi. Tuttavia pur queste strenue resistenze Federico non rinunciava agli attacchi, e, scrivendo al figlio Corrado, si
riprometteva a breve termine di "vincere con la spada il vecchio papa, fino a chiudergli la bocca".
Pur evitando l'assedio di Roma, e pur rinforzate da un certo numero di francesi e inglesi, le milizie papali non erano certamente pronte per scatenare una concreta offensiva contro l'esercito imperiale, anzi non erano quasi neppure capaci di difendersi se attaccati; fu quindi proposta una tregua, che però Federico non accettò, perchè nell'armistizio erano compresi i Lombardi. Se i Romani li voleva annientare, i Lombardi lui li voleva innanzitutto punire. Inoltre cominciò ad informare i principi e le genti di tutto l'impero, che voleva indire un concilio ecumenico per giudicare "quel papa" che era indegno di sedere nella cattedra di San Pietro (un papa che gli stava dando tanto fastidio, nonostante i suoi 95 anni).
Ma anche questa volta, Gregorio per nulla intimorito dall'iniziativa di Federico, nè dal peso degli anni, il 9 agosto 1240, annunciò per la Pasqua dell'anno seguente il "suo" concilio ecumenico, invitando a Roma tutti i veri cristiani d'Europa, principi, vescovi, e prelati fedeli a Cristo.
L'iniziativa di Gregorio spiazzò Federico, che cercò di impedire la futura assise, facendo sistematicamente occupare i passi delle Alpi, i porti e le strade che conducevano a Roma, per arrestarvi tutti quelli che volevano recarsi al concilio. Fermò e assalì le navi francesi e inglesi che portavano a Roma i prelati, ne catturò e imprigionò molti che stavano percorrendo le strade della Lombardia, del Genovese, delle
Puglie. Alcuni arrestati finirono in carcere, altri furono eliminati fisicamente.
A quel punto, Gregorio, travagliato nella coscienza nel vedere tanti crimini, ma anche perchè dopo aver preso Benevento, dopo aver fatto cadere la eroica Faenza, dopo essersi impadronito di Spoleto e Tivoli, giunto nel Lazio, Federico ora puntava su Roma, il pontefice voleva giungere a una tregua, e per le trattative gli mandò il domenicano Bartolomeo da Trento. Federico le condizioni di una tregua le respinse, perchè da lui il papa, pur dandogli l'assoluzione e revocandogli la scomunica, pretendeva una penitenza.
Respinte le proposte del domenicano, Federico si accampò con il suo esercito a Grottaferrata e lì - fra i calori di un torrido agosto - cingendola in assedio - aspettò che Roma cadesse come una pera matura.
Tutto questo -ricordiamo- accadeva mentre i Mongoli di Gengis Khan stavano devastando la Russia, la Polonia e le terre bagnate dal Danubio, mettendo in pericolo non solo la Germania ma anche i paesi balcanici e quindi lo stesso nord-est dell'Italia. Eppure i due rappresentanti della suprema autorità terrestre si stavano combattendo a vicenda; con uno che si definiva anche autorità spirituale, e l'altro che ne aveva fatto una questione personale, mostrando entrambi di avere poco interesse dei sudditi e dei cristiani occidentali, affidati alla loro protezione. Cosicchè al capo dello Stato e al capo della Chiesa, nessuna influenza esercitarono i terribili eventi e gli orrori sparsi ovunque dai mongoli; rimasero entrambi sordi alla gravi
esortazioni di quelle popolazioni che chiedevano aiuto. A cosa serviva allora il Papato e l'Impero?
Fortuna volle che morto Gengis Khan, il figlio decise di rinunciare ad altre conquiste sui territori germanici e slavi, per tornarsene verso le steppe dell'Asia. Cosicchè la guerra tra i due potè continuare indisturbata dalle cattive notizie.
Con Federico accampato a Grottaferrata, non solo a Roma il 9 agosto non si tenne il concilio indetto da Gregorio, ma il 21 dello stesso mese cessò di vivere il fiero e indomabile papa, quasi guardando in faccia al di là delle mura leonine il suo nemico. Un nemico al quale non aveva mai dato tregua, in una lotta accanita, che non fu - per l'avvenire - senza conseguenze.
Quanto a Federico II - anche se lo conosciamo per altri lati colto e intelligente - alla ferale notizia non si comportò da leale nemico (di un 96 enne per giunta), accampato a Grottaferrata annunziò la morte agli altri principi con villana letizia. Lui, pur comandando il possente e formidabile esercito imperiale, nell'apprendere la morte di un vecchio quasi centenario, sentì la gioia di una liberazione. Per 14 anni, fin dall'inizio, quell'indomito vecchio prete con un piede già nella fossa, gli aveva attraversato sempre la strada, impedendogli di realizzare il suo grande disegno: far risorgere il potente Impero Romano
Lui 45enne, nel pieno delle forze, si dimostrò però molto piccolo, avendo interposto ragioni di stato a ragioni di infantile rancore personale. E lo dimostrò pure che il suo sconsiderato comportamento era un rancore, perchè appena gli giunse la notizia che il suo "nemico" era morto - oltre che gioire come detto sopra - per dimostrare al mondo che il suo nemico non era la Chiesa ma soltanto Gregorio, tolse l'assedio a Roma e se ne tornò nel proprio regno.
Eppure Gregorio, quando Federico si apprestò a partire per la Crociata, gli aveva scritto "Iddio vi ha messo in questo mondo come un cherubino armato di una spada fiammeggiante per mostrare a coloro che si smarriscono, la via dell'albero della vita".
L'anziano papa forse non vinse la sua ultima battaglia, ma anche il testardo Federico, per come operò, pur sopravvivendogli dieci anni non è che vinse la guerra eliminando il potere della Chiesa. Forse Gregorio fu machiavellicamente ambiguo, ma ebbe sempre fin dal primo momento la lungimirante capacità del geniale uomo di stato perfino superiore all'imperatore. E se Federico è ricordato come uno dei più grandi e illuminati sovrani, un campione della libertà e dei diritti delle genti, Gregorio è ricordato come uno dei più grandi papi, anche lui campione della libertà e dei diritti della Chiesa. Cioè ognuno fece bene il suo lavoro. Forse è questa la chiave di volta per capire i due soggetti, entrambi avevano la capacità di opporsi da pari a pari, pur con diversi fini.
Gregorio non era nè un imperatore nè un condottiero, anche se dimostrò una natura di dominatore. Ebbe come arma solo
(nè poteva essere diversamente per un papa) una grande e irremovibile fiducia in Dio, e da Dio prese la forza per essere impavido nelle difficoltà e nel pericolo. Pur profondamente sincera e profonda la sua pietà tinta di misticismo, fu irremovibile nei diritti della Chiesa e nel voler difendere l'ortodossia, comportandosi anche senza riguardi fino a raggiungere una estrema durezza. Come testimoniano i tribunali dell'Inquisizione da lui istituiti nel 1232 per la repressione degli eretici e affidati con una bolla del 20 aprile di quell'anno ai Domenicani.
Contro questi eretici Gregorio volle che fossero applicate sanzioni più severe delle leggi canoniche; e organizzando i tribunali, tolse al potere laico la pericolosa iniziativa di difendere l'ortodossia.
Fra le sue altre iniziative; commise a tre maestri della Chiesa la correzione di alcune opere filosofiche di Aristotele perchè fossero favorevoli alla filosofia cristiana.
"Ciononostante pur sfoderando grandi energie di dominatore - scrive Seppelt - Gregorio non fu affatto insensibile ai teneri moti dell'anima".
Continuò il favore agli Ordini religiosi, appoggiò la riforma dei
Cluniacensi, confermò il nuovo ordine dei Mercedari, appoggiò quello di San Francesco, canonizzò lo stesso San Francesco, poi Sant' Antonio di Padova, San Domenico,
Sabt'Elisabetta di Turingia; organizzò le diocesi, si impegnò per la purezza dei costumi, tentò la fine dello scisma orientale, difese la monarchia inglese contro le tendenze disgregatrici dei baroni, e sostenne contro lo stesso Luigi IX re di Francia i privilegi della Chiesa.
Un temperamento insomma oltre che fiero, anche passionale, che fecero di lui una delle maggiori personalità religiose del suo tempo e della Chiesa di tutti i tempi.
Gregorio IX alla sua morte venne sepolto in S. Pietro.
A parte la gioia espressa da Federico, la dipartita dell'avversario fu per lui una fortuna?
Gregorio morendo in quel frangente - con Roma assediata - lasciava un pesante eredità al nuovo papa; questo non incise molto sugli eventi perchè campò poco (17 giorni), ma il successivo diede del filo da torcere a Federico.
Ma iniziamo con il successore di Gregorio...
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