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ONORIO III, Cencio Savelli, romano 
(1216-1227 )

Al grande Innocenzo III, morto il 16 luglio 1216 a Perugia, gli succede il 18 luglio con il nome di ONORIO III, il cardinale CENCIO SAVELLI (già precettore di Federico). Fu consacrato sempre a Perugia il 24 dello stesso mese. Romano, mite d'animo, non dotato dell'energia, della perspicacia e dell'ambizione che erano state proprie del suo predecessore.
Eletto quando la sua età era già molto avanti, riuscì a restare sul soglio per 11 anni, ma non vide la guerra che metteva i fratelli contro i fratelli né la lotta che di lì a poco doveva rinascere tra il Papato e l'Impero; lui morì il 18 marzo del 1227.

Solo a settembre si insediò in Laterano accolto con giubilo dai romani perchè era pur sempre un loro concittadino, e come cardinale era venerato da tutti per la sua bontà e mitezza.

Dei suoi natali e della sua famiglia si sa molto poco, che il padre si chiamava Amalarico, e che forse, la sua famiglia, pur con un nome di antica stirpe latina, era di origine tedesca e forse per questo motivo che fu incaricato da Innocenzo III a fare il precettore di Federico.
Savelli era già canonico di Santa Maria Maggiore, ed era stato amministratore di Santa Romana Chiesa, sotto Clemente III e Celestino III. Proprio sotto quest'ultimo aveva compilato un importantissimo documento, "Il libro dei censi", che conteneva tutte le rendite della Chiesa, e le entrate che la stessa riceveva da tutte le province. E accanto a questo documento l'elenco di tutte le donazioni che la Chiesa riceveva, compresi i privilegi, molto simili a quelli di una Signoria, anche se molto speciale (che in seguito destarono molte critiche).
Anche Onorio, nonostante l'età e di animo buono, mise molto zelo per la causa della Chiesa, e quando Federico venne fuori allo scoperto, il precettore cominciò a dolersi della condotta del suo allievo, non solo perchè non seguiva i desideri di Innocenzo, ma faceva il sordo quando veniva invitato a prepararsi per la crociata che Innocenzo prima di morire aveva bandita per il 1° giugno del 1217.

Fino alla morte di Innocenzo, Federico ( cioè fino 20 anni) era stato un docile strumento nelle mani del grande Pontefice, tanto docile che lo aveva opposto a Ottone IV; ma, scomparso dalla scena del mondo Innocenzo, Federico mutò atteggiamento e iniziò l'attuazione del suo programma politico che, per la potenza del defunto Papa e per la gratitudine che a lui lo legava, aveva sempre tenuto nascosto.
Morto il suo protettore, Federico inizia timidamente a fare i primi passi e a rivelare gli intenti e i modi di una sua politica autonoma, per poi colpire tutta la politica separatista di Innocenzo.
Prima di morire Innocenzo come abbiamo visto nella sua biografia, aveva infranto il pericolo dell'unità italo-tedesca. Aveva sì trionfato, favorito anche dalle lotte in Germania di Filippo e Ottone, che appoggiò alternativamente; ma poi deluso da entrambi, si decise infine a incoronare il suo protetto - credendolo plasmato- in compenso della ostentata devozione alla Chiesa. Ma morto lui iniziamo a conoscere non più il Federico "ragazzo", ma il vero Federico "uomo", che per quanto la sua formazione (14 anni in mezzo soto l'ala protettiva del papato) fosse stata plasmata, rivelò immediatamente una spiccata personalità.

Su Federico vi rimandiamo alle pagine del periodo 1216-1227.

Onorio - come detto sopra - si aspettava e aveva esortato Federico a partecipare alla Crociata, ma lo Svevo finchè era in vita Ottone IV non voleva abbandonare la Germania; ma anche dopo la morte del suo rivale, avvenuta nel maggio del 1218, cercò di rimandare la partenza, forse perchè non credeva più a queste cose. Ma non solo questo, infatti, cominciò con il venir meno all'impegno di tener divisa la corona di Sicilia da quella di Germania. Suo intento era di riunire i due regni e di assicurare alla sua famiglia la successione ereditaria nell'impero. Per meglio raggiungere questo scopo, guadagnò a sé i principi ecclesiastici tedeschi, concedendo loro nuove franchigie.
Non mancò il Pontefice di protestare; ma Federico lo acquietò attestando devozione alla Chiesa, scrivendo al Papa: "Cessino le vostre preoccupazioni sulla riunione della Sicilia all'impero, perché, anche se la Chiesa non avesse alcun diritto a quel reame, noi stessi glielo daremmo se dovessimo morire senza eredi legittimi".
Né questa fu la sola assicurazione data dal sovrano tedesco al Pontefice.
Prima di partire dalla Germania, nella Dieta di Francoforte del 1220, e all'insaputa del papa, aveva fatto eleggere dai principi tedeschi il piccolo figlio Enrico re dei Romani. Poi si giustificò che era stata una decisione della Dieta, che preoccupata della sua assenza per la crociata, e i pericoli connessi, temeva di restare con un impero senza sovrano.

Affidata la reggenza della Germania, in nome del minorenne Enrico VII, all'arcivescovo ENGERLBERTO di Colonia e tornato in Italia, Federico, molto accortamente, appena entrato in Italia, da Verona scriveva a Onorio III:
"Veniamo ai piedi della Vostra Santità, fidando nel vostro paterno affetto,
e sperando che sarà da Voi raccolto il frutto dell'albero piantato, nutrito e coltivato dalla Chiesa".
In sostanza riassicurava il papa sulla separazione della Sicilia dall'Impero e gli annunciava la sua visita a Roma.

Onorio fu doppiamente contento della sua discesa in Italia, e soprattutto a Roma. Qui - fin dalla morte di Innocenzo - il partito democratico stava tentando di riconquistare la libertà comunale abbattuta da Innocenzo III. Non c'era più la sua mano robusta, e l'anno prima della lettera di Federico (1219) il clima era diventato così preoccupante che per tre volte Onorio fu costretto a lasciare Roma, rifugiandosi una volta a Rieti, e due volte a Viterbo. Quando nell'ultima fuga da Viterbo rispose alla lettera di Verona, lo informò della critica situazione, si dichiarò contento delle sue buone disposizioni e gli promise la corona imperiale.
L'abile Federico, intervenne tramite l'abate di Fulda, inviando una lettera ai Romani, che pubblicamente l'abate diede lettura in Campidoglio. Ammoniva i Romani di ubbidire al papa e annunciava la sua venuta a Roma.
Anche i Romani - con il senatore Parenzo - risposero, promettendogli di incoronarlo a Roma, ma nel medesimo tempo protestavano sulle perdute libertà. Altro non potevano fare, il Comune non aveva la forza di opporsi al poderoso esercito di Federico. In questa speranzosa attesa, con una città ritornata tranquilla, papa Onorio fece ritorno a Roma.

Nel frattempo Federico - o per farsi vedere zelante dal papa, o perchè mirava a non avere nemici in Italia, nel settembre del 1220 giungeva in Lombardia. Nelle tante città che toccò, anche se non fu accolto con giubilo, non ebbe però alcune dimostrazione di ostilità. Vi cassò qualche legge, con attenzione ascoltò di ognuna i vari problemi, poi scese in Toscana, convincendo anche qui i nobili a prestare al papa il giuramento di vassallaggio per i beni matildini.
A novembre accompagnato dalla moglie Costanza, con un grande esercito e molti principi dell'Impero, raggiunse Roma; si accampò a Monte Mario, e fece recapitare al papa tramite i legali pontifici che gli erano andati incontro, una dichiarazione scritta in cui escludeva l'unione della Sicilia all'Impero e confermava diritti e privilegi della Chiesa su altri territori, fra i quali Ancona, Spoleto, Ceprano, Radiocofani. Poi si mise d'accordo con i legati per la cerimonia della sua incoronazione a San Pietro.
Ricevute queste dichiarazioni-assicurazioni, Onorio pochi giorni dopo lo fece entrare in Roma e il 22 novembre in San Pietro incoronò imperatore Federico e sua moglie Costanza. La cerimonia si svolse in mezzo a una quiete perfetta, con giubilo di popolo e non ci fu - come era sempre avvenuto di solito all'incoronazione di un tedesco - alcun incidente, e neppure alcuna insofferenza.
Il furbo Federico ottenuto dall'ingenuo papa l'investitura, tre giorni dopo con vari pretestuosi motivi riuscì ad ottenere da lui un altro rinvio per la Crociata; Onorio la concesse anche se amareggiato, ma era nulla il suo rammarico in confronto a ciò che gli comunicò subito dopo. Ed era l'intenzione di Federico di recarsi in Sicilia. Con nelle vene il sangue materno, lo Svevo-Normanno, fremeva dal desiderio di vedere il regno che tutti riconoscevano essere il più interessante, bello e colto d'Europa.

Onorio a quella notizia ci rimase male, ma l'abile Svevo per raddolcire il suo animo, nel corso del suo viaggio nel sud, convocò a Capua i baroni, comunicò che aveva intenzione di ordinare con nuove leggi il reame che era tutto in disordine. E in effetti lo era, da anni c'era l'anarchia. Ogni cosa era caduta in balia dei baroni, che avevano innalzato non autorizzate fortezze, si erano impadroniti delle terre demaniali e varie prerogative regie, trattavano tirannicamente le popolazioni ed erano per tutte queste cose la causa di frequenti gravi disordini.
Anche per Roma Federico fece pubblicare le "costituzioni augustali" in cui decretava che fosse messo a bando dell'impero chi invadesse i possessi della Chiesa. A queste costituzioni fece seguito un editto con il quale si incaricavano gli ufficiali imperiali di aiutare quelli pontifici a rimettere la Chiesa nel possesso di quei beni. Decretò inoltre nulli gli atti di chi si trovasse colpito dalla scomunica, e che non dovessero gli ecclesiastici essere giudicati dai tribunali laici.

"Era questa -scrive il Bertolini- la prima volta che lo Stato metteva a disposizione della Chiesa le sue forze, perché potesse usarle contro i propri nemici; e fu dovuto a questo se le eresie non riuscirono allora a far breccia; e se ancora per tre secoli si riuscì a mantenere in Occidente l'unità religiosa".
Poi sempre da Capua, comunicò al papa la riconferma dello Stato Ecclesiastico, il possesso delle terre matildine e altri diritti e concessioni vantati dalla Chiesa (promesse in realtà mai integralmente mantenute).

Nel febbraio 1221, Onorio, sembrò quasi soddisfatto del comportamento del neo-imperatore, ma pochi mesi dopo fu nuovamente rattristato quando nel giugno dello stesso anno, Federico creò Goffredo di Biandrate a conte della Romagna. Qualcosa di simile avvenne anche a Spoleto, dove furono cacciati i rappresentanti del papa e insediati rappresentanti imperiali.
E fu ulteriormente rattristato quando i Romani tornarono ad essere in guerra con Viterbo, e dato che Onorio si era schierato con i viterbesi a Roma scoppiò una rivolta. E un principio di rivolta ci fu anche a Perugia; qui i cittadini tentarono di dar vita a un Comune democratico.

Nel frattempo Federico sempre da Capua, deciso a mettere ordine nel Reame istituì una corte suprema e stabilì che nessun barone e nessuna comunità era consentito conservare possessi e privilegi di cui non fosse in grado di presentare i titoli legittimi, che dovevano essere abbattuti i castelli abusivi innalzati in quegli anni e che l'esercizio della giustizia criminale fosse rimesso nelle mani del sovrano.
Queste disposizioni colpivano un gran numero di nobili della Puglia, della Calabria e della Sicilia, i quali per difendere tutte le loro illegali ruberie, iniziarono a mettersi in aperta lotta con Federico. Ma il "brigantaggio nobilesco", anche se per i successivi anni riuscì a distogliere Federico da altre imprese, fu infine sopraffatto dalle forze che lo Svevo disponeva. Molti dovettero riconsegnare le terre, e così vari feudi furono riuniti al preesistente dominio reale normanno.
E neppure gli ecclesiastici, ai quali tanta strapotere e arroganza erano venuti dal precedente sostegno di Innocenzo III, furono risparmiati da quei primi provvedimenti. I vescovi, che (appoggiandole) avevano fomentato le rivolte di quella nobiltà detta sopra, furono anche loro cacciati dalle loro sedi.
Nè risparmiò i Saraceni siciliani che nell'anarchia, pure loro si erano resi padroni di tutta la Val di Mazzara. Ma alla fine anche di questi ribelli Federico ebbe ragione e l'emiro Ben-Abid, caduto prigioniero, fu appeso alle forche con i suoi due figli. Poi trasferì e trapiantò settantamila Saraceni dalla Sicilia nella terraferma, assegnando loro la città e il territorio di Lucera. Costoro tuttavia ebbero libertà di culto, rimasero sotto i loro capi, costruirono fortezze, ebbero molti privilegi e formarono una potente colonia militare, che rimase fino in ultimo, devota e fedele alla dinastia Sveva, cui fornì numerosi ed agguerriti contingenti nell'esercito.

Federico insomma si accingeva non solo a recuperare tutte le antiche prerogative della corona siciliana, ma ad istituire in quelle province un nuovo ordine di cose. Ma tutte queste operazioni per restaurare la sua sovranità nel regno siciliano impedirono a Federico di mantenere la promessa che aveva fatto prima a Innocenzo e poi allo stesso Onorio, di partire, cioè, per la Terrasanta, non più tardi dell'estate del 1221 e di riunirsi alla sua avanguardia, la quale, già partita nel 1217, aveva liberato dagl'infedeli Damietta. Questa città però, l'8 settembre del 1221, ricadde nelle mani dei Musulmani, e il Pontefice, allora, tornò con accorate lettere ad insistere perché Federico sollecitasse la sua partenza. Vane furono le sollecitazioni del Pontefice; all'imperatore non mancarono scuse e, nell'aprile del 1222, incontratosi a Neroli con il sovrano, il Papa riuscì soltanto a farsi promettere da Federico di convocare un congresso per discutervi della situazione della Terrasanta e prendere gli ultimi accordi per la crociata".
"Il congresso ebbe luogo nel marzo del 1223, a Ferentino e fu fissata all'estate del 1225 come ultimo termine per la spedizione. A Ferentino fu pure deciso il matrimonio dell'imperatore - che era rimasto vedovo di Costanza - con JOLANDA, figlia di GIOVANNI di BRIENNE, re di Gerusalemme; queste nozze, che furono poi celebrate a Brindisi nel novembre del 1225, fecero credere al Pontefice che questa volta la spedizione non si sarebbe più differita, avendo Federico tutto l'interesse di muoversi per mettere la mano sopra un regno sul quale con il matrimonio aveva acquistato dei diritti ereditari". Forse pensava che il regno Latino di Oriente l'avrebbe distolto da quello di Sicilia.
"Ma le speranze di Onorio III andarono deluse: erano in grande attività, è vero, i preparativi e un centinaio di galere erano nei porti meridionali pronte a prendere il mare e si lavorava ad allestire navi da trasporto per la spedizione; ma giunto il termine stabilito, Federico non si mosse. Motivi, importantissimi per lui, scaturiti dalla sua politica, lo trattenevano in Italia. O meglio in Sicilia di cui era rimasto ormai affascinato.
Ma un altro punto del suo programma era costituito dall'unificazione della penisola e non poteva di certo attuarla questa politica lasciando in piedi le libertà comunali e rispettando il trattato di Costanza. E per fa questo doveva anche fare una puntata nell'Italia settentrionale.
il 25 luglio del 1225, tuttavia recatosi a San Germano, s'impegnò con giuramento di partire per l'Oriente non più tardi del 15 agosto del 1227 e accettò di versare, come pegno, centomila once d'oro e di tener pronte cinquanta navi da trasporto e cento galere.
Se non avesse mantenuto la promessa sarebbe stato scomunicato.
Vincolato dal giuramento, l'imperatore cercò di trarre partito dalla ritardata spedizione per ridurre all'obbedienza i comuni lombardi e con il pretesto di passare in rassegna le forze dei crociati e discutere sui provvedimenti da prendersi per assicurare la pace dell'impero convocò per la Pasqua del 1226 a Cremona, città a lui devota, una dieta alla quale invitò l'aristocrazia feudale, i vescovi, i magistrati delle città e il figlio Enrico VII. Alcuni comuni però non si lasciarono ingannare e, compresi i veri propositi imperiali, stabilirono di difendere contro il nipote del Barbarossa le loro libertà". Fu insomma guerra tra le città filo-tedesche e città che volevano conservare le proprie indipendenze comunali!! Guerra di Guelfi e Ghibellini.

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