Morto Celestino III, l'8 gennaio 1198, l'elezione del successore avvenne in un vecchio casolare, nel Septizonio sul Palatino, trasformato in una fortezza. Il rudere era di proprietà dei Frangipane; il collegio dei cardinali vi tennero un conclave, che alcuni storici considerano il primo della storia; per la prima volta sono distribuite delle schede per esprimere i voti del prescelto. Schede che vengono poi bruciate dopo la conta onde non lasciar traccia al pontefice che viene eletto dei nomi di chi non lo ha votato.
Come abbiamo già detto in fondo alla biografia di Celestino, per la nuova candidatura la scelta si presentava quanto mai difficile. L'autorità spirituale e temporale del papa era in decadenza, a causa dei soprusi imperiali e delle ribellioni romane. Occorreva per il delicato momento un giovane papa vigoroso, preparato alla lotta, dunque più che una elezione liturgica, occorreva nella scelta un atto laico, politico.
La scelta con voto unanime cadde sull'uomo che occorreva in quel momento: sul cardinale Lotario, figlio di Trasamondo conte di Segni e della romana Claricia Scotti. Nato ad Anagni nel 1160, quindi aveva 37 anni. Come i nobili romani destinati alla vita ecclesistica, giovanissimo aveva studiato
teologia a Parigi, dove ebbe maestro Pietro di Corbeil. A Bologna frequentò la scuola di diritto e tornato a Roma verso il 1185, venne creato suddiacono nel 1187, e nel 1190 cardinale diacono da Clemente III, che era suo zio per parte di madre. Tuttavia, se doveva la rapidità della sua carriera allo zio, il giovane possedeva di suo ingegno, cultura e prudenza. Prova ne sia che essendoci state delle rivalità degli Orsini (alle quali apparteneva il precedente Celestino III) nei confronti dei Conti, avendolo il papa messo in disparte, senza polemizzare, si era ritirato nelle sue terre e nella solitudine aveva cercato conforto vergando le pagine di quel famoso libro, intitolato "De contemptu mundi", in cui il futuro Pontefice si scagliava atrocemente contro le vanità del mondo.
L' elezione fu suggerita certamente dalla fama che già circondava il giovane cardinale. Ma si trattò di un vero e proprio colpo di mano, al quale il popolo non volle o non seppe reagire. Questo più che alla democratica conquista, pensò alle ricche elargizioni di denaro che certamente sarebbero seguite nell'eleggere il rampollo della potente famiglia dei Conti che proprio in questi ultimi anni andava affermando la propria potenza nella Campagna e nella Marittima.
Tuttavia, fu una buona scelta, che andò oltre ogni previsione; il risultato finale fu quello che la vita religiosa dell'Europa occidentale fu organizzata e diretta come mai prima;
di nuovo "tutte le strade conducevano a Roma"; e mai come prima fu vera quella frase che ogni fedele recitava "Adbveniat regnum tuum"; Stato e Chiesa sotto la teocrazia di Innocenzo militò per quasi vent'anni.
Il colpo di mano fu completato, quando il papa prima ancora della sua incoronazione, iniziò a rivendicare il Senato come privilegio pontificio. E gli fu anche facile esautorarlo, perchè se l'anno prima (1197) erano stati nominati 56 senatori, al momento della sua elezione ne era in carica solo uno, che fu subito rimosso e il sostituto si apprestò a fare giuramento di fedeltà al papa che "avrebbe tenuto il segreto sugli affari più delicati, ed aiutato il papa alla riconquista dei beni perduti".
Poi venne il turno dei giudici, fino allora eletti dal Campidoglio, furono sostituiti con uomini pontifici, assolvendo un lavoro di impiegati. E così il Prefetto, che Innocenzo costrinse a sottomettersi e prestargli giuramento di vassallaggio, diventando anch'egli una specie di impiegato del papa.
In sostanza, prima ancora della sua incoronazione, il nuovo papa - con una concezione altissima della sua divina supremazia - riuscì ad avere in mano l'amministrazione civile della città, creando una effettiva riorganizzazione del potere. Nel farlo, Innocenzo III dimostrò di non essere solo un teorico. Aveva il senso della realtà e le doti pratiche dell'uomo politico. Sapeva dominare gli eventi più difficili, cogliere con tatto di fine diplomatico, le occasioni per vincere.
Del resto salendo sul soglio scelse un'omelia sul passo di Geremia, 1,10 " Vedi, io ti costituisco oggi sui popoli e sui regni, per sradicare e distruggere, per rovinare e abbattere, per edificare e piantare".
Gregorio VII quando aveva assunto il suo ruolo fra lacrime e conflitti spirituali disse che aveva sentito "amara angoscia e grande ansietà", Innocenzo parlò invece subito che il papato era "la più gloriosa posizione sulla terra", e che il "rappresentante di Cristo e la Santa Sede è "posta a metà tra Dio e l'uomo, al di sotto di Dio, ma al di sopra dell'uomo"
Il 22 febbraio del 1198, Innocenzo III fu consacrato in S. Pietro; indi fece la sua entrata solenne nel Laterano, accompagnato dal prefetto e dal senatore (entrambi da lui eletti), dalla nobiltà, dai baroni della provincia, dai consoli e dai rettori della città che vennero a fargli omaggio.
Poi venne il seguito. Innocenzo III pensò di imporsi alla repubblica con abile politica, conciliativa ma ferma. Favorì in modo speciale la borghesia dei mercanti, legata da molti interessi alla S. Sede, e anche qui si servì molto della potenza della sua famiglia, specialmente del fratello Riccardo; questi dopo vari accordi con il popolo era riuscito a farsi arbitro della nomina dell'unico senatore. Abbattè così quella sovranità del Comune romano, ch'erano iniziate nelle burrascose giornate di Arnaldo da Brescia.
Abbiamo già visto, nella repubblica democratica che i nobili con la scusa di voler dare un senso aristocratico alle cariche, si erano si erano inseriti nel Comune; ora con questo cambiamento di rotta impresso e voluto da Innocenzo, grazie proprio a questi nobili si riuscì a creare una sorta di potere oligarchico che precedette poi quello teocratico. Ma per i già accennati antichi contrasti dei Conti con gli Orsini, a quest'ultimi toccò questa volta loro ad essere messi da parte dalle cariche pubbliche. E ovviamente furono gli Orsini e altri nobili a far nascere sollevazioni popolari, fino al punto che Innocenzo III a fine maggio 1203 fu costretto ad abbandonare Roma. Giovanni Capocci che guidava la plebe (con l'appoggio dei nobili ribelli filo-orsiniani, rispolverò gli ideali repubblicani, e il diritto popolare di eleggere il Senato. Ma il denaro dei Conti gli fecero rinunciare a qualsiasi rivendicazione. Nel 1205 ci fu poi la pace, ma il potere esecutivo rimase ben saldo nelle mani dell'unico senatore-podestà e del prefetto, nominati direttamente dal papa.
Tutta questo impegno su Roma, per riorganizzare il potere pontificio, faceva parte di un progetto molto più ampio che tendeva a dare prima di tutto una base sicura al papato, per poi avviare all'esterno la "politica dei recuperi" dei territori sottrattigli.
A favorire il progetto fu l'improvviso crollo della sovranità germanica in Italia dopo la morte di Enrico VI. Innocenzo ne approfittò sfruttando l'innata avversione degli italiani verso i tedeschi. E senza tanta fatica tornò a far germogliare lo spirito nazionalistico nelle contrade italiane. Ben presto fecero omaggio alla sovranità papale gli abitanti del ducato di Spoleto e della marca di Ancona; qualche difficoltà si ebbe in Romagna, dove il vescovo di Ravenna pretendeva una sua autonomia dalla Chiesa; e anche in Toscana il papa non riuscì ad ottenere il possesso dei beni di Matilde di Canossa.
Ciononostante con i territori riconquistati e la riorganizzazione della sovranità pontificia, Innocenzo iniziò a sentirsi forte e prendeva corpo la formula precisa dell'ideale teocratico, secondo la quale al papato spettava il dominio assoluto su tutti i poteri della terra. "L'anima è superiore al corpo e lo
spirito deve dominare sulla materia"; si afferma che all'amministrazione delle cose spirituali deve essere subordinata l'amministrazione delle cose terrene, per cui il papato deve essere considerato superiore all'impero e l'imperatore potrà ricevere il potere solo dal papa, "...come la luna riceve la luce dal sole".
E' con questo spirito che Innocenzo II si accinse ad affrontare prima la questione della Sicilia per affermare la signoria feudale della S. Sede; poi la questione della successione all'impero, visto che anche in Germania la maggior parte dei principi, senza curarsi della successione ereditaria assicurata da Costanza al piccolo Federico, elessero Filippo duca di Svevia, fratello del defunto imperatore, mentre un'altra minoranza di principi si schierò con il duca Ottone IV di Brunswick, figlio di Enrico il Leone. Questi fu incoronato nel luogo adatto, ad Aquisgrana dall'arcivescovo di Colonia a ciò deputato. Ottone notificò al papa la sua elezione, supplicandolo della corona imperiale, e gli dichiarò inoltre che rinunciava ai diritti germanici in Italia.
Vi erano insomma in Germania due imperatori, che stavano provocando una guerra civile; ma nessuno era tanto forte da impensierire il papa. Vedremo subito il perchè.
Facciamo un passo indietro. Quando morì Enrico VI (20 settembre 1197) Federico II non aveva che tre anni. Costanza d'Altavilla, sua madre morì l'anno dopo, il 27 novembre 1198. Ma pochi mesi prima - a maggio - nella cattedrale di Palermo era riuscita a far incoronare il figlioletto. Prima di morire (sei mesi dopo) lasciò stabilito per testamento che Innocenzo III avrebbe assumere la tutela del figlio e la reggenza del regno di Sicilia durante tutto il periodo di minorità di Federico II.
Così facendo, Costanza diede al papa - che l'accettò con soddisfazione - in mano un'arma potente; data per scontata la reggenza sul regno di Sicilia, Innocenzo III diventava anche l'arbitro della situazione in Germania in quel quasi vuoto di potere che si era creato. Ma non più di tanto, perchè Innocenzo III - anche per la Germania - aveva in mano il legittimo erede di Enrico VI, cioè il suo pupillo Federico.
"Ora - scrive il Bertolini - si apre un nuovo periodo triste sulla misera Italia meridionale: da tutte le parti si levano pretendenti; mentre il Papa approfitta della tutela del re fanciullo per ristabilirvi la signoria feudale della Chiesa" educa e forma Federico come un devoto vassallo della Chiesa, e altra scelta il "bambinello" non poteva di certo fare, attorniato com'era da accorti ecclesiastici da mattina a sera".
In Germania, Innocenzo non intervenne subito, la guerra civile giocava a suo vantaggio. Quando il papa iniziò a esaminare la situazione a favore o contro i tre candidati, i diritti di questi furono valutati secondo l'opportunità e la convenienza della Chiesa, poi emise la sentenza evidenziando in termini inequivocabili i principi basilari sul governo della società cristiana.
Nella contesa riconobbe imperatore Ottone IV, e dato che il Brunswick rinunciava ai diritti germanici in Italia, questo significava per il papa due cose, primo: il recupero di tutte le terre comprese quelle di Matilde; secondo: allontanava la tanto temuta unione dell'Impero con la Sicilia.
Inoltre Innocenzo III riconosceva Ottone IV perchè aveva il favore del re d'Inghilterra suo zio, del conte di Fiandra e dei Milanesi, e perchè Ottone gli prometteva di difendere la Chiesa.
Protestarono però i principi tedeschi che avevano eletto Filippo; e ad affiancarsi a loro furono anche alcuni vescovi; lo stesso arcivescovo di Colonia si schierò con Filippo e rinnovando ad Aquisgrana la cerimonia dell'incoronazione già fatta da lui ad Ottone, gli pose sul capo la corona imperiale con tutti i crismi formalmente riconosciuti dal papa. Mettendo in forte imbarazzo Innocenzo III; che però visto come si mettevano le cose, con Filippo che guadagnava terreno, mentre Ottone era in una situazione precaria perchè isolato, mutò immediatamente politica e cercò di avvicinarsi al primo. Ma nel bel mezzo delle trattative, Filippo veniva assassinato a Bamberga nel giugno del 1208.
Probabilmente questa morte non dispiaque a Innocenzo III. Tornò così a Ottone, che gli rinnovò le sue promesse; poi per l'incoronazione imperiale nell'agosto del 1209 scese in Italia, s'incontrò con il Papa a Viterbo a ratificare i patti, e il successivo 4 ottobre veniva solennemente incoronato in San Pietro.
A quel punto - pur con tanti dietro-front, la politica di Innocenzo III sembrò trionfare.
Invece Ottone tradì le aspettative del papa. Appena ricevuta la corona imperiale mutò condotta. Forse sentì tutta la difficoltà della posizione che si era lui stesso creato con gli impegni da lui precedentemente contratti: da un lato, egli - per tenerseli buoni- aveva promesso ai principi tedeschi che avrebbe serbata inviolata la maestà dell'impero e rivendicati tutti i diritti perduti: e dall'altro, aveva fatto al Papa delle promesse, le quali erano in aperta contraddizione con quelle fatte ai principi.
Infatti, pochi mesi prima di scendere in Italia a Roma, a Spira, aveva fatto un patto con i principi tedeschi con la rinuncia alle prerogative imperiali riconosciute dal concordato di Worms e rivendicava i diritti su tutti i territori del papato, inclusi i beni matildini e la Sicilia. Messo alle corde, Ottone, dovendo scegliere fra le due promesse, seguì quella che il suo interesse gli consigliava, e si mise in opposizione con il Papa.
L'anno dopo occupava alcune zone dell'Italia meridionale, inviava truppe in Sicilia, e recuperando i feudi che il papa si era già ripreso, usurpandoli alla Chiesa li diede in mano a funzionari tedeschi. Inoltre osò pretendere il regno del giovane Federico mettendosi in marcia verso la Puglia.
Davanti alle armi e al nutrito esercito dell'imperatore, Innocenzo III non poteva certo difendersi; ed allora usò la sua arma: nel Giovedì Santo del 1211 lo scomunicò, e liberava i principi tedeschi all'obbedienza ad Ottone per il suo reiterato spergiuro.
L'unica carta che gli rimaneva ora, era Federico II che nel frattempo aveva compiuto 16 anni. In Germania Ottone - come abbiamo già visto sopra - non aveva grandi appoggi, quindi fu facile a Innocenzo III convincere i principi tedeschi ad appoggiare il ragazzo. In una dieta di principi tedeschi a Norimberga, Ottone fu deposto dagli arcivescovi di Magonza, Treviri, Nagdeburgo, dal margravio di Turingia, dal re di Boemia e da altri signori.
A Ottone fu contrapposto Federico II con ovviamente tutto l'assenso del papa. Il ragazzo che - con Ottone in Puglia- stava già abbandonando la Sicilia e il suo regno per fuggire in Africa, ritornò sui suoi passi e con un fortunoso viaggio raggiunse la Germania per farsi riconoscere re dai principi a Francoforte nel dicembre 1212 e a Eger nel luglio del 1213 firmando la Bolla d'Oro, nella quale rinnovava le promesse fatte in precedenza da Ottone: la separazione della Sicilia dall'Impero e i famosi "recuperi territoriali" dello Stato della Chiesa; il giuramento di fedeltà.
Ottone tentò un rientro in Germania, anche perchè Federico II era ancora un ragazzo, ma vi trovò poco seguito. Inoltre morendogli la moglie Beatrice di Svevia, perse ogni titolo giuridico per intromettersi nel regno di Sicilia. Nel frattempo contro di lui si era
armato Filippo Augusto di Francia che in Ottone vedeva il pericoloso alleato dell'Inghilterra. A Bouvines, nel 1214 Ottone fu sconfitto, e la sciagura sanzionò la sua decadenza. Andò a ritirarsi nei suoi paesi ereditari e lì quasi sconosciuto morì pochi anni dopo.
Federico, il 25 luglio del 1215, fu incoronato re di Germania dall'arcivescovo di Magonza.
Innocenzo III in questa disputa tedesca si dimostrò abilissimo. Per il successivo autunno (11 novembre) convocò in Laterano il duodecimo concilio ecumenico, il quarto lateranense. Vi comparvero inviati di Federico II, inviati dell'imperatore di Costantinopoli, dei re di Francia, d'Inghilterra, di Aragona, di Ungheria, di Cipro, di Gerusalemme; presenti 412 vescovi, 800 abati e un gran numero di rappresentanti di prelati di molti stati. Nel corso della nutrita assise fu ratificata la elezione di Federico II al trono di Germania, e come già aveva affermato due anni prima (dopo le due Crociate fallite, quella del 1199 e 1207 (vedi) ribadì il suo desiderio di voler celebrare - prima della sua morte - una Pasqua con Gerusalemme liberata. La Crociata fu bandita per il 1° giugno del 1217. Doveva essere condotta sotto la direzione personale della Chiesa per evitare quelle politiche deviatrici come erano state quelle precedenti, con una Venezia che l'aveva condotta non con uno spirito religioso ma puramente commerciale. Partì per il nord per i preparativi cercando di comporre le controversie esistenti tra le due città marinare Pisa e Genova necessarie alla nuova impresa in Terrasanta. Ma la morte colse Innocenzo III il 16 luglio del 1216, quando non aveva ancora compiuti i 56 anni.
Durante il pontificato di Innocenzo, oltre che svolgersi la tanto discussa 4a Crociata (che accenniamo nei singoli anni) ce ne furono altre due molto singolari:
*** LA CROCIATA DEI FANCIULLI - Fanciulli di 10-12 anni!, piccolo rampolli di famiglie nobili, eccitati dalla esaltazione e dal fanatismo della fede, furono mandati allo sbaraglio in oriente a combattere gli infedeli. Guidata dal monaco Stefano de Cloies, il frate imbarcò a Marsiglia 30.000 giovani su sette navi. Due colarono a picco già alla partenza, le altre raggiunsero la Tunisia poi Alessandria. Qui i proprietari delle navi per rifarsi dei danni subiti dal fortunale, vendettero i "bambini" scampati come schiavi ai turchi Federico II quando vi sbarcò sedici anni dopo nel 1228, incontrò 700 sopravvissuti, che erano ormai trentenni e che facevano ancora gli schiavi.
*** LA CROCIATA DEI PASTORELLI - Come i precedenti anche questi non furono fortunati. Li guidava un "profeta" lui stesso "bambino", il tedesco Nicholaus di 12 anni, che assicurava ai suoi fanatici coetanei che "avrebbe camminato sul mare". Raccolse 8000 adolescenti creduloni. Recatisi a piedi a Roma, il papa non concesse la benedizione, e li rimandò a casa. Nel riattraversare le alpi in pieno inverno morirono quasi tutti congelati in una bufera di neve.
Da ricordare anche un'altra "crociata dei pastorelli" dell'anno 1251, sotto la guida di un altro fanatico pseudo-monaco di nome Giacobbe; un vecchio pastore che stregava i giovani con un piffero da pecoraio (da questo episodio nacque probabilmente la famosa leggenda del pifferaio di Hamelin). Formò un esercito di ragazzini francesi. Nell'attraversare città e paesi quelli devastavano le proprietà dei ricchi, massacravano ebrei, razziavano ogni cosa. Avanzando, nell'avvicinarsi alle città, gli abitanti li attesero al varco e furono uccisi tutti.
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Indubbiamente dopo il quarto concilio lateranense, la potenza pontificia con Innocenzo III era parsa ritornare all'autorevolezza di Gregorio VII. Ed infatti la sua autorità si estese a molte nazioni, dov'era invocato come arbitro di ataviche contese. Fu investito anche dalle controversie teologiche, e quando in Inghilterra scoppiò la persecuzione reale contro il clero fedele a Roma (Innocenzo si era imposto nella questione dell'elezione dell'arcivescovo di Canterbury), il Papa fulminò d'interdetto il regno, scomunicò il re (Giovanni Senzaterra), sciolse i sudditi dal giuramento di fedeltà, minacciò di deporre lo stesso Giovanni e di mettere a capo del regno un altro sovrano.
Con il re di Francia ( Filippo Augusto) Innocenzo III in precedenza era entrato in un duro conflitto (per motivi coniugali), ma poi riconciliatosi, il francese volle approfittare della caduta in disgrazia di Giovanni per invadere l'Inghilterra a nome del papa. Il Re inglese però, nel frattempo, si era piegato al papa riconoscendo il suo regno feudo della Chiesa. Una pace che dispiacque a Filippo che non riuscì a portare il suo esercito sull'isola.
Anche nei popoli slavi Innocenzo III intervenne in quelle due tendenza che lo scisma orientale aveva creato. Difendendo i diritti della Chiesa con la sua saggia e vigorosa politica (ma anche approfittando delle circostanze) riuscì a far ritornare a Roma, la Bulgaria, la Serbia e la Galizia.
Ed altrettanto si mosse contro i re di Norvegia, Svezia, Polonia, ed Ungheria.
Riuscì insomma ad innalzare la potenza del papato in un modo mai visto prima. Con la sua autorità spirituale riuscì ad affermare un suo programma politico, ponendosi al vertice di una gerarchia di Stati vassalli, in dipendenza diretta o indiretta dalla Chiesa. Grazie all'opera di questo papa Roma era tornata ad essere, dopo parecchi secoli, il centro della politica mondiale e il Papato aveva raggiunto il suo apogeo. Pieno il trionfo della nuova teocrazia innocenziana.
Un altro cruccio per Innocenzo furono le sette ereticali, che approfittando della lotta dei papi con gli imperatori, si erano infiltrati nelle famiglie, minacciando (secondo la Chiesa di Roma) non solo la vita religiosa, ma anche l'ordinamento civile. Questi gruppi (impropriamente dette sette) ebbero vari nomi, i più noti chiamati Catari; e quelli che si diffusero dalla città di Albi in Linguadoca chiamati Albigesi e dentro questi erano compresi i Valdesi. Innocenzo affermava che questi "eretici" erano più malvagi e pericolosi degli stessi Saraceni. Usò quindi tutta la sua energia per colpirli, e nel marzo del 1208, sollecitato dai sovrani e dai
baroni francesi, fece predicare la Crociata contro gli eretici in tutta la Francia.
Per la prima volta l'esercito della croce combatteva sul suolo europeo, colpendo uomini che, seppure nel loro particolare modo, credevano in Cristo. La questione religiosa fu insomma solo un pretesto; il sovrano di Francia, Filippo, voleva cogliere al volo l'occasione per estendere il proprio dominio sulle riottose province provenzali, orgogliose della propria secolare indipendenza rispetto al potere sovrano. Ed anche i baroni del nord del paese immediatamente ci videro possibilità di arricchimento e di conquista in questa spedizione contro una delle contrade più floride della nazione.
In effetti questi "eretici" propagandavano solo una vita cristiana all'insegna del Vangelo, condannavano il malcostume ecclesiastico, mettevano sotto accusa vescovi e sovrani, denunciavano il declino religioso. E anche se le loro teorie dogmatiche erano un miscuglio di errori, non erano come volle vederli Innocenzo III, che li considerava come gli eretici dei primi secoli della Chiesa, come ad esempio i Manichei.
In realtà queste eresia medioevali non nascevano dal non credere, ma da un bisogno di credere e di vivere diversamente la propria religione. E' quindi grande la distinzione tra coloro che erano da considerare veramente eretici e gli ortodossi. Era l'aspirazione di numerosi laici e monaci che volevano tornare al modello ideale di chiesa descritto nei vangeli e negli atti degli apostoli. E questi movimenti evangelici si caratterizzarono per un radicale "anticlericalismo" che rimetteva in discussione l'esistenza delle strutture e del personale ecclesiastico. Purtroppo questo diverso modo di vivere la religione, era visto come eresia, cioè come disobbedienza alla Chiesa, e quindi punito.
Si tentò prima con i predicatori per ricondurre all'ovile questi "eretici", ma quando accadde un fatto di sangue ad Arles, INNOCENZO III, pur riluttante si farà convincere da alcuni monaci francesi ad aderire al loro punto di vista, inquietante sotto molti aspetti, ed inaugurò (ma senza il suo controllo) contro gli eretici un'azione sistematica di violenza.
Il fatto che accese la miccia accadde nel gennaio del 1208, a Saint-Gilles, presso Arles, il cardinale Pietro di Castelnau, legato pontificio, fu assassinato da un cavaliere del conte RAIMONDO di Tolosa, uno dei tanti che si era rifiutato di restituire alle chiese ciò che si era guadagnato con le armi. Fu questo il segnale della crociata che Innocenzo III bandì contro gli Albigesi e i loro protettori, fra i quali era il sunnominato conte di Tolosa che fu scomunicato.
All'appello del Pontefice si rifiutò di aderire il re di Francia Filippo Augusto, ma come scrive uno storico - "rispose l'odio di razza che divideva le province settentrionali dalle meridionali della Francia, rispose il fanatismo popolare, la cupidigia dei Signori, la speranza di preda; e ben presto tre eserciti furono scatenati su quelle infelici contrade. Erano capitanati dal DUCA di BORGOGNA, dai CONTI di NOVERA, di AUXERRE, di Ginevra, dai vescovi di Rheims, Sens, Rouen, Autun; ed alla testa di tutti si trovava un crudele e fanatico castellano dei dintorni di Parigi, SIMONE di MONFORT. Il primo olocausto fatto all'ortodossia fu la città di Bèziers. I Crociati se ne impadronirono, ma non sapevano discernere gli eretici dai fedeli.
"Uccidete tutti, gridò il ferace legato pontificio, ARNALDO di CITEAUX, Dio conoscerà i suoi".
Alla fine di quest'orribile tragedia, che si risolse in un inutile massacro, più di duecentomila furono le vittime immolate alla supremazia sacerdotale. I "santi" vincitori diventarono i padroni delle ricche baronie della Provenza, e della Linguadoca (ed era quello che volevano fin dall'inizio).
"Sulle cruente rovine dell'indipendenza occitanica trionfò il dogma cattolico, ammutolì la scienza gaia, e la lieta famiglia dei trovatori fu per tutto il mondo disseminata e perseguitata".
Nel corso del famoso quarto Concilio Lateranense, nasce e viene sottoposta alla diretta dipendenza della Chiesa anche l'Inquisizione, che prende forma come una istituzione locale presso le diocesi con particolari tribunali che punivano gli eretici, poi in un secondo tempo (1231) vennero affiancate dai Tribunali dell''Inquisizione Papale per trattare i casi più gravi di eresie. Tribunali affidati e gestiti dall'ordine dei Domenicani e che ebbe il compito non solo di punire ma anche di scovare gli eretici.
Nello stesso periodo viene introdotta in Francia ed in Germania la pena di morte per gli "eretici", con l'accusa di "lesa maestà".
Sempre nel corso del 4° Concilio Lateranense fu stabilita l'esclusione degli Ebrei da ogni genere di uffici, l'obbligo di portare una uniforme ben distinguibile ed infine istituiti i ghetti per ospitarli con delle limitazioni di orario per l'entrata e l'uscita dagli stessi. A parte gli Ebrei, odiati da sempre, risulta da queste severe disposizioni, quanto era grande la preoccupazione del Pontefice per il diffondersi delle varie sette.
Nel rafforzare la sua autorità in tempi così calamitosi, riconoscendo il sommo valore di un rinnovamento spirituale, Innocenzo III approvò -anche se solo verbalmente e con qualche diffidenza (indubbiamente ci vedeva forse il pericolo di una dottrina che era decisamente ostile alla potestà temporale della Chiesa) - la regola di un poverello giunto a Roma proveniente da Assisi, Francesco, che aveva fondato in Umbria il nuovo ordine di "Frati predicatori". E queste prediche erano impostate sull'"umiltà" e la "povertà".
"Lo si beffeggiò, - citiamo il Gregorovius - fu chiamato pazzo, ma di là a qualche tempo torme di uomini pii diedero ascolto alla sua portentosa eloquenza; e discepoli da lui conquistati, vestiti di abiti a brandelli, seguirono il suo esempio, in quella che lui fondava come prima comunità in una cappella presso Assisi".
La Chiesa vietava la fondazione di nuove regole, per il motivo che ormai il numero degli ordini monastici era esageratamente salito, e tutti ridotti mondani; perciò a Francesco, ossia ai suoi seguaci, non fu cosa agevole ottenere buona accoglienza a Roma. Ciò nondimeno il Santo trovò nella Città Eterna degli amici potenti, il ricco cardinale GIOVANNI COLONNA, il cardinale UGOLINO DI SEGNI, uomo pronto ad appassionarsi e zelantissimo dei suoi protetti, che più tardi diventò papa GREGORIO IX (Scomunicò Federico II, affidò l'Inquisizione ai Domenicani), ed inoltre l'illustre MATTEO ORSINI, padre del futuro papa, NICCOLÒ
III.
"Il futuro S. Francesco chiese con umiltà ad Innocenzo III che confermasse il suo ordine monastico, ma il grande Pontefice, pur non essendo alieno dal confermare l' istituzioni che rappresentava una forte milizia e che, con la predicazione e con l'esempio, costituivano un mezzo potentissimo per combattere nel mondo cattolico l'eresia e difendere la Chiesa, non ne ebbe il tempo perchè morì, e fu poi suo successore, ONORIO III, che solo nel novembre del 1223 confermò a Francesco l'Ordine dei "Francescani" sotto il nome di "Frati minori" e sotto la regola dei "Benedettini".(Gregorovius)
Alla morte di Innocenzo III, moriva anche la teocrazia papale, mentre, per opera di FEDERICO II, si preparava una nuova lotta tra l'autorità pontificia e quella imperiale.
Federico (alla morte di Innocenzo III, appena ventenne) era stato un docile strumento nelle mani del grande Pontefice, tanto docile che lo aveva opposto a Ottone IV; ma, scomparso Innocenzo dalla scena del mondo, Federico mutò atteggiamento e iniziò l'attuazione del suo programma politico che, per la potenza del defunto Papa e per la gratitudine che a lui lo legava, aveva tenuto sempre nascosto.
Non dimentichiamo che il nuovo papa (Onorio III) era stato il suo precettore, ed era mite d'animo, non dotato dell'energia, della perspicacia e dell'ambizione che erano state proprie del suo predecessore. Tuttavia da Federico pretese -pena la scomunica- che partisse per la crociata in oriente. Una crociata che Federico portò poi a termine non con le armi ma con la diplomazia, scandalizzando: perchè aveva trattato con degli "infedeli".
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Come già detto sopra, Innocenzo morì a soli 55 anni di età, il 16 luglio del 1216 a Perugia, e nella cattedrale di questa città fu sepolto. I suoi resti furono portati a Roma per volere di Leone XIII solo nel 1890 alla basilica del Laterano, dove qui gli fu eretto un monumento.
Gregorovius così commemorò Innocenzo II: " Può chiamarsi veramente l'Augusto del papato; non fu genio creatore come Gregorio I e Gregorio VII, ma pur fu uno dei più ragguardevoli uomini del Medio Evo; spirito severo, sodo, mesto; completo principe; statista d'intelletto acuto; sommo sacerdote di fede sincera e ardente".
Di Gregorio VII fece sue le concezioni teocratiche, secondo cui "la dignità regale non è che un riflesso della dignità pontificia" e tentò di metterle in pratica con un'energia senza precedenti. Con lui la Santa Sede si orientò decisamente verso "l'imperium mundi", interferendo nella maggior parte degli stati cristiani, nelle vicende matrimoniali dei sovrani, usando la forza contro le eresie, imponendo rigide regole agli ordini dei mendicanti, pubblicando i 70 canoni che finirono nella loro integrità nel "Corpus iuris canonici" .
La sua azione politica vastissima è sempre mossa da questi alti scopi religiosi, fondata sul principio che è alla base della concezione cristiana del Medio Evo: che tutti gli interessi umani, della città del secolo, devono essere subordinati agli interessi spirituali, della citta di Dio. Questa teoria doveva quindi regolare le relazioni tra Stato e Chiesa, spesso agitando le acque della guerra.
Indubbiamente la sua opera va studiata al lume di quel concetto che egli aveva della sua sovrana missione, per cui tutto doveva obbedire al trionfo dei principi cattolici. Quelli che lo accusano di grande ambizione, forse hanno una visione inesatta dello spirito che lo animava. Innocenzo III attraverso le alte conquiste spirituali e attraverso il temporale impero della Chiesa era indubbiamente intenzionato a porre quest'ultima alla guida del mondo.
Non mancano però i critici che affermano che fu solo un grande uomo di potere, e che mascherò i propri intenti con una conquista cristiana del mondo. "Che la sua signoria feudale sulle monarchie europee - come ha osservato il Falco -poggiava su un potere per gran parte illusorio, fondato su una fede che veniva meno" e che doveva cedere il campo ai nuovi organismi nazionali e comunali "la sua teocrazia diventa, contro l'Europa che essa ha creato e che si fa ogni giorno più insofferente di tutela, uno strumento di ordine e di conservazione".
In un'Europa siffatta non avevano più il significato di una volta le crociate e la lotta contro gli eretici: che sono le due questioni che Innocenzo III ebbe particolarmente a cuore dal suo primo giorno di pontificato fino all'ultimo.
Una cosa è certa: la sua immatura morte, impedì il proseguimento di imprese che per la sua autorità, sembravano destinate ad alti risultati.
Il nuovo papa - piuttosto vecchio - potè fare molto poco, anche se - nonostante l'età- rimase sul soglio per ben 11 anni.
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