Clemente III era morto in marzo, Enrico VI stava marciando con il suo esercito su Roma per farsi incoronare imperatore, ma anche per avanzare le sue pretese sul regno di Sicilia, dove con l'approvazione dell'investitura papale, a Palermo la corona era stata già data a Tancredi.
Nessuno tra i grandi vassalli del reame di Sicilia, vedeva di buon occhio che il regno passasse sotto lo scettro tedesco di Enrico VI. Fu per questo motivo che i baroni e i prelati del regno, riunitisi a parlamento, avevano eletto re TANCREDI conte di Lecce.
Il collegio dei cardinali in gran fretta il 30 marzo decisero di eleggere il successore di Clemente III nella persona di un vecchio di 85 anni, Giacinto Bobone (Bobo), un romano della famiglia degli Orsini.
L'anziano cardinale volendosi sottrarre all'obbligo di incoronare il giovine Enrico VI, indugiò a prendere l'ordinazione, senza la quale non avrebbe potuto conferire al sovrano la corona imperiale.
A rompere gl'indugi e a vincere i pretesti del Papa ci fu una circostanza imprevista. I Tusculani ( da sempre
irriducibili rivali dei romani) avevano chiesto aiuto ad Enrico ed avevano già ricevuto un presidio tedesco nella loro città. Questo fatto aveva irritato i Romani, i quali fecero sapere ad Enrico che si sarebbero opposti all'incoronazione se lui non avesse ritirato la guarnigione. Il re promise di consegnare Tusculo nelle mani del Papa, dal quale i Romani l'avrebbero ricevuta, ma solo se lo avessero indotto a incoronarlo. Era un infame compromesso-ricatto contro il quale Il vecchio cardinale non osò alzare la voce. Il 14 aprile fu consacrato col nome di Celestino III, e il dì seguente, a S. Pietro, concesse la corona imperiale ad Enrico VI ed alla regina Costanza.
Com'era nei patti, il 17 aprile il nuovo imperatore diede Tusculo al Papa e questi la consegnò agl'implacabili suoi nemici i quali gioirono con la vendetta covata da anni; distrussero l'antichissima patria dei Catoni e fecero scempio degli abitanti, i cui pochi superstiti trovarono asilo a Frascati e nei luoghi vicini.
Nel patto c'era anche l'ammonizione del papa di non toccare il regno di Sicilia, ma Enrico VI sordo a questa richiesta, lasciò Roma e con la moglie al seguito partì con il suo esercito verso la Puglia.
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Qualcosa l'imperatore concluse, impadronendosi di tanti territori; ne poteva conquistare degli altri, dare scacco a Tancredi, ma poi un'epidemia che colpì gran parte del suo esercito e lui stesso, fu costretto a tornarsene indietro, anche perchè in patria erano sorti dei problemi con i Guelfi. Sua moglie Costanza che si era pure lei ammalata e si era rifugiata a Salerno per farsi curare da quella famosa scuola di medicina, fu però presa in ostaggio dai salernitani e inviata poi a Tancredi.
Tancredi era da poco tornato in Sicilia, quando, sul finire del 1193, una grande sventura si abbatté sul suo capo: moriva Ruggero, suo amatissimo primogenito, che era stato dal padre associato al regno ed aveva preso in sposa la bella e giovane Irene, figlia dell'imperatore bizantino ANGELO ISACCO di Costantinopoli.
Tancredi, provvide subito alla successione eleggendo il secondogenito Guglielmo III, ancora fanciullo, ma non riuscì a sopportare a lungo il dolore cagionatogli dalla perdita del figlio e, ammalatosi, cessò di vivere anche lui non molti giorni dopo, il 20 febbraio del 1194, lasciando la tutela dell'erede alla regina Sibilla.
Liberatosi dei Guelfi e favorito quindi dalle luttuose circostanze, Enrico VI calò nuovamente in Italia quattro mesi dopo, nel giugno del 1194 con un poderoso esercito; sicuro questa volta di non incontrare nessuna resistenza nel regno normanno. E in effetti la nuova campagna fu migliore della precedente. Molte città si diedero a lui, altre furono prese con le armi, in Puglia come in Sicilia.
Resosi padrone anche di tutta la Sicilia orientale, all'imperatore non restava che la capitale, e quindi marciò su Palermo. Vi giunse nel mese di novembre e, intimata la resa, si vide aprire le porte. Un gesto che i Palermitani si dovettero amaramente pentire, ma del resto non avrebbero mai potuto resistere alla numerosa soldataglia che l'avrebbe conquistata comunque e, guardando alla triste fine di Salerno, Catania e Siracusa, anche Palermo non sarebbe stata certamente risparmiata dalla distruzione dei nuovi barbari.
Alcuni storici affermano che furono i costumi troppo rilassanti della corte Normanna a impedire che i Palermitani reagissero, perchè sembra impossibile la scomparsa di quel potente esercito che esisteva all'epoca di Ruggero II. Forse il partito che non aveva molte simpatie per Tancredi, sperò in un provvidenziale ritorno di Costanza, la figlia di Ruggero, ora consorte di Enrico VI. Ma quando suo marito iniziò a colpire gli avversari con le feroci repressioni, si accorsero ben presto che Costanza non era più la figlia di Ruggero II, bensì un'imperatrice plagiata dal sovrano germanico. Conquistata con facilità pure la capitale, tutto il reame normanno era caduto nelle mani dell'imperatore Germanico.
Per le feroci le repressioni, e quando l'autoritarismo del tedesco divenne ancora più spietato, nel 1196-97 a Palermo scoppiò un'insurrezione generale; Enrico calcò la mano e ordinò altre sanguinose repressioni, esecuzioni in massa, accecò molti nobili che vi avevano preso parte, e fatti uscire i nobili che erano già in prigione da due anni, fece strappare gli occhi anche a loro.
Con il pretesto della congiura e di voler punire i colpevoli Enrico VI sfogò ferocemente i suoi istinti sanguinari. Le carceri di Palermo rigurgitarono di prigionieri appartenenti alle più cospicue famiglie del regno; processi sommari furono istruiti a carico di baroni, vescovi e dignitari della corte normanna, e i carnefici ebbero un gran da fare, impiccando, scorticando, bruciando, accecando, mutilando orribilmente i condannati.
Non contento di avere sfogata la sua crudeltà sui vivi, il tedesco inferocì sui morti: ordinò che i cadaveri di Tancredi di Lecce e del figlio Ruggero fossero dissepolti solo per togliere dal loro capo le corone.
Quanto alla regina Sibilla, prestando fede alle parole del vincitore, si recò con il figlio a Palermo, fece atto di sottomissione e depose la corona; ma ben presto conobbe a quale belva si era affidata. ENRICO radunato il parlamento, riceveva la corona dall'arcivescovo Bartolomeo Offamill succeduto al fratello Gualtiero. La notte di Natale del 1194 Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, fu incoronato Re di Sicilia.
In un angolo, appartati, erano presenti anche il piccolo Guglielmo III d'Altavilla, ultimo Re Normanno, e la madre Sibilla. Enrico offrì al detronizzato re la contea di Lecce e Taranto, ma dopo tre giorni, con la scusa di un complotto, lo fece arrestare insieme alla madre e ad altri nobili. L'atto indegno - vista la giovane età di Guglielmo ed il fatto che la povera Sibilla non aveva nemmeno un difensore - in alcuni nobili risvegliò un senso di ribellione.
L'imperatore costituì reggente del reame normanno la moglie Costanza - che il giorno dopo la sua incoronazione, passando da Jesi, nella marca d'Ancona, dava alla luce un figlio cui era posto il nome di FEDERICO.
I timori che nutriva il papa, iniziarono ad essere giustificati, quando anche il fratello di Enrico VI, Filippo, messo a governare la Toscana, iniziò ad effettuare in continuazione scorrerie nel Lazio, finchè si prese la scomunica dal papa. Era chiaro che l'Imperatore voleva annientare lo Stato della Chiesa per riunire tutta l'Italia all'impero, stritolando in mezzo il papato. Tuttavia Enrico o come diversivo su ciò che andava tramando, o per vendicare il padre morto in Siria nell'ultima Crociata, o perchè non voleva rompere del tutto con il papato, rinnovò la sua fedeltà al vicario di Cristo e concepì una nuova Crociata in Terrasanta. E il papa non poteva certo tirarsi indietro di fronte ad una santa iniziativa come quella.
Ma per quanto vecchio, quasi novantenne, Celestino ebbe molti dubbi sui propositi e sulla fedeltà del tedesco, rimase diffidente e respinse le tante proposte che l'imperatore gli aveva sottoposto. E fra queste, una audace, che nemmeno il Barbarossa si sarebbe mai sognato di fare: l'investitura dell'impero mediante la consegna di un globo d'oro. Significava in tal modo che l'impero sarebbe stato dichiarato un impero-feudo conferito dal papa e che lo stesso papa diventava solo una autorità spirituale e non più temporale.
Celestino chiese prima una proroga per decidere, poi non accettò l'offerta. Lui e la Chiesa avevano fatto la scelta. Se lui acconsentiva, e dava il riconoscimento alla dinastia Sveva del vasto impero che andava dalla Germania alla Sicilia, la Chiesa finiva nella morsa dello strapotere imperiale, e finiva per essere uno Stato vassallo, apparente, perchè senza un proprio territorio. Infatti, il suo potere era era ridotto a nulla, lui stesso era vacillante dentro le mura di Roma.
A mettersi di traverso alla questione ci si mise la morte. Il 20 settembre 1197 (a Messina dove si erano concentrati numerosi crociati) a solo 32 anni moriva Enrico VI, lasciando l'eredità al figlioletto (Federico II, di soli tre anni) e a sua madre Costanza.
Morte misteriosa, (alcuni dicono) dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua fredda, forse una congestione, o forse avvelenato (dicono altri) per ordine della moglie Costanza. Ad ogni modo, l'uomo che voleva conquistare il mondo, seguendo lo stesso progetto del padre miseramente annegato in una pozzanghera, Enrico VI penosamente annegava in un bicchier d'acqua.
Mentre Celestino III, a 92 anni, spirava poco più di due mesi dopo, l'8 gennaio 1198.
Il primo moriva in un tempo molto pericoloso per la Chiesa, perchè Enrico VI era giovane, audace, senza
scrupoli, spietato, inoltre ben protetto dagli altrettanti audaci e valorosi fratelli, Corrado di Svevia e Filippo di Toscana.
Il secondo moriva nel momento in cui c'era non bisogno di un uomo di 92 anni, per quanto valido, ma occorreva nel delicato momento un giovane papa vigoroso, preparato alla lotta.
E più che una elezione liturgica, occorreva nella scelta un atto laico, politico, e poi altrove far seguire le cerimonie sacre. Insomma il pontificato si presentava quanto mai difficile, con tante incertezze; e anche se la grande contesa fra papato e impero con la morte di Enrico VI parve sopita, era chiaro che presto sarebbe ricominciata con gravi conseguenze.
L'uomo giusto, giovane, fu trovato in quello che viene considerato il primo conclave della storia.
La scelta cadde sul 37enne cardinale Lotario dei Conti di Segni, Papa Innocenzo III.
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