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EUGENIO III, Pier Bernardo Paganelli, di Montemagno (PI) 
(1145-1153)

Morto nelle circostanze che abbiamo narrato, l'elezione del nuovo pontefice avvenne in circostanze piuttosto critiche, cioè nel mezzo dei tumulti. I cardinali, si riunirono in gran fretta e piuttosto timorati dai fatti esterni, nella chiesa di San Cesario sul Palatino.
Qui ( dissero poi ) per disposizione divina ( e in effetti sembrarono lontane le considerazioni politiche) elessero un uomo semplice e di chiostro, che fra l'altro non apparteneva al loro collegio.

Era l'abate del monastero dei Santi Vincenzo e Anastasio in Roma, alle Tre Fontane; si chiamava Pier Bernardo, e sembra che egli appartenesse alla famiglia aristocratica dei Paganelli di Montemagno. Le fonti concordano nel dirlo pisano.
Era un abate educato da S. Bernardo nella solitudine di Chiaravalle. Non era stato di certo educato alle cose del mondo esterno al monastero, quindi impreparato per affrontare la situazione politica che si era venuta a creare dopo la proclamazione della Repubblica. Ma proprio per questo ai cardinali elettori - in tempi così tribolati - parve il più degno di salire nella cattedra di S. Pietro.
S. Bernardo, pur essendo stato il nuovo papa un suo allievo, quasi biasimò i cardinali di averlo scelto; ma poi promise comunque che l'avrebbe aiutato con i suoi consigli.

Lo elessero col nome di Eugenio III, lo stesso giorno ch'era morto Lucio. Doveva essere consacrato nella basilica di S. Pietro, ma i senatori della nuova repubblica romana, gli impedirono di raggiungerla, dopo che il nuovo pontefice si rifiutò di riconoscere la nuova costituzione repubblicana della città, nè volle accettare di rinunziare alla potestà civile. 
Con questi dinieghi fu però costretto ad allontanarsi da Roma, rifugiandosi nella Sabina nell'antica abbazia di Furfa, dove tre giorni dopo, il 18 febbraio 1145, fu consacrato. Poi si trasferì nella sede pontificia di Viterbo, dove rimase otto mesi in attesa degli eventi (da Viterbo bandì la seconda Crociata - vedi più avanti)

Roma nel frattempo era in pieno subbuglio. Il popolo aizzato dai repubblicani, si era messo a percorrere le strade e le contrade saccheggiando i palazzi dei cardinali e dei nobili. O aggredendo i pellegrino che si recavano a S. Pietro, che con le macchine di guerra era diventato un campo di battaglia.
I capi repubblicani abolirono la prefettura ed elessero "patricius" Giovanni Pierleoni, con ampi poteri rappresentativi del Senato e del popolo.

La scomunica di Eugenio III contro il patrizio non si fece attendere. Poi iniziò a riunire i nobili della Campagna con l'intenzione di formare una Lega, capace di isolare la città di Roma.

O perchè minacciava di scomunicare anche i cittadini, o perchè l'isolamento cominciò a funzionare, i repubblicani ai primi di dicembre proposero un accordo col papa; affermando che avrebbero abolito il "patricius" e prestato omaggio al pontefice al suo rientro a Roma, ma in cambio volevano che egli permettesse- con una investitura pontificia - la conservazione del Comune.
Non venne subito deciso nulla, ma tuttavia il papa a Natale potè rientrare a Roma.

Arnaldo da Brescia, nel soggiorno viterbese del papa, era andato a promettergli obbedienza, e sembrò estraneo alle vicende di Roma. Quando poi vi rientrò Eugenio, anche lui - dopo che gli era stata revocata la scomunica - fece il suo ingresso come un pellegrino penitente e come tale aveva promesso di vivere.
Ma ben presto, pur mostrando uno spiccato carattere religioso, incominciò a mescolarsi alla vita pubblica, predicando alla folla contro la mondanità di alcuni cardinali e che bisognava riportare la Chiesa alla sua originaria vita apostolica. Le predicazioni avevano tutta l'aria dell'ascetismo, ma non risparmiava con acredine invettive all'alta gerarchia ecclesiastica, ai cardinali e allo stesso papa.
I beni terreni -affermava- appartengono ai laici e ai principi; gli ecclesiastici nulla devono possedere.

Ovviamente parlando in quel modo, oltre che procurarsi seguaci fra il popolo ignorante, Arnaldo stava diventando un energico difensore della Repubblica, e gli elementi politici del nuovo regime s'infiltravano in queste prediche e avevano vita facile, visto che Arnaldo nella sua idealità predicava la separazione del potere temporale da quello spirituale. Quello che appunto volevano i repubblicani.
Ma oltre Arnaldo, predicava anche S. Bernardo, in ben altro modo e rivolgendosi con una "Lettera ai Romani", scriveva "Che mai vi è caduto in pensiero di esacerbare i principi del mondo, vostri singolari patroni? Perchè irritate contro di voi con una ribellione prepotente non meno che sconsigliata, il re della terra, il Signore del Cielo, mentre con sacrilego ardire vi affaticate a deprimere l'Apostolica Sede per divini e umani privilegi cotanto sublimata e che voi dovreste in caso di bisogno difendere contro tutti? I Vostri padri hanno assoggettato alla Città tutto il mondo; voi a tutto il mondo le rendete ludibrio e scherno. L'erede di Pietro è da voi scacciato dalla città di Pietro; i cardinali e i vescovi di vostra mano derubati. Che sei più Roma, al presente se non un corpo senza capo, un capo senza occhi, un occhio senza luce?".

Tuttavia nonostante queste accorate domande, i Romani ascoltavano più volentieri Arnaldo, che stava guadagnandosi anche l'appoggio del clero inferiore, quello dimenticato delle piccole chiese; questi negarono perfino obbedienza ai loro superiori. Un bel pasticcio, insomma.

Si era dunque in una situazione piuttosto critica, con la città sempre in tensione, ed essendo palesi le ostilità verso il papa, Eugenio nel marzo del 1146 lasciò Roma e andò a rifugiarsi di nuovo a Viterbo; l'anno dopo lo troviamo in Francia, dove Luigi VII stava organizzando e preparandosi per la seconda crociata, bandita il 1° dicembre 1145 a Viterbo dallo stesso Eugenio.

Durante la sua assenza da Roma, padroni del campo i repubblicani, il Senato scrisse a Corrado III di Germania, invitandolo a scendere in Italia, a Roma, dove dalla capitale del mondo avrebbe governato Italia e Germania, riprendendo così tutti i diritti e i domini spettanti all'Impero, come ai tempi di Costantino e di Giustiniano.
Le stesse suppliche Corrado le riceveva dal papa o dall'instancabile S. Bernardo. Ma Corrado non ascoltò le richieste della democrazia romana, nè quelle della Chiesa. Tuttavia volle partecipare alla seconda Crociata. In Oriente nel 1144 era caduta Edessa. La città invocava aiuti dall'Europa. Queste richieste di aiuto giunsero a Eugenio durante il suo soggiorno a Viterbo. Il 1° dicembre 1145 bandiva la Crociata concedendo a principi e re grandi indulgenze e favori. Nel 1146 - come abbiamo già visto sopra - Eugenio andava di persona in Francia a convincere Re Luigi VII. Opera facilitata dal solito zelante S. Bernardo che riuscì con le sue prediche a guadagnare anche l'appoggio anche di Corrado III di Germania. 
I due re oltre che preparare un poderoso esercito (non proprio formato da professionisti, ma da indisciplinati rapaci avventurieri) trattarono con l'imperatore bizantino Manuele Comneno per fare di Costantinopoli la base delle operazioni.
Corrado III di Germania partì nel 1147, precedendo di poco il re franco. Quando il primo giunse a Costantinopoli, prima il suo esercito fece ogni genere di violenze saccheggiando la città, poi con la marmaglia rimasta passò in Asia, ma fu subito messa in fuga nei pressi di Dorilea.
Corrado con un piccolo gruppo superstite (fra cui Federico di Svevia e suo zio Ottone di Frisinga) raggiunse la Siria, unendosi con gli avanzi dell'esercito francese che nel frattempo era stato battuto dai Turchi Selgiuchidi; poi indotto da Baldovino III (re di Gerusalemme) tentarono di impadronirsi di Damasco.
L'assalto tentato il 28 luglio 1148, fallì e Corrado sfiduciato oltre che irritato contro Baldovino (che accusò di tradimento) a settembre lasciò la Terra santa facendo ritorno a Costantinopoli, dove con l'Imperatore Comneno strinse un accordo contro i Normanni di Sicilia. Poi se ne tornò in Germania.
Mentre accadevano questi fatti, Eugenio III, dopo aver visto partire Luigi VII per la Crociata, e visitato diversi monasteri di Francia, il 16 giugno 1148 si trovava a Vercelli. Poi con l'aiuto del normanno Ruggero, potè rientrare in Roma. Il 28 ottobre del 1149, scriveva a Corrado (reduce della Crociata) di scendere in Italia per... difenderlo dai repubblicani ma anche dai normanni (proprio quelli che l'avevano aiutato a rientrare in Roma !). Ma la stessa cosa avevano chiesto al re tedesco i repubblicani, rinnovandogli l'invito precedente del Senato (del 1145), ma ora anche quello di far guerra ai normanni che si erano alleati col papa e lo difendevano (ignorando il doppio gioco che stava conducendo il papa).
Il papa aveva promesso a Corrado di incoronarlo, i repubblicani avevano promesso i castelli e le terre che avevano portato via ai nobili feudatari ed agli ecclesiastici e l'intenzione di mettersi sotto la sua protezione.
Corrado non sappiamo se veramente ebbe l'intenzione di scendere in Italia, ancora nel 1151, rispondeva con buone parole al papa (ci teneva forse all'incoronazione), e con i repubblicani si teneva sulle generali, prendendo tempo. Ma il tempo non fu benigno con lui, il 15 febbraio 1152 Corrado III moriva.
La successione non fu facile, i contrasti fra Guelfi e Ghibellini s'inasprirono. Essendo morto il primogenito, Corrado prima di morire raccomandò ai principi elettori il nipote Federico di Svevia (Federico "Barbarossa") Che fu eletto a voce unanime in Francoforte, ed incoronato ad Aquisgrana, il 9 marzo 1152. 
Un principe il Brabarossa che farà risorgere grandi lotte fra papato e impero. Tuttavia all'inizio Federico scrisse al papa lettere ossequiose e a sua volta il papa rispose affettuosamente.

Nello stesso anno in Roma i repubblicani decretarono una nuova costituzione, che stabiliva un imperatore, due consoli e cento senatori. Rimase però tutto sulla carta. I potenti nobili rimanevano sempre i nemici della repubblica e, intorbidendo le acque, sempre fedeli al papa; in qualche modo, muovendo il popolino, e indicandolo come l'uomo della pace, riuscirono a far rientrare a Roma Eugenio III. In dicembre il papa fu accolto e salutato al suo rientro da tutta Roma e parve che il suo potere si fosse pienamente ristabilito. Questo anche perchè la repubblica stava andando in crisi, stavano sorgendo due fazioni, i moderati e gli intransigenti, cioè stava verificandosi una scissione.
I primi seguitavano a scrivere e a offrire la corona di imperatore a Federico, gli altri non si fidavano, e forse pensavano ad un altro imperatore.

L'anno successivo (marzo 1153) i legati del papa fecero un buon lavoro. Andarono a concludere un buon accordo ("Patto di Costanza") con Federico. Questi firmando e giurando prometteva di restaurare la signoria del pontefice negli Stati della Chiesa, difendere la cattedra di S. Pietro, di fare abbandonare ai bizantini ogni dominio in Italia, di non concludere nessuna pace con i Romani repubblicani (avevano quindi ragione gli intransigenti a non fidarsi) e nemmeno con Ruggero di Sicilia senza il beneplacito del papa.
Il papa a sua volta prometteva di onorare Federico come il figlio più devoto a S. Pietro, gli prometteva (appena sarebbe sceso in Italia) l'incoronazione imperiale a Roma e di sostenerlo con le armi spirituali contro tutti i nemici.

Eugenio III trascorse i suoi ultimi mesi tranquilli, aspettando l'attuazione concreta di quel patto, cioè la venuta in Italia di Federico per l'incoronazione a S. Pietro; che avrebbe messo definitivamente termine alla (ormai spenta) repubblica romana.
Purtroppo non vide la conclusione, morì a Tivoli quattro mesi dopo, l'8 luglio 1153.
A Roma ci furono magnifiche e imponenti onoranze funebri e venne sepolto in S. Pietro.
Beatificato, la Chiesa lo venera fra i santi.

Lo seguì nella tomba un mese dopo ( il 20 di agosto) anche il suo "maestro", S. Bernardo. Pure lui venerato fra i santi.

A quattro giorni dalla morte di Eugenio, fu eletto e consacrato il nuovo papa

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