Come già detto,
prima di morire si narra che Gelasio abbia
suggerito di far eleggere al trono pontificio il vescovo OTTONE di Palestrina;
ma questi rifiutò l'offerta e in sua vece fu eletto l'arcivescovo Guido di
Borgogna (o di Vienne). Non era questa un'elezione regolare essendo stata
fatta dai soli sei cardinali che avevano seguito Gelasio in Francia; eppure,
appena diffusa la notizia, giunsero entusiastiche adesioni da parte del clero,
della nobiltà francese e dello stesso re Luigi VI; ed otto giorni dopo, il 9
febbraio 1119, Guido fu consacrato col nome di papa CALLISTO II.
Il nuovo Pontefice
apparteneva al clero secolare e, poiché tra questo e il clero regolare
esistevano molti dissidi, l'elezione di Guido suonava promessa di
riconciliazione fra i due cleri. Callisto II inoltre faceva sperare una
politica più energica di quella seguita dal suo predecessore; per le sue
potenti parentele e per le sue tendenze. Egli, infatti, si vantava discendente
degli ultimi re d'Italia, era del resto figlio del conte Guglielmo di
Borgogna, era cognato di Umberto II di Savoia ed era imparentato con le case
regnanti di Castiglia, di Francia, d'Inghilterra e di Germania. Questo gli
permetteva di rivolgersi a loro come a dei pari.
Aveva inoltre
dimostrato di essere un uomo di carattere forte e inflessibil, infatti lui era
quello stesso "energico" Guido che, convocato di propria iniziativa un
concilio a Vienne, aveva scomunicato Enrico V e minacciato di togliere
l'obbedienza a Pasquale II se non avesse revocato quell'"ignominioso"
privilegio concesso a Roma.
Nonostante i
precedenti, che facevano temere un inasprimento della lotta tra il Papato e
l'Impero, CALLISTO II mostrò fin dagli inizi del suo pontificato di essere
disponibile alla conciliazione e, accogliendo la preghiera dei cardinali di
Roma, convocò per il 20 ottobre 1119 un concilio generale da tenersi a Rheims
e inviò ad ENRICO V, a Tribur, legati affinché la sua elezione fosse
riconosciuta anche dall'imperatore. Enrico rispose che rimandava la
decisione delle questioni ecclesiastiche alla fine del concilio. E prima che
questo si riunisse, si adoperarono in tentativi di pacificazione l'abate di
Cluny e il vescovo Guglielmo di Chàlons, i quali si recarono dal sovrano e,
ricordandogli che in Francia non si praticava l'investitura allo stesso modo
che in Germania e che tuttavia non ne soffriva l'autorità della monarchia, lo
esortarono a rinunciare al diritto di investitura.
Sembrò per un
momento, che la missione dei due autorevoli prelati dovesse avere un esito
felice, infatti, Enrico si mostrò disponibile alla rinuncia purché i diritti
del regno di fronte ai vescovi non risultassero dagli stessi danneggiati. Al
loro ritorno i due mediatori persuasero il Pontefice ad inviare
plenipotenziari con i quali furono redatti documenti che contenevano il
risultato dei colloqui e dovevano essere firmati e scambiati in un successivo
convegno fra l'imperatore e il Papa.
CALLISTO II, sospese le sedute
conciliari, e si era già mosso da Rheims; ma tornò subito indietro convinto
che un accordo era impossibile. Nel concilio, che si chiuse il 29 ottobre del
1119 e al quale intervennero re Luigi e settantacinque vescovi, in gran parte
francesi e borgognoni, furono presi nuovi e severi provvedimenti contro la
simonia e il matrimonio dei preti ed altri decreti intesi a tutelare i beni e
i privilegi ecclesiastici; riguardo invece alla questione delle investiture
non fu presa nessuna decisione; diversamente sull'anatema che fu lanciato su
Enrico V, l'antipapa e i loro sostenitori.
Nel marzo del 1120,
Callisto II ripassò le Alpi; attraversò la Lombardia accolto festosamente in
tutte quelle città nemiche del giogo tedesco e, componendo vari dissidi e
consacrando chiese, si avvicinò a Roma, mentre l'antipapa, abbandonato dai
suoi partigiani e intimorito dalle accoglienze festose che ovunque lungo il
percorso riceveva il suo rivale, fuggiva dal Vaticano e andava a chiudersi e
fortificarsi nel castello di Sutri sperando forse in una nuova discesa in
Italia di Enrico.
CALLISTO II, entrò a Roma il 3 giugno, accolto con
straordinarie dimostrazioni di affetto dalla cittadinanza. A rendere completa
la sua vittoria non restava che la caduta dell'ultimo baluardo dal quale il
suo rivale sperava aiuto dall'imperatore. Ma prima di muovere contro
l'antipapa, Callisto si recò nell'Italia meridionale a mettere un po' di pace
nel gran disordine che vi regnava e l'8 agosto, riuniti a Benevento il duca
Guglielmo, il principe Giordano di Capua ed altri baroni, si fece offrire
l'omaggio feudale. Per porre termine alle discordie che dilaniavano il
mezzogiorno, il Papa convocò un concilio a Troia e vi decretò la "tregua di
Dio" che però fu subito dimenticata non appena il Pontefice si allontanò
per andare a stanare l'antipapa Gregorio VIII dal suo
rifugio.
Sutri fu assediata
dall'esercito pontificio capitanato dal cardinale Giovanni da Crema; ma non
era un'impresa facile prendere una piazza munita di fortissime opere di
difesa, e chi sa quanto sarebbe durato l'assedio se gli abitanti, stanchi
della lotta, non avessero catturato e consegnato l'antipapa nelle mani del
Pontefice (aprile del 1122).
Lo scisma era finito: Gregorio VIII fu
usato come un barbaro ornamento al trionfo del suo rivale. Messo a cavalcioni
a rovescio su un cammello, con la coda dell'animale tra le mani e il corpo
ricoperto di pelli caprine, fu messo a seguire il vincitore per le vie di
Roma; condannato poi a perpetuo esilio, passò da un carcere all'altro finché
nel convento della Cava trovò con la morte la fine alle sue
miserie.
Eliminato l'antipapa
e avendo i suoi sostenitori fatto atto di sottomissione al Pontefice, fu
possibile iniziare, e poi portare a termine, le trattative per risolvere la
questione che da circa mezzo secolo teneva di fronte il Papa e l'Imperatore.
La buona volontà non mancò da nessuna delle due parti, l'ostinazione del
sovrano fu vinta dalla situazione favorevole in cui si era venuta a trovare la
Santa Sede; e l'oculatezza dei mediatori - tra cui degno di menzione il
vescovo AZZONE D'AQUI parente di Callisto e di Enrico - fece il
resto.
Nella dieta di Virzburgo, nell'ottobre del 1122, furono
accettate dall'una e dall'altra parte le proposte di pace. ENRICO V prometteva
obbedienza alla Santa Sede; doveva conservare ciò ch'era suo e del suo regno;
la Chiesa doveva rimanere nel possesso di quanto le spettava; tutti i vescovi
nominati secondo i canoni, compresi quelli di Spira e di Worms, rimanevano in
carica, fino a quando, presentatisi al Pontefice, questi non avesse deciso
della loro sorte; i prigionieri e gli ostaggi erano rimessi in libertà; fino
alla soluzione della contesa i vescovi potevano avere libero accesso alla
corte sovrana e i principi assicuravano il loro intervento in favore di quelli
che erano venissero colpiti da eventuali rappresaglie
imperiali.
Approvate le
proposte fu proclamata la pace per tutto l'impero e si minacciò la pena di
morte contro chi avesse tentato di violarla. A Callisto fu inviata
un'ambasceria con l'invito di convocare un concilio per concludere
definitivamente la pace tra la Chiesa e lo Stato; il concilio prima indetto a
Magonza, fu poi convocato a WORMS.
In questa città, il 23 settembre del
1122, furono portate a termine le trattative per la conciliazione che furono
sancite in due atti contenenti le concessioni anteriormente concordate a
Virzburgo. L'atto dell'imperatore, firmato da diciotto principi, conteneva la
rinunzia all'investitura con il pastorale e l'anello; il rispetto della
libertà delle elezioni ecclesiastiche; la promessa di restituire a San Pietro
le regalie che sotto il suo regno e sotto quello del padre gli erano state
tolte. Mentre l'atto del Pontefice conteneva la concessione fatta al
sovrano di assistere personalmente e per mezzo di legati alla elezione dei
vescovi e degli abati nel regno tedesco e di conferire agli eletti le regalie
per mezzo dello scettro. Quanto alle elezioni episcopali nel territorio
dell'impero, entro il regno germanico l'atto del Pontefice stabiliva che le
regalie con lo scettro dovevano esser conferite durante i primi sei
mesi.
Il concordato di
Worms fu un trattato di pace tra i due poteri, ognuno dei quali firmò un
documento che garantiva concessioni all'altro. L'imperatore, oltre ad
assicurare in genere la proprietà della chiesa e la libertà di elezione,
abbandonava per sempre l'investitura con l'anello e il pastorale. Il papa,
nelle sue concessioni, fece un'importante distinzione tra i vescovadi e le
abbazie che si trovavano in Germania e quelli che si trovavano in Italia e in
Borgogna. In Germania le elezioni avrebbero avuto luogo alla presenza del re,
al quale il pontefice concedeva una certa autorità nei casi
controversi. Nel frattempo due fattori avevano ridotto l'importanza dei
vescovadi italiani: anzitutto il crescente potere dei comuni, spesso
assecondato dagli stessi vescovi, aveva comportato un declino dell'autorità
episcopale; in secondo luogo i vescovi avevano in genere accolto i decreti di
riforma pontificia, e così erano sempre meno disponibili al controllo
imperiale. Per quanto riguardava la Germania, era di estrema importanza che il
re mantenesse il controllo sulle elezioni, dato che l'autorità temporale dei
vescovi continuava inalterata; e qui, sebbene l'abolizione del deprecato uso
dei simboli spirituali soddisfacesse gli scrupoli pontifici, il controllo
sulle elezioni rimase effettivo. Non si può tuttavia negare che il concordato
fu un vero affare per il papato.
L'imperatore rinunciò a una pratica
già in atto, mentre il papa si limitò a concedere ciò che, della procedura
esistente, intendeva approvare. L'11 novembre una dieta a Bamberga confermò
il concordato, che divenne parte integrante della legge costituzionale
dell'impero. A dicembre il papa scrisse una lettera di congratulazioni a
Enrico, inviandogli la sua benedizione; poi, nel sinodo quaresimale del marzo
1123, ci fu la solenne ratificazione del concordato di Vorms, presenti
trecento vescovi, e fu il nono concilio ecumenico, primo nel Laterano. In esso
si diede lettura dei documenti del concordato, e furono approvati. Indi
vennero stabiliti vari canoni, in particolare contro la simonia e il
concubinato dei chierici, contro le usurpazioni dei laici negli affari della
Chiesa, contro i matrimoni vietati, contro la violazione della tregua di Dio,
il falsare monete, il disturbare i pellegrinaggi a Roma, il mancare al voto di
recarsi coi Crociati a difendere il santo Sepolcro. Di più si celebrò la
canonizzazione del vescovo Corrado di Costanza, e si chiusero altre vertenze,
specialmente quelle dei monasteri con i vescovi.
Il documento
imperiale fu accolto dal sinodo con entusiasmo; ci furono alcune critiche alle
concessioni pontificie, ma, per amor di pace, furono momentaneamente
tollerate. Fu riconosciuto che esse non erano irrevocabili, e la loro
formulazione permise di sostenere che, mentre le concessioni di Enrico
avrebbero impegnato anche i suoi successori, quelle del papa si limitavano
alla durata della vita di Enrico.
Il primo grande scontro tra impero e
papato si era praticamente già concluso, ma il concordato di Worms aveva dato
sistemazione a un problema minore, il grande dilemma invece, quello della
supremazia, rimaneva irrisolto. Esso rimase tacitamente ignorato da entrambe
le parti finché fu di nuovo portato alla ribalta dalle parole di sfida di
Adriano IV. Ma il cambiamento che si era verificato nelle relazioni tra i
due poteri era di per sé una grande vittoria della politica
pontificia.
Nell'ambito ecclesiastico, il papa si era conquistato una
posizione che non avrebbe mai più perduto. Che egli fosse il capo spirituale
della chiesa non era mai stato messo in discussione, in precedenza, ma la sua
autorità era stata piuttosto quella di un signore feudale, dal quale ci si
attendeva che non interferisse nell'autonomia locale dei vescovi e degli
arcivescovi. Imitando la politica dei sovrani temporali il papa aveva
tentato, con ampio successo, di convertire questa sua signoria feudale in una
vera e propria sovranità. A quanto pare, Gregorio VII aveva concepito
l'idea di una Europa sottomessa al papa, ma i suoi successori si limitarono
agli stati pontifici, che comprendevano l'intera Italia meridionale, dove i
normanni riconoscevano la supremazia papale. L'alleanza con i normanni, così
spesso utile, quasi necessaria, era pericolosa e avvilente; essa aveva
condotto ai risultati fatali degli ultimi anni di Gregorio, e avrebbe dato per
qualche tempo ai normanni una considerevole influenza sulla politica papale,
mentre la richiesta pontificia di supremazia sul meridione avrebbe condotto
alla terribile lotta con l'Hohenstaufen e al conseguente conflitto tra
angioini e aragonesi. Nella stessa Roma l'autorità papale, che non era mai
stata messa in discussione durante l'arcidiacono e il pontificato di Gregorio
fino al 1083, ricevette un duro colpo dalla brutalità normanna. E sarebbe
trascorso molto tempo prima di poterla ristabilire.
A Worms dunque
finiva così la lotta
per le investiture, e mentre la Chiesa riaveva la libertà nelle elezioni
vescovili, l'imperatore conservava una considerevole ingerenza sulla elezione
dei prelati suoi vassalli. Se Gregorio VII aveva concepito (o meglio
iniziato) questo progresso dell'autorità pontificia, tanto spirituale quanto
temporale (e aveva spinto il suo pensiero più
lontano di quanto i suoi immediati successori fossero disposti a
seguirlo) indubbiamente Callisto nel continuare l' "avventura" ne ebbe
i meriti, anche se poi nell'ambito dell'attuazione pratica, bisognerà
arrendere prima il frettoloso impeto di Adriano IV, poi il maggior intuito e
la determinazione di Innocenzo III.
Tuttavia parlando dei meriti di
Callisto, lo storico tedesco GREGOROVIUS così scriveva: «....da secoli
sulla cattedra di S. Pietro aveva seduto papa alcuno, che fosse e sentisse di
essere così avventurato come Callisto: e merito ne aveva la sua prudenza del
pari che la sua energia. La Città obbedì reverente all'autore della pace; si
acquietarono le lotte dei partiti, e, finchè egli visse, per le rovine di Roma
non suonarono più grida di battaglia. In questo bel periodo di pace, il
pontefice potè perfino pensare al bene della Città. Deplorevole era la
condizione di Roma dopo la lotta delle investiture; la città era mezzo in
rovina; i templi di pace e di amore s'erano con massima profanazione tramutati
in castelli guerreschi, avevano provato le sorti di vere fortezze. Callisto in
un concilio dovette espressamente proibire che le chiese diventassero rocche;
vietò ai laici di spiccare le offerte votive dagli altari e bandì anatema a
chi maltrattasse le genti che venivano a Roma peregrinando".
Quanto al
resto, Callisto dopo averle promosse nel concilio lateranense, non vide
l'esito delle nuove crociate. Morì poco tempo dopo la sua vittoria, il 13
dicembre 1124.
Cinque mesi dopo, il
23 maggio del 1125, cessava di vivere
ad Utrecht Enrico V. Aveva appena 44 anni, ed era l'ultimo della casa salica, che con lui
si spegneva dopo avere regnato per 101 anni sulla Germania e sull'Italia. La corona sta per
passare alla potente famiglia degli HOHENSTAUFEN (Svevi) non senza
contrasti.
Callisto era appena
spirato, e già risorgevano a Roma nuovamente gli antagonismi che la
pacificazione del Papato con l'impero pareva che avesse per sempre eliminati.
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