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IL MAHABHARATA

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EPILOGO

137 
I festeggiamenti per la vittoria
Ci furono momenti di grande giubilo quando i Pandava con Dristadyumna, Satyaki, Shikandi, i cinque figli di Draupadi e gli altri sopravvissuti al grande massacro, fecero ritorno all'accampamento. E dopo che tutti si furono cambiati i vestiti, lavati e riposati, montarono sulle rispettive cavalcature ed entrarono indisturbati negli accampamenti nemici, come era d'uso in quel tempo per i vincitori. 

Giunti davanti alla tenda di Duryodhana, Krishna guardò l'amico e gli disse: 

"Arjuna, la vittoria è nostra. I nemici sono stati tutti sconfitti, ma i pericoli non sono ancora terminati. Ti prego, scendi dal carro e prendi con te Gandiva e le frecce." 

Senza chiedere spiegazioni per la strana richiesta e per il tono particolare con cui gli era stata rivolta, Arjuna fece come gli era stato detto. 

Appena fu sceso Krishna lo seguì e in quel momento il grande Hanuman, che era stato sulla bandiera del Pandava fino ad allora, saltò in cielo e scomparve. Coloro che si erano trovati ad assistere a tale prodigio stavano ancora commentandolo quando il carro che Agni aveva affidato ad Arjuna, all'improvviso, fu avvolto da voraci lingue di fuoco. In pochi istanti non rimaneva che un cumulo di cenere. 

Arjuna era stupefatto. 

"Cos'é successo? perché il mio carro é stato preso in quel modo dalle fiamme? Cosa è stato a causarle?" 

"Non ti sei mai chiesto per quale ragione le potenti armi di Bhishma, di Drona e degli altri non ti abbiano distrutto?" rispose il divino Vasudeva. "Non sai che neanche gli stessi esseri celesti sarebbero stati in grado di resistere alla forza dei guerrieri che hai affrontato? Tu sei ancora vivo perchè la mia presenza ti ha protetto. Avevi un compito da assolvere e questo ti ha reso invulnerabile. Ma appena lo scopo é stato raggiunto e io l'ho abbandonato, quelle armi, che attendevano di poter avere effetto, hanno distrutto il carro. E se tu vi fossi rimasto sopra, avresti fatto la stessa fine." 

In un lampo tutti compresero quanto fosse stata determinante la presenza di Krishna alla guida del carro di Arjuna. 

I festeggiamenti cominciarono: i corni, le conchiglie e altri fiati, accompagnati da differenti tipi di strumenti a percussione, suonarono senza interruzioni per ore. Si respirava un'atmosfera talmente carica di felicità che tutti presero a giocare e scherzare fra di loro. Krishna non era affatto contrario a quella festa, anzi ne fu contento perchè voleva che si dimenticasse lo spiacevole incidente di Samanta-panchaka e le rudi parole di Balarama. Tuttavia qualcosa lo preoccupava ancora, ma nessuno ci fece caso. 

A notte inoltrata la festa terminò e ognuno volle tornare alla propria tenda. Erano stati giorni tremendi, avevano molto sonno arretrato. 

"Yudhisthira," disse però Krishna, "lascia che altri tornino a riposare. Noi rimarremo qua, assieme ai tuoi fratelli e a Satyaki." 

Il figlio di Pandu non capiva esattamente il perchè, ma dato che era abituato a seguire i consigli dell'amico accettò la proposta. Le truppe, assaporando un riposo senza sveglia forzata, si incamminarono verso l'accampamento. 

138 
Il massacro notturno

I Pandava si erano da poco allontanati dalla scena del duello fra Bhima e Duryodhana ed erano in pieno festeggiamento quando Sanjaya, tornato al lago, aveva trovato il re in terra, agonizzante, che tentava di difendersi dalle bestie feroci che volevano cibarsi delle sue carni. Vedendolo in quelle condizioni, nella polvere, che perdeva sangue da più punti, e con i fianchi spezzati dalla gigantesca mazza di Bhima, Sanjaya pianse per lui. 

"Non dispiacerti per me," gli disse con un filo di voce il Kurava morente, "perchè la mia morte è gloriosa, mentre la loro vittoria è infame." 

Poi svenne per l'intenso dolore. 

Nonostante tutto, il cuore di Duryodhana era ancora invaso da un odio profondo per i figli di Pandu. 

Sanjaya rimase con Duryodhana, mentre la notizia della sua caduta giungeva fino ad Hastinapura. I cittadini, che a parte la questione che riguardava i Pandava, non si erano mai dovuti lamentare del suo governo, vennero a porgere l'ultimo saluto al figlio di Dritarashtra. Nel frattempo anche Asvatthama, Kripa e Kritavarma erano arrivati sul luogo e si erano seduti accanto a lui. 

Duryodhana soffriva intensamente, le ferite erano molto profonde. Le persone lì presenti furono prese da una rabbia incontrollabile. Specialmente Asvatthama, la cui furia si accese come il fuoco del sacrificio quando il purohita vi getta dentro il burro chiarificato. Trascinato dall'emozione, fece un voto che sembrò a tutti un vero suicidio. 

"Stanotte stessa, lo giuro, anche se Krishna stesso dovesse essere presente, io sterminerò i Panchala e i Pandava. Duryodhana, dammi il permesso di vendicarti." 

Nel sentire quelle parole, egli sorrise. 

"Asvatthama, ti ringrazio. Non sai quanto mi renda felice questo tuo proposito. Ti nomino comandante del mio esercito, anche se siete rimasti solo in tre. Trionfa tu laddove i più grandi guerrieri del mondo non sono riusciti. In tal modo trasformerai questi dolori in delizie perpetue." 

Avendo soggiunto che non sarebbe morto finchè il figlio di Drona non avesse assolto il suo voto, il Kurava cadde in un forte stato di sfinimento. Essi lo lasciarono per dirigersi verso sud. 

Nessuno dei tre riusciva a pensare ad altro: come distruggere i loro nemici? Sembrava un'impresa disperata. Arjuna, Satyaki, gli altri fratelli Pandava, Drishtadyumna, Shikhandi, i restanti Panchala, tanti altri eroi che erano ancora vivi... e avevano le truppe ad aiutarli; mentre loro erano soli, stanchi, feriti, scoraggiati; come potevano mai sperare in una vittoria? 

Non avevano fatto molta strada quando decisero di accamparsi e riposare. Ne avevano proprio bisogno. Kripa e Kritavarma si addormentarono subito, ma Asvatthama non ci riuscì. La sua mente era ossessionata dallo stesso pensiero, non aveva pace: in che modo vendicare Duryodhana, suo padre, e tutti gli altri caduti per mano dei Pandava? era vero che Duryodhana aveva agito da empio, ma loro si erano forse comportati bene? E giacchè lui stava pagando le sue colpe con la morte, non era forse giusto che accadesse altrettanto a loro? 

Intanto che rimuginava tali pensieri, il suo sguardo si era posato su uno stormo di corvi che dormiva sui rami di un albero. Improvvisamente un grosso gufo, approfittando del loro sonno, li assalì e, senza dar loro possibilità di scampo, li ammazzò tutti. Come un lampo, quella scena fece balenare ad Asvatthama un'idea. Eccitato, destò gli altri due. 

"Svegliatevi, svegliatevi, ho capito cosa dobbiamo fare contro i nostri nemici," disse con voce concitata. 

E raccontò loro dell'assalto del gufo. 

"Siamo rimasti solo in tre, e contro i Pandava non abbiamo speranze di vittoria. Ma se li assaliamo mentre dormono non avranno il tempo nè di difendersi nè di fuggire, e noi potremo ucciderli." 

Kripa e Kritavarma non furono affatto entusiasti dell'idea. 

"Un atto del genere non è stato mai preso neanche in considerazione da uno kshatriya che voglia considerarsi degno di questo nome," disse l'anziano maestro. "Questa non è un'azione di guerra: è un orrendo crimine, tra i peggiori che siano mai stati escogitati. I nostri nomi resterebbero per sempre macchiati: verremmo ricordati come coloro che hanno eliminato nel sonno i propri nemici. Atti di questo tipo contribuiscono a diffondere la noncuranza delle leggi di Dio nella società, che dovremmo invece proteggere. Francamente a noi non sembra una bella idea." 

"La noncuranza delle leggi di Dio?" ribattè Asvatthama. "Ma cosa state dicendo? Chi in questa guerra le ha osservate? Nessuno, nè noi nè loro. Dunque perchè ora dovremmo farci degli scrupoli? Quando Drishtadyumna ha colpito mio padre mentre meditava, ha forse pensato allo kshatriya-dharma? o ha agito come il più vile degli Yavana? E cosa ha fatto Satyaki a Bhurishrava? Eppure è un Vrishni, il cugino di Krishna, ed appartiene a una delle stirpi più nobili. Anche lui ha commesso un crimine tra i più deplorevoli. E Arjuna, ha forse sconfitto Karna nel modo più cavalleresco? No, lo ha colpito mentre era a terra, senza carro e senza armi, mentre tentava di sollevare le ruote dal pantano. E poi Bhima, come è riuscito Bhima a sconfiggere Duryodhana? Sarebbe stato capace di colpirlo a morte in un duello leale? E non è stato un atto di viltà da parte dei Pandava quello di farsi precedere da Shikhandi quando hanno attaccato Bhishma? Sono stati leali, loro? E poi Krishna, che aveva promesso di non partecipare alle ostilità, non è stato forse lui a oscurare il sole, salvando così Arjuna? E non è stato sempre lui che ha mandato Ghatotkacha di notte contro Karna, costringendolo a usare la shakti? No, amici, la vittoria dei Pandava non è stata affatto ottenuta lealmente nè è benedetta da Dio, e noi non incorriamo in nessun peccato se li puniamo nell'unica maniera della quale siamo capaci." 

Vedendoli ancora titubanti, Asvatthama aggiunse: 

"Comunque se voi non volete aiutarmi, sappiate che io lo farò ugualmente, con o senza di voi." 

A quel punto, pur profondamente contrariati, Kripa e Kritavarma capitolarono e si associarono al più vile massacro contemplato dalla storia delle popolazione aryane. Sfoderando la spada che Shiva gli aveva dato, Asvatthama montò sul carro da guerra, seguito dagli altri due. 

In poco tempo arrivarono agli accampamenti dei Pandava. Essi ignoravano che i cinque fratelli con Krishna e Satyaki non fossero lì, e che si fossero fermati a riposare negli accampamenti deserti che appartenuti agli sconfitti. 

Lasciati gli altri due a sorvegliare le uscite in modo che nessuno potesse fuggire, Asvatthama entrò con cautela all'interno del recinto. La guerra era finita, gli alleati non pensavano che potessero sussistere altri pericoli, per cui non avevano organizzato una sorveglianza molto stretta. Quindi il brahmana potè entrare con irrisoria facilità nella tenda dove dormiva Drishtadyumna, l'assassino di suo padre. Sorpreso nel sonno, questi non riuscì ad opporre alcuna resistenza e Asvatthama lo uccise strangolandolo con la corda dell'arco. 

Sentendo il rumore della colluttazione e pensando all'attacco di qualche rakshasa, i Panchala si svegliarono di soprassalto e corsero tutti fuori dalle tende con le armi in pugno, ma non fecero in tempo a difendersi: cogliendoli di sorpresa, Asvatthama imperversò come Shiva nel giorno della dissoluzione dell'universo. Correndo e ruggendo come un ossesso e appiccando fuoco a tutte le tende, uccise i cinque figli di Draupadi mentre ancora dormivano e la stessa sorte toccò ai fratelli Yudhamanyu e Uttamaujas, i due bravi assistenti di Arjuna. Poi anche Shikhandi morì. 

Ci fu una fuga disperata; ma tutti coloro che erano riusciti a sfuggire alla furia di Asvatthama, trovavano ad attenderli Kripa e Kritavarma che colpivano a morte chiunque senza pietà. In pochi minuti un silenzio che sembrava quasi irreale, avvolse l'accampamento: erano tutti morti. 

Così in men che non si dica quei grandi eroi che erano riusciti a sopravvivere a incredibili giorni di lotte sovrumane, nel giro di brevissimi istanti erano stati decimati dalla vile ferocia del figlio di Drona. 

Per nulla turbati da ciò che avevano fatto, i tre andarono a portare la notizia al re moribondo. Oramai nei loro cuori erano scomparse la nobiltà e la rettitudine che sorgono dall'osservanza delle leggi del dharma, per cui essi erano davvero convinti di non aver agito male. 

Arrivati a Samanta-panchaka, Asvatthama si chinò su Duryodhana e lo chiamò. 

"O re, sei ancora vivo? Sappi che ho mantenuto la mia promessa. I Panchala sono tutti morti, e anche i figli dei Pandava hanno seguito la loro sorte. Solo i cinque fratelli, Krishna e Satyaki sono rimasti in vita. Abbiamo avuto la nostra vendetta." 

Duryodhana aprì gli occhi e con un sorriso raggiante disse: 

"Ciò che hai fatto è incredibile. Non credevo che sarebbe più potuto accadere. Raccontami come ci sei riuscito." 

E il figlio di Drona narrò la storia dell'attacco notturno. 

Sentendo quelle parole, Duryodhana scosse la testa e disse: 

"O brahmana, come hai potuto fare una cosa del genere? Neanche io sarei stato capace di compiere un atto tanto diabolico, ed esserne venuto a conoscenza non mi fa morire contento." 

Detto ciò, Duryodhana esalò l'ultimo respiro. 

139 
La punizione di Asvatthama

Proprio in quel momento Sanjaya, che stava raccontando a Dritarashtra quegli ultimi avvenimenti, non riuscì più a vedere nulla. Così non potè continuare la narrazione. 

"O re, con la morte di tuo figlio il potere che Vyasa mi aveva conferito è stato revocato, e non potrò più raccontarti di cose che avvengono a distanza di spazio. Ma ciò che più ti premeva lo hai saputo: la guerra è persa, Duryodhana, i suoi fratelli e tutti i suoi amici sono morti. Ciò che ti era stato predetto dalle persone più sagge è accaduto." 

Dritarashtra, disperato, piangeva e non riusciva a trovare pace. 

"Ah, se avessi ascoltato il saggio Vidura allora, tutte queste tragedie si sarebbero potute evitare! Io pensavo che parlasse solo per procurare benefici ai miei nipoti, e invece i suoi consi-gli erano assolutamente senza secondi fini. Dovevo dargli ascolto quando alla nascita di Duryodhana mi disse di ucciderlo, di non lasciarlo vivere. Ma io pensai: come può costui essere così crudele da suggerirmi di sopprimere il mio primogenito? E invece se lo avessi fatto, ora avrei con me gli altri miei figli, gli amici, e nulla di tanto abominevole sarebbe accaduto." 

E intanto che il re cieco si lamentava penosamente, la terribile notte terminava, e il sole cominciava a sorgere sulla vasta piana di Kurukshetra, illuminando i risultati di uno degli ultimi atti nefasti della stirpe kshatriya di dvapara-yuga. 

Il più riprovevole lo aveva sicuramente commesso Asvatthama, il figlio del maestro... 

Tuttavia qualcuno era scampato al terribile eccidio notturno: l'auriga di Drishtadyumna, che era riuscito a nascondersi in tempo. Quando era stato sicuro che i tre si erano allontanati e tutto era ritornato alla calma, era uscito con circospezione dal suo nascondiglio ed era corso da Yudhisthira, negli accampamenti di Duryodhana. 

La notizia folgorò i Pandava e li demolì: l'idea che i più cari amici e i loro stessi figli fossero morti li fece svenire dal dolore. 

Quando si furono riavuti dal colpo, corsero sul luogo del massacro, portando anche Draupadi. Alla vista del corpo del caro amico Drishtadyumna ucciso nella maniera più crudele immaginabile, dei cinque figli martoriati dalla spada di Asvatthama e di tutti gli altri amici e compagni, la loro furia raggiunse i livelli della loro sofferenza e divampò al pari del fuoco che sprigiona dalle bocche di Sankarshana al momento della dissoluzione dell'universo materiale. Tutto ciò era stato così vile ed empio che nessuno riusciva neanche a parlare, riuscivano solo a digrignare i denti per la rabbia impotente. 

Fra i singhiozzi, riversa disperatamente sui corpi dei cinque figli, fu Draupadi a rompere quel tragico silenzio. 

"Sappiate che finchè Asvatthama vivrà, io non mangerò più e mi lascerò morire. Non voglio restare nello stesso mondo in cui vive un essere tanto malvagio." 

"Regina, Asvatthama non può essere ucciso," le rispose Yudhisthira, "perchè è stato benedetto a vivere a lungo. Ucciderlo è impossibile per chiunque, anche per noi." 

"Ma può essere sconfitto e umiliato. Questo può essere fatto. Sulla testa ha un diadema da cui trae la propria forza. Privarlo di quel gioiello equivarrebbe a togliergli la vita, e forse per lui sarebbe peggio della morte. Se farete questo, io interromperò il mio digiuno." 

A quel punto, disperata, la regina si rivolse a Bhima. 

"O Pandava, o discendente di Bharata, tu che hai sempre soddisfatto i miei desideri, ti prego, questo è il più caro regalo che tu possa farmi: cattura Asvatthama e portami il suo diadema." 

Il potente figlio di Pavana, il deva del vento, mai aveva visto la moglie così disperata, così non esitò un istante. Divampando di rabbia come una gigantesca esplosione, le giurò che l'avrebbe accontentata anche questa volta. Prendendo Nakula come auriga, partì all'istante. 

Tuttavia Krishna era preoccupato. 

"Asvatthama ha perso il controllo di sè," disse ad Arjuna. "Non è più il mite e leale brahmana che ricordiamo. Il dolore per la morte del padre l'ha fatto diventare un assassino senza scrupoli nè principi morali. E' diventato pericoloso. E' meglio che andiamo anche noi, perchè non sappiamo cosa potrebbe succedere." 

I due si precipitarono sulle tracce di Bhima, e raggiuntolo poterono constatare che era già riuscito a trovare Asvatthama che era nascosto nell'ashrama di Vyasa, sulle rive del Gange. 

La scena che si presentò ai loro occhi era raccapricciante: mentre il Pandava con l'arco pronto a scagliare frecce, gridava al figlio di Drona di combattere da uomo, costui terrorizzato si nascondeva dietro Vyasa, cercando di evitare la furia di Bhima. 

Ma appena si accorse dell'arrivo di Krishna e Arjuna, vistosi perduto, compì l'atto peggiore che si possa immaginare. 

Con un'espressione sinistra e oramai privo di luce negli occhi, prese un filo d'erba nelle mani e invocò il brahmastra. 

"Possa quest'arma privare per sempre il mondo dai Pandava." 

Krishna capì ciò che Asvatthama stava facendo, e disse ad Arjuna: 

"Asvatthama è fuori di sè, sta chiamando un'arma che non è in grado di controllare e che per nessuna ragione dovrebbe essere usata su questo pianeta. Gli effetti a catena del brahmastra potrebbero distruggere il mondo intero. Ricordi quella volta che salvasti il tuo guru dalle fauci di un coccodrillo? Quel giorno ti insegnò l'arte di contrattaccarlo e anche di ritirarlo. Estingui dunque quella meteora che sta saettando verso di noi, e salva te stesso e i tuoi fratelli." 

Come sempre, obbediente alle istruzioni dell'amico, Arjuna a sua volta invocò la stessa arma. E mentre le due palle di fuoco guizzavano con la velocità della luce l'una contro l'altra, la terra cominciò a tremare e il mare si gonfiò paurosamente. E intanto che le due meteore, avvicinandosi, si espandevano sempre più, risultò chiaro che Asvatthama con quell'ultimo gesto aveva superato in crudeltà la stessa strage notturna: pur di salvarsi aveva messo in pericolo l'esistenza dell'intero pianeta. 

Vista imminente la distruzione del mondo, Vyasa e Narada si frapposero tra i due astra allo scopo di impedirne il contatto ed assorbirne le energie. 

"Queste armi non devono mai essere usate nel mondo dei figli di Manu," dissero. "Dovete richiamarle e neutralizzarle immediatame-nte." 

Ossequiente al comando dei rishi, Arjuna revocò il suo brahmastra, ma Asvatthama non ci riuscì. 

"Grande saggio," disse allora in preda al panico, "io non so come richiamare la mia arma, in quanto mio padre non me l'ha mai insegnato. Perdonatemi, solo ora mi rendo conto di ciò che ho fatto." 

Per un attimo il figlio di Drona temette che quell'energia potesse scaricarsi contro di lui e si prostrò ai piedi dei due saggi chiedendo umilmente aiuto. 

"Ciò che hai fatto è di una crudeltà inaudita," gli rispose Vyasa. "Ora devi ritirare la tua arma e poi consegnare il diadema che porti sulla testa ai Pandava." 

"O rishi," rispose il brahmana, "io vorrei seguire il tuo consiglio, ma come ti ho detto non ne sono in grado. Però posso invertirne la direzione. Invece di distruggere i cinque Pandava, entrerà nei ventri di tutte le loro donne e le farà abortire. In tal modo il mio scopo sarà stato ugualmente raggiunto." 

Così avvenne. 

Il terribile brahmastra si insinuò anche nel ventre di Uttara, che portava il figlio di Abhimanyu. Nel vedere quel bagliore accecante procedere verso di lei, la figlia di Virata implorò il Signore di proteggere suo figlio. Mosso dalle preghiere e dalla devozione della ragazza, Krishna in seguito avrebbe salvato l'embrione, restituendolo alla vita. 

Nel momento in cui Asvatthama decideva di cambiare il corso della sua arma, il Signore sembrò rischiararsi in viso. 

"Tu vorresti uccidere il figlio di Abhimanyu, l'ultimo discendente dei miei devoti" gli disse, "ma io frustrerò questo tuo proposito ridandogli la vita. Per quel che ti riguarda, ti sei comportato nel peggiore dei modi, per cui ti maledico a vagare da solo su questa terra, senza possibilità di avere nè compagni nè amici, e il tuo nome sarà ricoperto dall'infamia. E sarai costretto a vedere quel bambino che tu volevi sopprimere diventare un grande imperatore, paragonabile in gloria e potenza ai suoi nonni e governare il mondo per sessanta anni." 

Graziato anche da Draupadi, Asvatthama si privò della gemma e partì per il nord. 

140 
L'abbraccio mortale

Erano passati quattordici anni dal giorno in cui erano usciti da Hastinapura furiosi, calciando i sassi che incontravano per la strada, e pronunciando le maledizioni più terribili contro Duryodhana e i suoi amici; ora potevano tornarvi, da vincitori, per governarla. Avevano riconquistato il regno che spettava loro di diritto, avevano ottenuto la loro vendetta, eppure non erano felici: come gioire di un regno riavuto in cambio di fiumi di sangue di parenti e amici? 

I cinque fratelli erano tristi. Chetato il fuoco dell'odio, rimaneva solo la consapevolezza che ora avrebbero assistito a raccapriccianti scene di dolore delle madri, delle mogli e degli amici dei morti. Era una tragedia che mai avrebbero voluto testimoniare. 

In quel momento un messaggero li informò che Dritarashtra e Gandhari stavano arrivando per ritrovare i corpi dei figli, e decisero di aspettarli. Quando Yudhisthira vide l'anziano zio, gli si gettò ai piedi, chiedendo perdono. Mosso da tanta gentilezza e umiltà, Dritarashtra lo abbracciò, ma senza trasporto. 

Dopodichè disse: 

"Dov'è Bhima? Voglio mostrargli che ho perdonato anche lui." 

Ma nel momento in cui il Pandava stava per farsi avanti, Krishna lo fermò e gli disse di aspettare. 

Cosa stava per accadere? 

A questo punto occorre che sappiate che la notte in cui Asvatthama perpetrò il vile massacro, Krishna non stava dormendo nell'accampamento dei Kurava, ma si era recato ad Hastinapura con lo scopo di preparare il terreno per l'incontro degli anziani zii con i Pandava; in quell'occasione era entrato nella palestra di Duryodhana e aveva preso con sè una statua di ferro sagomata perfettamente secondo la corporatura di Bhima, contro la quale questi si allenava quotidianamente. Consapevole del grande dolore e della considerevole forza fisica di Dritarashtra, Krishna era sempre stato preoccupato per la reazione che avrebbe avuto allorchè avesse incontrato Bhima. 

Per cui, quando Dritarashtra aprì le braccia, gli spinse la statua contro. Non appena l'anziano sentì l'inconfondibile forma fisica del nipote fra le braccia, non riuscì a trattenere il suo odio e la strinse impetuosamente fino a spezzarla in due. Macchiato del suo stesso sangue, Dritarashtra pensò di aver ucciso l'artefice della morte dei suoi figli, ma non ne gioì. Quello sfogo fisico era servito a scacciare dal suo cuore ogni sentimento malsano. 

"Ho ucciso Bhima," si lamentò. "Cosa ho fatto! Il mio caro Bhima, il figlio del mio amato fratello Pandu. Non volevo farlo. Lui aveva ucciso i miei figli solo perchè erano dei malvagi e degli aggressori, non era nel torto. Perchè non ho saputo frenare il mio odio? Non meritava di morire." 

Sfogandosi in questo modo, Dritarashtra smaltì il suo rancore. 

Appena Krishna capì che il pericolo era passato, disse: 

"O re, Bhima non è affatto morto. Quella che hai spezzato era solo la statua di ferro che tuo figlio usava per allenarsi. Tuo nipote è ancora vivo." 

Il figlio di Vyasa ne fu contento e lo strinse a sè con sincero affetto. Poi abbracciò anche Arjuna e i gemelli. 

Ma rimaneva da placare Gandhari, la quale possedeva notevoli poteri sviluppati grazie alla costante pratica dei principi dello yoga e di austerità. E' bene ricordare che quando aveva saputo che colui che sarebbe divenuto suo marito era privo della vista, Gandhari si era bendata gli occhi e da quel giorno non aveva più voluto vedere nulla. Appena toccò il corpo di Duryodhana, la sua rabbia divampò, ma stranamente non reagì contro i Pandava. 

"Io non nutro alcun dubbio, o Krishna," disse la regina, "che tutto questo sia stato opera tua. Sei stato tu a volere questa guerra e questi morti, perchè avevi un piano in mente. E per ottenere ciò hai protetto i figli di Kunti e di Madri e condannato a morire i miei. Oggi, quindi, io so che se sono priva di figli lo devo a te e non ai Pandava, che hanno agito come strumenti nelle tue mani. Dunque se per le austerità compiute io ho il benchè minimo merito da riscuotere, lo userò per maledirti. Sappi che fra trentasei anni la tua famiglia e tutta la tua dinastia si autodistruggeranno, proprio come è successo a noi. E le donne del tuo casato piangeranno proprio come oggi vedi piangere noi." 

Solo un sorriso provenne dal volto meraviglioso del Signore. 

"Questa tua maledizione è in realtà una benedizione," rispose. "Solo la forza superiore di tante austerità avrebbe potuto distruggere i Vrishni, i quali sono invulnerabili a qualsiasi arma. Accolgo dunque le tue parole come un aiuto che mi hai offerto, allorchè io e i miei compagni dovremo abbandonare questo mondo." 

141 
L'incoronazione di Yudhisthira

Vidura, Sanjaya e Dhaumya completarono la preparazione per la cremazione dei caduti, e una lunga processione si avviò lentamente verso il Gange. 

L'orrore provato nei giorni dei combattimenti ora era uguagliato dalla pena che suscitavano le lacrime delle mogli, dei figli, dei padri, delle madri, degli amici e dei conoscenti che, dopo aver ritrovato fra le montagne dei cadaveri, i corpi dei loro cari andavano ora ad affidarne le ceneri all'abbraccio benedetto di madre Ganga. 

Un fatto però destò la sorpresa dei Pandava: Draupadi aveva appena terminato le esequie dei suoi cinque figli che Kunti celebrò personalmente le esequie in favore di Karna, il suo figlio segreto. La rivelazione della verità sortì un colpo tremendo su di loro, specialmente su Arjuna, il quale tutto avrebbe sospettato meno che il suo più odiato nemico fosse in realtà il suo fratello maggiore. 

Fu Narada Muni a consolarlo. 

"Non angustiarti per lui," disse il saggio, "e non ritenerti colpevole della sua morte. In realtà Karna è caduto vittima della storia della sua vita; ha espiato le numerose maledizioni ricevute durante tutto l'arco della sua esistenza." 

"Grande saggio," chiese Arjuna, "raccontaci le ragioni per cui nostro fratello Karna è dovuto finire in questo modo. Ora più che mai noi siamo interessati a conoscerlo meglio." 

E Narada narrò la storia della vita di Karna, lasciando tutti sorpresi e in ammirazione. Poi l'onorato saggio ripartì. 

Quel giorno stesso Yudhisthira fu incoronato imperatore, mentre Bhima veniva nominato yuva-raja. Si fece festa grande e tutti i dolori furono dimenticati. 

Subito dopo rientrarono ad Hastinapura, così da poter tranquillizzare la popolazione: una folla sterminata attendeva l'arrivo trionfale di Yudhisthira e dei suoi fratelli, che erano accompagnati dall'unico figlio di Dritarashtra rimasto in vita, il virtuoso Yuyutsu. 

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