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IL MAHABHARATA

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DRONA PARVA

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I timori di Yudhisthira

L'avvicinamento di Arjuna a Jayadratha non era comunque l'unico motivo di interesse della giornata, nè il Pandava era il solo a combattere tanto mirabilmente. A diversi chilometri di distanza Drona, dopo aver provocato sfaceli nella prima linea avversaria, si era avvicinato pericolosamente a Yudhisthira, il quale coraggiosamente ne aveva accettato la sfida. Ma quel giorno l'acarya, ancora eccitato dalla vista del combattimento di Arjuna, era veramente insuperabile, e in pochi istanti gli fu così vicino che potè saltare su di lui, proprio come fa un leone quando è sicuro di aver acciuffato una gazzella; ma proprio all'ultimo secondo provvidenzialmente arrivò Satyaki, che strappò via il figlio di Pandu dalle mani del nemico, mentre contemporaneamente rispondeva ai suoi attacchi. 

Drona aveva fallito ancora. Per di più molti bravi soldati avevano perso la vita per quel tentativo mancato. 

Tra le file dei Kurava c'era anche il potente Alambusha, che era venuto a Kurukshetra per un motivo particolare: quando era ancora in vita, Baka era stato un suo caro amico, così ora lui voleva vendicarne la morte uccidendo il responsabile. 

Lo scontro con Bhima fu titanico; poi intervenne Ghatotkacha. Dopo una furiosa lotta, il figlio di Bhima uccise Alambusha e lo scagliò a molte miglia di distanza, lasciando i Kurava sbigottiti e terrorizzati. Nessuno aveva mai pensato neppure lontanamente che l'invincibile rakshasa potesse perire in un duello. 

E proprio in coincidenza con la morte di Alambusha, i Pandava sentirono il suono di panchajanya e si preoccuparono. 

"Perchè Krishna sta suonando la sua conchiglia con tanto vigore? cosa è successo?" 

"Forse Arjuna è morto," disse qualcuno, "e ora Keshava intende prendere le sue armi e distruggere l'universo intero. Il suono di panchajanya sembra particolarmente terrificante, oggi." 

Anche Yudhisthira si preoccupò e chiamò a sè Satyaki. 

"Senti questi suoni; è panchajanya. Mi sembra di percepire un messaggio, una richiesta di aiuto. Forse mio fratello è in difficoltà e Krishna vuole farci capire che hanno bisogno di noi. Corri, amico mio, va ad aiutare il tuo maestro, o saremo perduti. Se Jayadratha non morirà prima del tramonto ogni speranza di vittoria diverrà vana." 

Satyaki non era molto convinto. 

"Arjuna da solo può distruggere l'intera armata dei Kurava," ribattè, "e inoltre con Krishna che lo guida non corre alcun pericolo. Al contrario noi ci stiamo esponendo a un grave rischio proprio in questo punto del campo, dove c'è Drona che vuole catturarti a tutti i costi. Finchè io sono qui tu sei al sicuro, ma se vado via, chi lo fermerà?" 

"Non hai tutti i torti," rispose il Pandava, "ma io sono certo che mio fratello ha bisogno di te, e che il suono di panchajanya voleva essere un messaggio per noi. Per quanto concerne Drona non devi temere, perchè Bhima è sempre nei miei paraggi e mi proteggerà. Vai, dunque, non tardare ancora." 

A malincuore il prode Yuyudhana ordinò al suo auriga, fratello di Daruka, di spronare i cavalli e di dirigersi verso l'interno delle file nemiche. 

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Satyaki, il grande eroe

Nonostante fosse esausto per il duro duello che aveva combattuto con Drona, Satyaki passò con relativa facilità il primo strato, che comunque era stato già quasi distrutto in precedenza da Arjuna. Fu il secondo vyuha a procurargli le maggiori difficoltà. 

Lì infatti incontrò ancora Drona, il quale preoccupato per la spaventosa scia di morte che Satyaki si stava lasciando dietro, gli si parò innanzi e lo sfidò di nuovo. Ma fu subito chiaro a tutti che quella era una sfida che avrebbe potuto anche durare in eterno: uno spettacolo cioè che senz'altro avrebbe deliziato gli esteti delle arti marziali ma che non avrebbe mai sortito alcun risultato pratico. I due si eguagliavano in tutto. 

Ma quando il Vrishni capì che l'intenzione dell'avversario era proprio quella, e cioè di bloccarlo in un duello senza fine e ritardargli così l'avanzata, lo salutò rispettosamente e fuggì via. 

Mentre Drona lo inseguiva, Satyaki evitò anche l'armata di Bahlika e penetrò in quella di Karna, che si vide colto di sorpresa da quella furia scatenata. In pochi minuti egli usciva dall'altra parte dello schieramento e si scontrava con l'amico Kritavarma, sconfiggendolo e umiliandolo. 

Durante la precipitosa avanzata di Yuyudhana, i Kurava furono privati di un altro celebre eroe, il re Jalasandha, che dopo aver perduto tutto il suo esercito di elefanti e dopo essere stato sconfitto in duello, venne colpito al collo da una freccia che lo decapitò. Così un altro nobile guerriero, amato e rispettato da tutti, non solo dai Kurava ma anche dai Pandava stessi, aveva perduto la vita. 

Approfittando del rallentamento che era stato necessario a Satyaki per sconfiggere il suo avversario, Drona, Duryodhana e Kritavarma si erano riuniti ed erano riusciti a raggiungerlo. Satyaki li guardò con aria di scherno. 

"Se voi credete di incutermi paura e di impedirmi di avanzare," disse, "vi sbagliate di grosso: non sapete che sono il discepolo di Arjuna e il cugino di Krishna? Grazie a loro nessuno può sconfiggermi." 

A quel punto un fiume di frecce infuocate scaturì dal suo arco, e seminò ovunque il panico; a stento riuscirono a salvare la vita di Drona, mentre Duryodhana fuggiva precipitosamente. Satyaki era veramente incontenibile: qualsiasi cosa gli si avvicinasse più di tanto, egli sembrava bruciarla come un enorme fuoco, forte proprio come il sole nell'ora del suo massimo splendore. 

Dopo aver ucciso anche il valoroso Sudarshana, riprese la sua corsa per avvicinarsi ad Arjuna. 

I Kurava si sentivano nel contempo spaventati, infuriati e in ammirazione: quel giorno il grande Satyaki stava offuscando persino la fama di Arjuna, causando maggiori scompigli dello stesso Pandava. Un battaglione di lanciatori di pietre provenienti dalle regioni montane del nord fu mandato contro di lui; ma Satyaki ruppe tutti i macigni mentre essi a mezz'aria gli saettavano contro e massacrò interamente quei bravi combattenti. Fu poi il turno di Dusshasana che volle tentare di fermarlo, ma quest'ultimo si salvò solo perchè Satyaki volle lasciarlo a Bhima. 

Messo in fuga anche quest'altro Kurava, Yuyudhana riprese la sua inarrestabile corsa. 

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Bhima nella scia di Satyaki

Ma quel giorno non furono solo i Pandava a sentirsi incoraggiati dalle gesta dei loro eroi; dall'altra parte Drona seminava morte e terrore al pari di Arjuna e Satyaki. Tra gli altri il grande maestro uccise alcuni dei fratelli di Drishtadyumna. 

Avendo assistito a quella terribile scena di morte, il generale Pandava si precipitò contro la sua vittima predestinata, assalendo Drona con tale furia ed efficacia da farlo cadere sul carro senza sensi. Era quella l'occasione che aveva atteso per tanto tempo: vedendolo svenuto, il figlio di Drupada decise di porre fine alla vita del venerabile guru, proprio come aveva profetizzato una voce al momento della sua nascita. Sguainata con furore la spada, gli si avventò contro con l'intenzione di mozzargli la testa; ma all'ultimo istante Drona si riprese, appena in tempo per difendersi ed evitare la morte. 

Con molta difficoltà riuscì a liberarsi di Drishtadyumna e a spronare l'auriga al fine di attaccare il battaglione del famoso re Brihadakshatra, uno dei fratelli Kekaya e uno degli alleati più fedeli dei Pandava. Quel monarca si guadagnò il plauso generali combattendo con grande ardore e bravura, ma alla fine, trafitto da una lancia, cadde morto sul terreno. 

Ma quel giorno non fu Brihadakshatra l'unico dei cari amici dei Pandava a soccombere per mano di Drona: il fortissimo Drishtaketu, figlio di Sishupala che al contrario del padre non era invidioso ma amava e rispettava profondamente Krishna e i suoi devoti, perì in un duello contro Drona e giacque senza vita al terreno. 

Sapendolo privo della protezione di Arjuna e Satyaki, l'acarya proseguì la sua corsa verso Yudhisthira, confortato dal pensiero di porre fine in tal modo a quell'immane massacro. E un altro maharatha, Kshatradharma, figlio di Drishtadyumna, cadde. 

Lo spettacolo di quegli uomini tutti forti come cento leoni che perdevano la vita per opera di un singolo combattente, fece perdere d'animo i soldati semplici. 

"Se Drishtaketu e altri come lui sono caduti, cosa possiamo fare noi?" dicevano molti. "Il sacrificio delle nostre vite è inutile. Ritiriamoci." 

Per fortuna dei Pandava, Bhima si trovava nei paraggi e seppe rincuorare i suoi uomini con parole colme di saggezza; poi personalmente si lanciò all'inseguimento del nemico, che nel frattempo era penetrato nelle zone più interne dello schieramento. 

Ma Yudhisthira non si preoccupava molto del pericolo rappresentato dal generale Kurava: il suo cuore era lontano, molto al di là delle linee nemiche, insieme ad Arjuna. Ma il tempo passava, e nessuno gli portava notizie di cosa stesse accadendo. 

"E' molto che non sento più la conchiglia di nostro fratello," disse a Bhima che intanto lo aveva raggiunto, "e non odo neanche panchajanya. Mi chiedo perchè... cosa starà succedendo? Egli sa che noi siamo in pensiero per l'esito della sua missione ed è strano che non trovi il modo di farci pervenire le ultime novità. Bhima, io non riesco a tollerare questa ansietà. Dobbiamo aiutarlo." 

"Fratello, Satyaki è partito da molto e probabilmente sarà già quasi arrivato. Non devi temere: Arjuna è invincibile perchè Krishna è con lui." 

"Ma perchè non ci fanno sapere qualcosa? Neanche di Satyaki si sa più nulla, e io temo per la sua vita. Ti prego, corri sulla loro scia e aiutali." 

Bhima non era affatto d'accordo. 

"Ma sai benissimo che Drona è in questi paraggi, e non desidera altro che tu rimanga privo di validi appoggi. Non mandarmi via. Tu hai più bisogno della mia presenza." 

"Non devi temere per me," rispose Yudhisthira. " Drishtadyumna è qui e mi soccorrerà nel caso di un attacco di Drona. Corri da Arjuna al massimo della tua velocità e aiutalo ad uccidere Jayadratha." 

A nulla valsero le sue insistenze: Yudhisthira aveva ormai deciso che Bhima doveva andare ad aiutare il fratello minore. 

Quando Drona lo vide partire di gran carriera, intuì le sue intenzioni e se ne allarmò: non era affatto conveniente avere tre guerrieri come quelli all'interno delle loro file. Cercò di sbarrargli la strada, ma Bhima, senza neanche degnarlo di uno sguardo, lo superò di slancio. 

Era spettacolare vederlo mentre sul suo carro da guerra sfrecciava nel mezzo dello schieramento nemico, brandendo la gigantesca mazza, che gli era stata donata da Mayadanava, e ruggendo come un leone infuriato. E quando il figlio di Vayu si vide venire contro un battaglione capeggiato da Dusshasana e da un certo numero dei suoi cugini, ghignò con aria quasi delirante e si scagliò contro questi ultimi con l'arma sollevata al cielo. In pochi minuti ne uccise sette. 

Spaventato da tanta furia e costernato per la perdita dei fratelli, Dusshasana si sentì disperato e si abbandonò a un pianto rabbioso: dall'inizio della guerra ne aveva già persi trentuno e ora questi altri sette li aveva visti morire lì, a pochi metri, senza che potesse essere in grado di fare nulla. 

Bhima invece era felice, radioso. Fin dalla prima mattinata, a causa delle esigenze tattiche, si era visto relegare nelle zone più lontane del fronte: il suo compito era stato quello di proteggere il fratello maggiore; ma non era il lavoro di copertura quello più adatto alle sue caratteristiche di combattimento, nè ovviamente quello che lo faceva sentire totalmente soddisfatto. Bhima amava le mischie, i furibondi corpo a corpo, i duelli con le mazze, le lotte contro gli elefanti. Ora dunque aveva cominciato a divertirsi, specialmente da quando si era scontrato col gruppo dei figli di Dritarashtra. 

Negli attimi che seguirono ne uccise altri tre. Vedendolo combattere in quel modo, per paura che quel pomeriggio stesso volesse assolvere al suo voto di sterminarli tutti, i Kurava fuggirono precipitosamente, senza alcun ritegno. 

Ma mentre combatteva ancora contro i figli di Dritarashtra, Bhima si era accorto che Drona stava sopraggiungendo. Così aveva messo in fuga i suoi nemici proprio al fine di affrontarlo meglio. 

Lo scontro tra i due fu titanico, ma fu stavolta fu l'anziano ad avere la peggio: quando ebbe il carro distrutto e i cavalli uccisi, dovette fuggire a piedi. E Bhima fu libero di penetrare con decisione nel cuore del vyuha nemico. 

Se il cammino di Satyaki era stato reso più agevole da Arjuna, quello di Bhima lo fu ancor più grazie a Satyaki stesso. 

Mentre i soldati Kurava fuggivano dal suo cospetto, ancora una volta Drona lo raggiunse, accompagnato da un battaglione di soldati ed elefanti. Sentendo il richiamo del guru, Bhima disse: 

"Vishoka, non ci siamo ancora liberati del nostro testardo maestro. Sembra che non ci voglia proprio permettere di raggiungere i nostri amici. Torna indietro e affrontiamolo. Poi proseguiremo la nostra corsa." 

Obbedendo agli ordini del suo signore, l'auriga si lanciò contro le truppe di Drona e ne tagliò in due lo schieramento. Quando il Pandava riemerse dall'altra parte, i Kurava si accorsero che questi si era lasciato dietro un enorme cimitero di uomini e animali. Bhima, allora abbandonò il carro, e correndo alla velocità di un fulmine si scagliò contro Drona. Ruggendo in modo terribile, afferrò il suo veicolo e prese a trascinarlo in giro proprio come un bambino si diverte con un giocattolo. Drona riuscì a saltare via prima che il suo carro venisse schiantato al suolo. A quel punto resosi conto del raptus di follia distruttiva che aveva invaso Bhima, scappò via portandosi dietro i soldati terrorizzati. 

La corsa di Bhima fu alquanto agevole: chiunque lo incontrava fuggiva per tenere salva la vita, nessuno osò fermarlo. Ed egli procedeva, attaccando i nemici che scappavano. Ovunque incontrasse lunghe file di cadaveri umani, cavalli, elefanti e detriti di carri e mucchi di armi sparse, comprendeva che Arjuna e Satyaki erano passati di là. 

Non trascorse molto tempo prima che raggiungesse Satyaki. I due si abbracciarono con trasporto. 

"Sono felice di vederti vivo e ancora pieno di entusiasmo e di forze," gli disse, "ma ora devo cercare mio fratello minore e Krishna; voglio vedere se stanno bene e se si stanno avvicinando a Jayadratha. Ci rivedremo presto." 

E continuò la sua marcia; ma aveva fatto solo poche centinaia di metri quando si ritrovò di fronte Arjuna impegnato in combattimento; i suoi nemici cadevano a migliaia e una luce di gloria brillava attorno al suo viso. Vedendolo sano e salvo, Bhima si sentì risollevato e immediatamente pensò bene di esternare la propria gioia con un possente grido di guerra che rimbombò a chilometri di distanza. Appena Yudhisthira sentì quelle grida leonine, capì che Arjuna stava bene e riprese la battaglia con l'animo rinfrancato. 

Per i Kurava la situazione si era fatta preoccupante: Arjuna, Krishna, Satyaki e Bhima erano da tempo penetrati all'interno delle loro file, provocando veri e propri disastri. Dovevano fare assolutamente in modo che nessun altro riuscisse ad arrivare da loro a portare ulteriori aiuti. 

Quando seppe da un messaggero ciò che stava accadendo sui fronti più avanzati, Karna mosse il suo esercito in direzione di Bhima e, raggiuntolo, lo attaccò violentemente. 

Un continuo flusso di frecce scaturì dal suo arco, e colpì il Pandava in più punti del corpo. Quando si accorse dell'odiato nemico, Bhima ruggì come un leone inferocito e trascurando il dolore delle ferite gli si scagliò contro. Era una scena singolare e veramente interessante: Karna combatteva con una grazia che contrastava vistosamente con la potenza e la furia dell'irruente avversario. Molto presto, però, dovette abbandonare il sorriso di scherno con il quale aveva aperto il duello ed impegnarsi al massimo; e allorchè Bhima lo assalì con la mazza, riuscì a malapena ad abbandonare il carro, appena pochi secondi prima che Bhima lo distruggesse completamente. Nel clamore della battaglia, Karna saltò sul veicolo del figlio Vrishasena e riprese la difficile lotta. 

"Guarda come il grande Karna si ritrae davanti a me," diceva intanto il Pandava al suo auriga, "guarda come riesce solo a fatica a parare le mie frecce. Non mi sembra quel gran campione di cui abbiamo avuto paura per così tanto tempo. Ora, a vederlo combattere, lo si potrebbe paragonare a una sedicesima parte di Arjuna." 

In effetti Karna stava combattendo senza il suo consueto ardore, ma Bhima non poteva conoscerne la ragione; egli aveva fatto una promessa a Kunti, le aveva giurato che avrebbe cercato di uccidere solo uno dei suoi figli. Di certo il fatto che Bhima fosse suo fratello minore non lo aiutava ad accrescere il desiderio di ammazzarlo, desiderio che invece nel passato lo aveva sostenuto nei momenti cruciali della sua vita. 

E mentre Karna era perso nei suoi pensieri, Bhima lo attaccò ancora e gli distrusse un altro carro, mettendolo in una situazione veramente difficile. Duryodhana, non lontano dallo scenario del furibondo duello, ordinò al fratello Dussala di correre in aiuto di Karna, ma questi dopo una furente battaglia fu ucciso, colpito a morte dalla mazza di Bhima. 

Duryodhana, che aveva assistito alla scena, era disperato: aveva perso un altro dei suoi fratelli. A che potevano servire le amare proteste che rivolse a Drona? Bhima era inarrestabile. 

"Se vuoi salvare le vite dei tuoi fratelli ed amici," gli rispose l'acarya, "e anche la tua, devi fermare questa guerra e fare pace con i Pandava. Non esiste altro modo." 

Duryodhana non rispose e tornò a combattere. 

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Il duello fra Bhima e Karna

Ma l'attacco che il Kurava lanciò a Bhima ebbe effetti disastrosi per lui; gravemente ferito, dovette ricorrere alle cure di esperti medici, i quali lo risollevarono dal dolore grazie all'applicazione di erbe miracolose. 

Tornato nel vivo della battaglia si trovò nelle vicinanze di Arjuna, il quale era momentaneamente solo, privo dell'apporto dei due fratelli Yudhamanyu e Uttamaujas. Volle tentare di isolare in modo definitivo il Pandava; ma sebbene Duryodhana fosse un possente guerriero, quei due erano veramente troppo forti per lui, così dovette rifugiarsi sul carro di Shalya. 

Nel frattempo lo scontro fra Bhima e Karna non era cessato, anzi era aumentato di intensità. Bhima non voleva perdere tempo, aveva troppa fretta di affiancarsi ad Arjuna per aiutarlo ad avanzare, e le provò tutte per liberarsi di quell'assillo. Ma Karna era sempre lì, non si ritirava di fronte a nessun attacco, per quanto veemente potesse essere. E non ritenendolo alla sua altezza, mentre il figlio del suta combatteva sorrideva e lo scherniva in continuazione. Questa cosa fece infuriare ancora di più il focoso Bhima, il quale raddoppiò gli sforzi e pressò Karna con violenza selvaggia, costringendolo a ritirarsi dal duello per qualche minuto. 

Quando tornò prepotentemente sulla scena, il sorriso di scherno non c'era più; ancora una volta era divenuto preda dell'ansia a causa della forza sovrumana del nemico. Lo scontro riprese, furente. 

All'improvviso un'immagine comparve davanti agli occhi di Bhima: ricordò distintamente quando Karna aveva detto a Draupadi: "scegli un altro marito fra noi, poichè i tuoi ora sono degli schiavi"; rammentò quanta sofferenza avevano dovuto patire tutti per colpa sua e decuplicò i suoi sforzi. L'attaccò che sferrò fu tale che Duryodhana temette per la vita dell'amico e fu costretto a mandare suo fratello Durjaya ad aiutarlo. Ma era evidente che mandare i suoi parenti stretti contro Bhima era l'ultima cosa da fare; prima Durjaya, poi Durmukha; in breve tempo ambedue giacevano al terreno senza più vita. 

Karna fu costretto a ritirarsi. 

Fu allora che cinque dei fratelli di Duryodhana, con il cuore pieno d'odio per l'assassino dei loro cari, si precipitarono in direzione del figlio di Vayu, e lo attaccarono ferocemente. Tra questi c'era il valoroso Durmarshana. Bhima, quando vedeva i figli di Dritarashtra, si trasformava radicalmente e il suo aspetto diventava una maschera di furia: sembrava il dio della morte incarnato: massacrati dalle frecce e dai colpi della mazza, tutti e cinque morirono. 

Nell'attimo in cui Bhima lanciava uno dei suoi ruggiti di vittoria, Karna venne a conoscenza dell'atroce fine toccata ai suoi amici. Radunò allora un nutrito gruppo dei fratelli delle vittime, tutti arrabbiati e assetati di vendetta, e si precipitò contro di lui. La battaglia fu piena di ardore, ma furono ancora i Kurava ad avere la peggio: investiti da un'incontenibile ondata di frecce, altri fratelli di Duryodhana furono scaraventati al terreno, sanguinanti, senza vita. E il conto salì a quarantanove. 

Ebbro di passione per quel voto che stava per essere assolto, Bhima lanciò nuovamente il suo grido di guerra. 

Karna era disperato, aveva le lacrime agli occhi: tutti quei cari amici erano morti per aiutare lui, quando stava per essere sopraffatto. Non poteva stare a guardare, doveva fermare quella furia scatenata. E raddoppiò gli sforzi, ma ancora Bhima si difese bene. 

Vedendolo combattere in quel modo, Arjuna, Krishna e Satyaki sorrisero a viso aperto: Bhima stava facendo miracoli, impegnando allo stremo il loro nemico più temuto e contemporaneamente sterminando i figli di Dritarashtra. Solo dopo una lunga battaglia Karna riuscì a vincere il duello, ma nel corso dei combattimenti Bhima era riuscito ad uccidere altri sette dei cento figli di Dritarashtra. Per uno solo ebbe parole pietose, Vikarna, suo amico e uomo equo. 

"Io ho giurato solennemente di uccidervi tutti," gli disse, "e per questo dovrò privarti della vita, ma mi dispiace perchè so che sei un uomo giusto; tu sei ben differente da quel diavolo di Duryodhana." 

E quando, dopo un aspro combattimento, Vikarna cadde ferito a morte, Bhima pianse sul suo corpo. 

Pure, infine, Bhima fu vinto e ridotto all'impotenza da Karna. Ma questi gli risparmiò la vita, memore della promessa fatta a Kunti; ma lo insultò pesantemente. 

Krishna osservava la scena, preoccupato. 

"Arjuna, guarda," disse, "Karna ha sconfitto e offeso il tuo valoroso fratello. Devi correre da lui, devi aiutarlo." 

Attaccato duramente da Arjuna, Karna preferì ritirarsi e Bhima potè saltare sul carro di Satyaki per riprendere le forze; e i tre maharatha, insieme, attaccarono i battaglioni guidati e difesi da Asvatthama e Karna. Frecce, lance, asce, coltelli, spade, pietre, dischi e centinaia di altre armi umane e celestiali furono visti guizzare in ogni direzione. Il risultato fu tremendo: il sangue e le membra mozzate divennero una visione solita. 

Kurukshetra era diventata un immenso cimitero. 

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Bhurishrava

Dopo un pò che l'affaticatissimo Satyaki combatteva a fianco di Arjuna, fu affrontato da Bhurishrava. 

Tra i due non correva buon sangue a causa di una rivalità di famiglia che risaliva a molti anni addietro, quando il nonno di Satyaki, Shini, era andato allo svayamvara in onore di Devaki e l'aveva rapita per darla in sposa al cugino Vasudeva. Somadatta, che desiderava sposare colei che sarebbe poi diventata la madre di Krishna, si era sentito offeso e danneggiato e aveva inseguito Shini per ucciderlo. I due avevano ingaggiato una furiosa battaglia durante la quale Somadatta aveva avuto la peggio. Nella concitazione Shini non aveva tenuto in considerazione il rango dell'avversario e lo aveva umiliato afferrandolo per i capelli e piantandogli il piede sul petto. 

Da quel giorno erano trascorsi molti anni, ma Somadatta non aveva mai dimenticato l'insulto subito e si era impegnato in severe ascesi grazie alle quali aveva ottenuto un figlio che in futuro avrebbe vendicato l'offesa dacendo la stessa cosa a un discendente di Shini. Il figlio era Bhurishrava. 

Ambedue erano perfettamente a conoscenza di quella vecchia storia e per molti anni non avevano desiderato altro che incontrarsi sul campo di battaglia. 

Quando Bhurishrava gli si lanciò contro, Satyaki capì che quel momento era arrivato. 

Dopo un combattimento tanto cruento da incutere paura persino ai più coraggiosi, il fortissimo Bhurishrava sfruttò a suo van-taggio il fatto che l'avversario fosse esausto e lo gettò in terra, facendogli perdere i sensi. Poi lo afferrò per i capelli e gli pose con forza il piede sul petto. 

"Mio padre è vendicato," disse a voce alta, "oggi ho messo il piede sul petto di un discendente di Shini. Ma io non mi fermerò qui. Io farò più di quanto fece Shini: oggi stesso, in questo preciso momento, io ti ucciderò." 

E sollevò la spada per decapitarlo. 

Nel frattempo Krishna, che ben sapeva della vecchia rivalità e di quanto in quel momento Satyaki fosse stanco e Bhurishrava forte, per tutto lo svolgersi del duello non aveva perso di vista i due. Perciò quando il duello stava per giungere a quella drammatica conclusione, Krishna si rivolse ad Arjuna. 

"Arjuna, guarda lì, il tuo amato discepolo Satyaki sta per essere sopraffatto da Bhurishrava. Sta per essere decapitato. Se non intervieni, perderemo il nostro più valoroso soldato e il più caro degli amici." 

Arjuna era perplesso, non sapeva cosa fare: intervenire in quel frangente sarebbe stato un atto chiaramente sleale, contrario ai più elementari valori delle leggi che regolano il comportamento degli kshatriya; e in più il virtuoso Bhurishrava non meritava un tale insulto. Ma quando vide quella mano destra che impugnava una pesante spada sollevarsi contro l'amico oramai privo di sensi, gli venne in mente il figlio Abhimanyu massacrato nelle più sleali delle circostanze; pensò a Duryodhana, a Karna, a Shakuni, a Dusshasana e a Draupadi, a quante sofferenze avevano dovuto sopportare a causa di persone che avevano perso ogni senso della rettitudine. Perchè proprio lui doveva porsi tanti scrupoli, ora che uno dei suoi amici più cari era in pericolo di vita? E mentre Krishna gli gridava di fare presto, una freccia scaturì da Gandiva che andò a staccare di netto quel braccio minaccioso. 

La spada e l'arto sanguinante caddero sul terreno. Un coro di disapprovazione salì dalle truppe Kurava. 

"Come è possibile che un atto del genere sia stato perpetrato proprio da lui, il paladino del dharma? Vergogna, Arjuna: dopo aver visto ciò, chi seguirà più le leggi di Dio?" 

Bhurishrava, mutilato, si girò per vedere chi fosse stato l'artefice di un atto così malvagio. 

"Arjuna, sei stato tu?" disse poi, "è mai possibile? Non capisco cosa ti abbia spinto a fare ciò. Io ho lealmente sconfitto Satyaki in duello e ho il diritto di ucciderlo, e tu non puoi intervenire alle spalle di un avversario in procinto di colpire. Hai causato una grave breccia nel dharma. La gente comune segue l'esempio dei grandi uomini. Però se tu ti comporti in questo modo, quanti osserveranno ancora le leggi sacre che finora hanno governato la nostra vita? Non hai paura che l'empietà invada i nostri regni? Credimi, questa ferita non mi dà alcun dolore, ma è l'averti visto agire in modo peccaminoso che mi sta causando le più grandi sofferenze. Non dovevi farlo." 

Gli astanti applaudirono quelle parole rette. Ma Arjuna lo guardò con occhi di fuoco. 

"Tu che sai dire parole così giuste, dov'eri quando Abhimanyu fu ucciso a tradimento? e quando Duryodhana ha cercato di bruciarci vivi a Varanavata, perchè non sei intervenuto in nostra difesa e non hai dichiarato guerra ai Kurava in nome dei santi precetti del dharma? E poi ricordo che tu eri presente quando, dopo averci derubato di tutte le nostre proprietà con un vile trucco e facendo leva sulla rettitudine di Yudhisthira, i Kurava hanno oltraggiato nostra moglie; ma non ho sentito neanche una parola uscire dalla tua bocca, quel giorno. Hai dimenticato il momento in cui il vile Dusshasana ha cercato di spogliare Draupadi di fronte a tutti? Non hai parlato in tono indignato, allora, perchè non ti conveniva inimicarti il tuo più potente alleato. E giacchè non sei intervenuto in quei frangenti e in tanti altri, perchè ora chiacchieri tanto? No, tu oggi non hai diritto di dire nè di accusarmi di nulla." 

A quel durissimo discorso, Bhurishrava chinò la testa e riflettè su ciò che aveva ascoltato. Poi, senza aggiungere altro, decise di abbandonare il proprio corpo. Così raccolse dell'erba kusha e la sistemò con attenzione sul terreno; poi, su quel cuscino sacro, si sedette assumendo la posizione del loto e iniziò a regolare il respiro e i pensieri. Così, attraverso la pratica dello yoga, Bhurishrava si preparava a lasciare questo mondo e i suoi drammi. 

Ma un altro atto empio stava per concretizzarsi: Satyaki, stordito, sentendosi libero dalla stretta del nemico, si rialzò di scatto, afferrò da terra una spada e senza riflettere gli si avventò contro per ucciderlo. 

A nulla valsero le grida di Arjuna che gli diceva di non farlo: con un colpo di spada tagliò la testa all'anziano eroe. Non fu un atto applaudito da nessuno, il suo. 
119 
La morte di Jayadratha
Vedere morto Bhurishrava finì di scoraggiare tanti soldati e ancora una volta il panico si diffuse tra le truppe Kurava; altri, al contrario, indignati e assetati di vendetta, sentirono gli animi infuocarsi. Karna, accompagnato dalle sue truppe, arrivò come una furia e gridando minacce all'indirizzo di Satyaki si lanciò all'attacco. La battaglia si riaccese. 

Da parte sua, Krishna non era affatto contento di quella recrudescenza del combattimento. 

"Arjuna, il sole è vicino all'orizzonte," disse, "e questo pomeriggio non hai tempo di affrontare il figlio del suta. Inoltre non dimenticare che egli ha ancora con sè la shakti di Indra. Quell'arma è incontrastabile e non ti conviene affrontarlo finchè ne sarà in possesso. Andiamo via di qua, e concentriamo i nostri sforzi su Jayadratha." 

Lasciando a Satyaki, oramai rinfrancato, il compito di affron-tare Karna, i due uscirono dal teatro degli scontri. Rendendosi conto che Arjuna si stava avvicinando troppo al suo obiettivo e vedendo anche che i raggi del sole stavano perdendo la loro intensità, per cui la giornata sarebbe finita presto, i soldati Kurava si misero a mò di scudo davanti a Jayadratha e combatterono con grande impegno, anche a costo della loro stessa vita. Era la loro unica speranza di vincere la guerra. 

Oramai il sole era a pochi centimetri dall'orizzonte, in pochi minuti sarebbe tramontato. 

E mentre il carro sfrecciava in direzione di Jayadratha, Krishna riflettè: in quel modo non ce l'avrebbero mai fatta, dovevano tentare di distrarre i soldati e attaccare il nemico a distanza, in modo da evitare anche un duello contro di lui. Così risolse di chiamare la sua arma personale, il sudarshana, e gli ordinò di oscurare il cielo. Quando il disco divino si pose fra i soldati che popolavano la piana di Kurukshetra e l'astro solare, tutti credettero che il giorno fosse finito. 

I Kurava esultanti di gioia, gridarono e batterono sui tamburi, provocando un frastuono assordante, mentre gli alleati Pandava gettavano in terra le armi per la disperazione: ora, in obbedienza al suo voto, Arjuna avrebbe dovuto togliersi la vita. 

Krishna in quel momento sorrise e richiamò il sudarshana: come per miracolo la luce tornò a rischiarare la vasta pianura. Tutti rimasero interdetti, sorpresi, non sapevano cosa fare. E in quell'istante Arjuna invocò la pashupata e scagliò una freccia in direzione di Jayadratha: staccata di netto, la testa del monarca saltò in aria. 

Ora, per poter proseguire nel racconto, è necessario che ci riportiamo un attimo indietro nel tempo, al giorno della nascita di Jayadratha. In quella ricorrenza una voce eterea era rimbombata nella sala: 

"Chiunque farà cadere la testa di questo bambino a terra, morirà con la testa spezzata in cento punti." 

Così Jayadratha era cresciuto con la consapevolezza di quella maledizione che gravava sopra i suoi nemici. Ben presto era diventato un guerriero valoroso. Ed era ancora nel pieno della sua giovinezza quando il padre aveva deciso di lasciargli il trono per ritirarsi a vita meditativa in un eremo proprio vicino Kurukshetra. Si sentiva sicuro dal fatto che il figlio era praticamente invincibile e che comunque chi l'avesse ucciso sarebbe morto immediatamente. 

Era naturale che Krishna non ignorava affatto quel risvolto della vita di Jayadratha e si era premurato di raccontarlo ad Arjuna, raccomandandogli di fare in modo che quella testa non toccasse il terreno a causa sua. Il Pandava, dunque, con un continuo rivolo di frecce, la mantenne in aria e la spinse fino all'eremo del padre di Jayadratha, facendola arrivare sul suo grembo. 

Quando l'asceta si svegliò dalla meditazione, alla vista della testa del figlio sulla sue ginocchia, gridando dal dolore e dal raccapriccio, la fece rotolare in terra. Colpito dalla maledizione celeste, fu egli stesso a morire, con la testa fratturata in cento pezzi. Ancora una volta, grazie all'intervento di Krishna, Arjuna si era salvato dalla morte. 

Davanti agli attoniti Kurava, il sole brillò per pochi istanti ancora, poi tramontò; e a Kurukshetra, quel tremendo teatro di morte, scesero le tenebre. 
Tutti tornarono nei rispettivi accampamenti. 

120 
La guerra notturna

I Pandava erano al colmo della gioia. Non solo Arjuna era riuscito nella sua impresa, ma molti grandi combattenti Kurava quel giorno erano caduti e per di più Drona non era riuscito a catturare Yudhisthira. La loro vittoria era stata fulgida su tutti i fronti. 

Duryodhana al contrario non riusciva a darsi pace: il suo esercito aveva subito perdite incalcolabili: era stato un massacro senza precedenti, la giornata più sanguinosa da che era cominciata quella guerra. Drona cercò di consolarlo, di calmarlo con parole colme di saggezza, ma non vi riuscì. Quanti fratelli e quanti amici carissimi erano periti quel giorno... quanti lutti. 

Gridava la sua rabbia. 

"Quei maledetti stanno massacrando le persone a cui tengo di più. Non posso più tollerare oltre uno spettacolo del genere. Questa notte stessa io ucciderò i Pandava o sarò ucciso da loro," urlò perdendo ogni controllo. 

E ordinò che la battaglia venisse ripresa immediatamente, alla luce delle torce. 

Quando vennero a sapere che i Kurava si stavano preparando per tornare sul campo, i Pandava ripresero le loro armi e organizzarono le truppe. Ne venne fuori uno scenario maestoso e suggestivo: metà dei soldati reggeva le fiaccole in mano, l'altra metà si preparava allo scontro. Ingoiati dalla penombra, gli kshatriya di Bharata-varsha, dimentichi dei vincoli familiari e del desiderio stesso di vivere, si lanciarono gli uni contro gli altri, e fu una devastazione indicibile. Nel buio era difficile persino distinguere gli alleati dagli avversari, e non di rado accadeva che i soldati dello stesso esercito si combattessero e si uccidessero tra di loro. 

Fu una carneficina impietosa. 

Quella notte Drona sfogò tutta la sua ira repressa e uccise senza pietà chiunque gli capitasse a tiro; ma anche Bhima non se ne stava di sicuro inerte, e quella notte uccise molti dei figli di Dritarashtra, mentre Satyaki se la vedeva con Somadatta, a cui quel giorno aveva ucciso due figli. In special modo quest'ultimo voleva vendicare la morte di Bhurishrava; ma non riuscì nel suo intento e, sconfitto, dovette ritirarsi. 

Duryodhana dovette subito pentirsi della sua impulsività: infatti quando aveva ordinato la ripresa delle ostilità, non aveva considerato Ghatotkacha e la sua armata di rakshasa, la cui forza con le tenebre decuplicava, cosicchè di notte combattevano molto meglio che durante il giorno. E infatti il figlio di Bhima, con i suoi possenti rakshasa, fin dall'inizio seminò il terrore e la morte. Il Kurava cercava qualcuno che potesse contrastarlo, ma l'unico che avrebbe potuto competere con lui nelle arti magiche era Alambusha, il quale era purtroppo caduto. Solo Asvatthama riuscì per qualche minuto a contenerne l'irruenza, ma poi anche il brahmana fu sconfitto e Ghatotkacha dilagò: per i Kurava fu l'incubo più atroce. 

Mentre su un fronte il figlio schiacciava sotto la sua potenza fisica i Kurava, in un'altra parte del campo Bhima non gli era da meno; anche i più coraggiosi tremavano solo a vederlo. E furono dieci i figli di Dritarashtra a perire miseramente. L'anziano e nobile Bahlika aveva tentato di proteggerli, ma quella notte Bhima non rispettava nessuno: in un lago di sangue anche questo nobile condottiero perse la vita. Alla vista del corpo esanime, il Pandava stesso pianse e gli rese omaggio. Non c'era persona che non amasse e rispettasse il bravo monarca. 

Tra i generali Kurava aleggiava una forte tensione. Nessuno sapeva più cosa fare contro il rakshasa e suo padre. Duryodhana chiamò il suo caro amico Karna e gli disse: 

"Credo proprio che abbiamo commesso un grave errore a tornare sul campo di battaglia durante la notte. Questi rakshasa sono dei maestri in questo tipo di guerra, e noi non sappiamo come difenderci. Guarda, lì c'è Arjuna: se tu lo sconfiggessi i nostri soldati riacquisterebbero entusiasmo e noi potremmo rilanciare l'offensiva. Tu solo puoi guidarci alla vittoria." 

Salutato il Kurava con un cenno della testa, il figlio di Surya entrò nella mischia e si diresse nel punto in cui stava combattendo il suo odiato nemico. E con il suo arrivo, quel furore notturno si infiammò ancora di più. 

Per un breve istante Karna riuscì ad arrivare alla distanza necessaria per iniziare un duello, ma appena Krishna si accorse del suo arrivo, con mosse sapienti guidò il carro lontano dalla scena di quelle aspre lotte: non dimenticava che egli aveva con sè la shakti di Indra, che costituiva l'unico vero pericolo per il suo amico. Non cessava un momento di pensare a come privarlo di quell'arma. 

Il migliore tra i Kurava nel combattimento notturno si rivelò l'esperto Asvatthama, il quale riuscì persino a sconfiggere e a ricacciare indietro Drishtadyumna. 

Drona, intanto, non aveva ancora dimenticato il suo voto di catturare Yudhisthira, e mise in atto le sue mosse più strategiche per raggiungere il fine prefissato; Yudhisthira, d'altro canto, diede parecchio filo da torcere all'avversario. Così, alle luci delle torce, si accesero numerosi duelli fra i più grandi eroi, mentre la polvere che si sollevava dal terreno rendeva il buio ancora più impenetrabile. I carri non sfrecciavano più alla velocità dei primi giorni, ma avanzavano faticosamente, ostacolati dalle lugubri montagne di cadaveri umani e animali e dai detriti dei carri che oramai si ammassavano l'uno sopra l'altro. 

A un certo punto Karna si trovò di fronte il prode Sahadeva; un aspro duello si accese tra i due e nonostante il valore del Pandava, riuscì vittorioso il figlio del suta. Ma, sebbene questi lo avesse totalmente alla sua mercè, non lo uccise. Attaccò invece le truppe violentemente: vedendolo arrivare con cipiglio minaccioso, i soldati dei Pandava si dettero scompostamente alla fuga, e neanche l'arrivo di Satyaki riuscì a rincuorarli. Il panico era totale. 

Arjuna non si trovava lontano da quella zona. 

"Krishna, amico mio," disse, "senti queste grida. Sono i nostri soldati che chiedono aiuto, e tu sai che solo Karna può provocare tanto clamore. Conducimi da lui, voglio affrontarlo." 

Ma Krishna non era affatto d'accordo. 

"No, è meglio che tu non vada," rispose. "Non è ancora arrivato il momento giusto per un confronto. Ma presto giungerà, non essere impaziente. Io credo che Ghatotkacha sia per ora la persona più indicata ad avversarlo. Mandiamo lui." 

Ghatotkacha e Satyaki non persero tempo e si diressero con decisione verso il luogo in cui si udivano le grida. 

121 
Ghatotkacha

A vederlo un vivo terrore prendeva chiunque si trovasse a doverlo affrontare. Era altissimo, l'enorme corpo massiccio e possente, il viso deformato in una perenne maschera mostruosa, e i capelli rossi come le fiamme. Ghatotkacha era impressionante, e come per tutti i rakshasa, di notte la sua forza e il suo valore erano aumentati. Era arrivato insieme a Satyaki, e Karna aveva dimostrato grande coraggio e bravura nell'affrontarlo senza alcun timore; ma si trovò presto in grande difficoltà di fronte alle arti magiche del nemico. Vedendolo in pericolo, Duryodhana chiamò il fratello. 

"Dusshasana, corri ad aiutare Karna. Non vedi? Il rakshasa usa magie nere, sortilegi malefici e tranelli che non consentono via di scampo. Non lasciamolo solo." 

Proprio mentre stavano discutendo su come controbattere Ghatotkacha, arrivò il figlio di Jatasura, Alambusha, omonimo del rakshasa ucciso dai Pandava nei giorni precedenti. Si presentò al cospetto di Duryodhana e lo salutò. 

"O re, mio padre Jatasura è stato ucciso da Bhima, e ora voglio vendetta. Lasciami combattere insieme a te, e ti aiuterò a conquistare la vittoria." 

Duryodhana, che non cercava altro che un rakshasa da mandare contro Ghatotkacha, gli diede il benvenuto. Poi, spiegata la situazione, disse ad Alambusha: 

"Tu che sei esperto nelle arti magiche, vai a sfidare il figlio di Bhima e comincia a prenderti la tua vendetta uccidendolo. Se riuscirai a sconfiggerlo, ci avrai risollevato da una grandissima ansietà e ti sarai guadagnato tutta la nostra gratitudine." 

E il giovane rakshasa corse a contrastare Ghatotkacha; era questi un esperto in ogni tipo di arte marziale, ma quella notte il figlio di Bhima sembrava inferocito. In men che non si dica gli mozzò la testa e ruggendo con la forza di cento leoni infuriati, la afferrò e la scagliò sul carro di Duryodhana. Il panico si diffuse tra tutti coloro che si erano trovati ad assistere alla scena. 

E dopo quel duello Ghatotkacha tornò a concentrarsi sul massacro delle truppe. Egli trasformò il suo corpo e lo dilatò fino a portarlo a proporzioni gigantesche; gli occhi nel buio brillavano come due comete. 

Quello spirito maligno assetato di sangue in pochi minuti distrusse interi battaglioni, decine di migliaia di soldati Kurava, compreso un altro re della stirpe dei rakshasa di nome Alayudha, da tutti considerato sino ad allora praticamente invincibile. Così la scena del lancio della testa tagliata sul carro di Duryodhana si ripeteva, terrorizzando, se è possibile, il monarca ancora di più. E intanto che si udivano urla ossessive, frecce, mazze, asce, e molte altre armi piovevano incessantemente sui Kurava senza che fosse possibile capire da dove provenissero. 

La paura aveva ormai paralizzato tutti: nessuno riusciva neanche più a parlare, e i soldati cercavano solo un posto in cui nascondersi. La battaglia sembrava essere giunta alla fine. Ma forse per i Kurava c'era ancora un altro tentativo da fare prima di deporre definitivamente le armi. Le loro ultime speranze, infatti, erano riposte in Karna. 

Così, senza perdere tempo, tutti si recarono da lui a implorare protezione. 

"Uccidi Ghatotkacha," gridavano anche i più grandi eroi Kurava, "per l'amor del cielo, uccidilo, anche a costo di usare la shakti. Fallo subito, o sarà questione di pochi minuti e il nostro esercito non esisterà più." 

Karna esitava. 

Il destino gli si accaniva di nuovo contro. Tutta la sua vita era stata contrassegnata da un'unica assurda sfortuna. Sebbene davanti al suo amico Duryodhana si vantasse di poter uccidere Arjuna anche senza l'ausilio di armi speciali, in realtà si rendeva ben conto che avrebbe avuto possibilità di vittoria solo se si fosse servito della shakti, che poteva essere utilizzata una volta sola. In tutti quei giorni non aveva fatto altro che aspettare l'opportunità per usarla contro Arjuna, ma all'ultimo momento l'occasione sfumava perchè Krishna conduceva il suo devoto da qualche altra parte. E ora c'era questo tremendo rakshasa... come sempre era stato Krishna a scatenarlo contro di loro durante la notte... e in quel momento, come un lampo di luce, capì quale intelligente disegno egli avesse escogitato per dare la vittoria ai suoi amici. Ma le sue riflessioni erano continuamente disturbate dal mostro che aleggiava sopra le loro teste sputando fiumi di fuoco, gettando lo scompiglio fra le truppe. 

Duryodhana gli si affiancò, ferito e sanguinante in più punti. Il suo sguardo era allucinato dalla paura. Mai prima di allora Karna aveva visto un'espressione simile. 

"Karna, non esitare ancora, lancia la shakti e uccidi questo rakshasa, o lui eliminerà tutti noi nel volgere di pochi minuti." 

Persino Duryodhana lo esortava a gettare via la shakti destinata ad Arjuna. Ed egli non potè resistere a quelle pressioni e all'atmosfera infernale che li aveva avvolti e li stava inesorabilmente ingoiando; estrasse il pugnale dalla custodia. 

"Io userò quest'arma infallibile e ucciderò il rakshasa," disse a Duryodhana, "ma sappi che le nostre possibilità di vittoria finiscono qui." 

Detto questo, recitò con rapita devozione alcuni mantra; poi la mano destra scagliò l'arma, che saettò verso il cielo come una folgore. Il pugnale colpì l'immenso petto di Ghatotkacha mentre questi era in volo sopra di loro e penetrò nel suo corpo; si udì un boato assordante. Colpito a morte, con il cuore trafitto, Ghatotkacha si espanse ancora e quando precipitò al suolo provocò l'ultima immane carneficina della sua esistenza, schiacciando sotto il suo peso migliaia di guerrieri. 

Il colosso finalmente era morto, i Kurava potevano tirare un sospiro di sollievo. Era costato molto, forse troppo, ma nessuno se ne rammaricò. Quel tremendo incubo notturno era finito, e tanto bastava. 

A quella scena i Pandava piansero lacrime amare. Solo Krishna, che aveva ordito tutto il piano, era felice: senza la shakti oramai Arjuna non correva più alcun pericolo. 

Il combattimento continuò per un pò, poi Arjuna concordò una tregua e gli eserciti si ritirarono. 

Molti non avevano più neanche la forza di tornare nel loro accampamento e si addormentarono lì, dove si trovavano. 

122 
Il quindicesimo giorno

Quel sonno ristoratore non durò a lungo. Dopo meno di due ore i primi bagliori di sole cominciarono a fare capolino timidamente, e poi sempre più decisamente inondarono il campo di battaglia di Kurukshetra. 

Tutti si levarono dai loro giacigli improvvisati e si guardarono attorno; solo in quel momento, guardando alla luce del giorno la piana, i Kurava e i Pandava rabbrividendo si resero conto di ciò che era accaduto durante la notte; le proporzioni del massacro avvenuto alla fioca luce delle torce ora risultavano immense, i cadaveri umani e animali misti ai detriti dei carri e delle armi formavano lugubri montagne rosse di sangue. Era una vista terrificante. Ma tutti irrigidirono i loro cuori e si prepararono al quindicesimo giorno di guerra. 

Tuttavia quelle armate, così grandi e piene di dinamismo appena pochi giorni prima, oramai si erano assottigliate di ben oltre la metà, e i soldati feriti e con le corazze frantumate in più punti sembravano vecchi fantasmi di gloria. Naturalmente anche Duryodhana, dal suo carro da guerra, aveva constatato l'incredibile carneficina notturna. 

"E' stata tutta colpa vostra" sbottò contro Drona. "Se tu, Bhishma, Shalya e tutti gli altri non aveste nutrito tutto questo amore per i Pandava, che vi ha sempre impedito di ucciderli, i miei fratelli e tutti questi cari amici e valorosi soldati non sarebbero morti. Voi non vi siete impegnati al massimo, altrimenti non saremmo ancora qui, ora. La battaglia sarebbe finita da un pezzo, e con la nostra vittoria." 

Drona non ribattè; guardò il Kurava con una smorfia di disgusto e preparò le milizie. 

Quando furono pronti, i due eserciti si mossero lentamente l'uno contro l'altro; la collisione segnò l'inizio delle ostilità. 

Quella mattina Drona si diede a sterminare un'innumerevole quantità di soldati: a quel punto, onde evitare ulteriori stragi, Virata e Drupada si unirono e si lanciarono contro di lui. Ma era trascorso poco tempo dall'inizio dei combattimenti, quando entrambi i generali dell'esercito dei Pandava venivano colpiti a morte. 

E attorno al luogo in cui era avvenuta tale tragedia si scatenò una furiosa battaglia. Tuttavia allorchè Drishtadyumna vide perire nel fuoco della rabbia dell'acarya oltre suo padre anche due dei suoi figli, fuori di sè per l'odio, prese un voto. 

"Che tutti i miei atti virtuosi, le mie austerità e i miei sacrifici non mi corrispondano alcun frutto, e che io mai possa vedere i pianeti celesti se oggi stesso non ucciderò Drona." 

E senza attendere oltre gli si lanciò contro, ma nello scompiglio causato dai numerosi duelli lo perse di vista e non riuscì a ritrovarlo. Fu Arjuna che lo intercettò: all'alba del quindicesimo giorno Drona incuteva più paura della morte stessa, nessuno riusciva a stargli di fronte per più di qualche secondo. 

Il figlio di Indra gli fu davanti e impugnò con fermezza il celebre arco Gandiva; e mentre questi lo usava molto abilmente con entrambi le mani, Drona invocò l'arma suprema, il brahmastra, con lo scopo di distruggere tutti i suoi nemici in un colpo solo. Una luce abbagliante scaturì dal suo arco e si diresse verso Arjuna. 

"Guarda," disse Krishna, "oggi l'acarya è talmente intossicato dalla propria potenza militare che ha perso il lume della ragione: l'arma che ha lanciato non avrebbe mai dovuto essere usata su questo pianeta, ma solo su Svarga. Fai presto, Arjuna, rispondi con un altro brahmastra, e salva il mondo intero." 

Così, consigliato dall'amico, Arjuna toccò dell'acqua per purificare il suo corpo e con rapita attenzione recitò le preghiere grazie alle quali invocò l'arma di Brahma. E una seconda cometa di luce si librò nell'aria e saettò in direzione dell'altra. Quando quei due soli si incontrarono a mezz'altezza, ci fu un boato assordante: la terra tremò e i mari si agitarono, e in tutto il mondo si avvertirono anomalie atmosferiche. Arjuna era riuscito a bloccare l'arma del maestro. 

123 
Drona cade

Il suo brahmastra era stato neutralizzato, ma Drona non desistette e cercando di evitare di scontrarsi con Arjuna, continuò l'attacco su un altro fronte. I soldati, stanchi, non riuscivano più a contenerlo e, credendo inutile il loro sacrificio, fuggirono lasciandolo solo. Krishna e Arjuna videro i loro soldati scappare in preda al panico ma non poterono intervenire. 

"Dobbiamo assolutamente fermarlo," disse Arjuna rivolgendosi a Krishna. 

"Sì. Oramai siamo a un passo dalla vittoria, ma finchè Drona vive non potremo mai averne la certezza. Egli è in grado di fare qualsiasi cosa su un campo di battaglia. Hai visto come ha ucciso Virata e Drupada? Quando diventa furioso, perde ogni controllo e diventa pericoloso. Dobbiamo eliminarlo senza attendere oltre." 

Su invito di Krishna, i Pandava si ritirarono dal combattimento per pochi minuti, allo scopo di concertare un piano. 

"Drona è come Bhishma, è assolutamente invincibile" disse Krishna. 
"Conosce tutte le tecniche di combattimento ed è in possesso di formidabili armi celestiali. Ma proprio al pari di Bhishma, ha un punto debole, e cioè non mette il cuore in questa guerra. Non ha mai accettato il comportamento di Duryodhana e quindi non è contento di essere qui a combattere contro di noi. Noi potremo ucciderlo soltanto come siamo riusciti con Bhishma, e cioè facendo in modo che egli stesso perda il desiderio di vivere." 

"Ma in molte cose è diverso da Bhishma," ribattè Yudhisthira, "soprattutto perchè ha ancora dei validi motivi per continuare a vivere. In questo non è come Bhishma." 

"In realtà vuole vivere ancora perchè è affezionato al figlio," intervenne Krishna, "ma se gli dicessimo che Asvatthama è morto sono sicuro che perderebbe ogni desiderio e Drishtadyumna potrebbe affrontarlo con la certezza di sopprimerlo." 

"Ma Asvatthama non è morto," obiettò Yudhisthira, "nè sembra semplice ucciderlo. E' un provetto combattente, e persino Arjuna in questi giorni ha trovato difficoltà nel duellare contro di lui." 

"Lo so. Asvatthama non può essere ucciso da nessuno. Ha ricevuto un tipo di benedizione che gli permetterà di godere di una vita lunga quanto quella di Brahma. Ma dire a Drona che il figlio è morto rimane l'unico modo per sconfiggerlo; pertanto, dovremo farglielo credere anche se non è vero." 

Yudhisthira indugiò: la cosa non gli piaceva affatto. Uno dei suoi principi più sacri era di non raccontare menzogne, e in tutta la sua vita non gli era mai capitato di doverne dire; per di più questa sarebbe stata piuttosto grave in quanto avrebbe implicato la morte del suo maestro. 

Nonostante fosse un consiglio proveniente da Krishna stesso, non riusciva a trovare il coraggio di fare una cosa simile. Yudhisthira era così puro che il suo carro non toccava neanche il terreno, proprio come i deva che mai poggiano a terra i loro piedi; eppure appena ebbe quell'indecisione nell'obbedire al Signore Supremo incarnato, le ruote del carro toccarono il terreno. Il Pandava era senza parole. 

Ma c'era qualcuno che aveva senz'altro meno scrupoli di lui. 

"Fratello, perchè esiti?" disse Bhima. "Non cadrai affatto nel peccato perchè avrai solo fatto giustizia. Non dimenticare che ha partecipato all'uccisione di Abhimanyu e ha ampiamente concorso alle nostre disgrazie. E' vero che è pur sempre stato il nostro guru, ma ora siamo su un campo di battaglia e non possiamo fermarci davanti a niente. Se tu non hai il coraggio di farlo, lascia che me ne occupi io." 

E senza attendere risposta, il possente figlio del deva del vento tornò sul campo di battaglia e abbattè con un colpo di mazza un elefante che si chiamava Asvatthama. Poi facendosi largo fra la calca dei combattenti, andò da Drona. 

"Ascolta," gli gridò, "Asvatthama è morto. Io l'ho ucciso con le mie mani." 

Drona rimase per un momento interdetto: conosceva la natura di Bhima e non credette alle sue parole. Raddoppiò invece i suoi sforzi nel combattimento e scatenò un vero inferno fra le file nemiche, seminando la morte ovunque si volgesse. Avendo notato che Drona usava armi celestiali, i deva, accompagnati da suo padre Bharadvaja, scesero su questo mondo e gli parlarono. 

"Drona, cosa stai facendo? perchè stai sprofondando nel peccato combattendo in questo modo? Sai che non è retto usare queste armi fra la specie umana. E allora tu che sei superiore a tutti questi uomini, perchè ti stai affannando tanto? Noi vogliamo che tu abbandoni questa guerra e torni con noi a Svarga." 

Nel sentire quelle parole dalla bocca del padre, il desiderio di vivere in questo mondo gli si affievolì. Ripensò alle parole di Bhima e il pensiero che suo figlio potesse essere morto spense quasi totalmente in lui la fiamma della vita. 

In lontananza vide accorrere Drishtadyumna, l'uomo che era nato per distruggerlo e sopra di sè scorse dei presagi che indicavano la sua morte. Allora si girò in direzione di Yudhisthira. 

"Dharmaputra, tuo fratello mi ha detto che Asvatthama è morto, ma io non gli credo. Bhima può mentire. Tu no. Sei sempre stato un uomo veritiero, e a te crederò ciecamente. Dimmi, dunque, è vero?" 

Yudhisthira esitò ancora, tenendo tutti col fiato sospeso; poi disse: 
"Sì, Asvatthama è morto." 

Sottovoce aggiunse: 
"Asvatthama, l'elefante..." 

Ma nel clamore della battaglia quelle ultime parole non furono udite da Drona. E in quel momento il grande e glorioso acarya, che aveva insegnato le arti marziali ai principi dei migliori casati, perso ogni interesse per la vita, osservò con disgusto tutto ciò che stava accadendo attorno a sè. Per anni aveva convissuto a fianco dell'empietà, del peccato; ora non voleva più partecipare a quel gioco. E mentre tutt'intorno scoppiavano aspri duelli, Drona si vide accanto Drishtadyumna. Rispose ai suoi attacchi, ma il suo cuore non era più lì. Rattristato e distratto, Drona continuava a combattere quasi automaticamente, anche contro Satyaki che lo aveva attaccato con violenza. Poi sopraggiunse anche Bhima che lo redarguì con parole aspre. 

"Tu sei stato il mio maestro e a te debbo tutto ciò che so," gli gridò. "Ma proprio per questo provo un disgusto maggiore nei tuoi confronti, poichè tu, un brahmana, invece di predicare la verità e la rettitudine, hai spartito il tuo tempo con i demoni, insozzando qualsiasi cosa buona fatta in precedenza. Vergognati." 

Fu a quelle aspre parole di Bhima che Drona cessò di lottare e depose nel suo carro le armi. 

"Soldati Kurava," disse, "da questo momento io non voglio più spargere sangue. Ditelo a Duryodhana, che io come molti altri gli ho sempre dato consigli volti al suo bene. Ma purtroppo non ha mai voluto accettarli. Io sono stanco e smetto di combattere. Ora comincerò a meditare e fra breve lascerò la mia manifestazione terrena. Quanto a voi, visto che il cieco Kurava non intende sentire ragioni, continuate a lottare valorosamente e meritatevi così i pianeti celesti." 

Detto ciò, si sedette sul carro e chiuse gli occhi, cominciando a fissare i suoi pensieri sul Signore primordiale Vishnu, purificando così la mente e il corpo. 

Erano trascorsi appena pochi minuti quando Drishtadyumna vide il suo nemico giurato seduto sul carro privo di armi. Incurante del fatto che era seduto nella posizione yoga e che fosse sprofondato nei pensieri del Supremo, gli saltò sopra come un grande rapace, e mentre tutti lo scongiuravano di non farlo, con un possente colpo di spada lo decapitò. Nell'istante in cui la testa fu separata dal tronco, tutti videro una scintilla di luce, l'anima spirituale, uscire da quel corpo e salire in cielo. 

Mentre amici e nemici lo rimproveravano, Drishtadyumna se ne stava ancora sul carro di Drona, con la spada in una mano e la testa nell'altra, inzuppato di sangue, simile a Yama stesso nell'atto di massacrare le entità viventi. La profezia si era avverata, il suo giuramento anche. 

Bhima fu uno dei pochi a esultare; con trasporto lo abbracciò e insieme danzarono in grande estasi. 

"E quando Karna e Duryodhana e tutti i suoi fratelli saranno morti, amico mio, danzeremo ancora, felici di aver liberato il mondo dall'assillo di questi asura." 

Bhima disse queste parole a Drishtadyumna con così tanta allegria che sembrava quasi che cantasse. 

124 
La rabbia di Asvatthama

La notizia che Drona era morto si diffuse velocemente in ogni parte remota di Kurukshetra. Ci volle del tempo prima che tutti ci credessero. E i Kurava si ritirarono disordinatamente dal campo di battaglia, lasciando i nemici padroni di quel tragico palcoscenico di morte. 

Duryodhana era stato tra quelli che aveva assistito impotenti alla scena. Non poteva crederci: l'invincibile Drona, il maestro di tutti i più grandi guerrieri del mondo, sul quale si fondavano le sue speranze di vittoria, era caduto a Kurukshetra per mano del figlio di Drupada. Fu un brutto colpo per lui. 

Su un fronte lontano, Asvatthama combatteva con ardore, ignaro della morte del padre. Quando vide l'esercito che si ritirava senza apparenti motivi, tornò agli accampamenti. Vide i generali riuniti e sul loro viso riconobbe una profonda tristezza. Ma nessuno ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. 

"O re, amico mio," disse allora rivolgendosi a Duryodhana, "cos'è accaduto di tanto grave? perchè le truppe si sono ritirate anzitempo? e perchè voi sembrate in preda alla disperazione?" 

Tuttavia sembrava che nessuno avesse intenzione di rispondergli. Infine, giacchè Asvatthama insisteva, fu Kripa a raccontargli tutto nei particolari. Appena apprese come i Pandava avessero tratto in inganno il padre con la falsa notizia della sua morte e come Drishtadyumna avesse approfittato della sua meditazione per colpirlo, la rabbia dell'impetuoso brahmana divampò come un fuoco. E giurò vendetta. 

"Cosa aspettiamo?" disse agli altri. "Torniamo subito sul campo e distruggiamo i nostri nemici, che si sono macchiati di un crimine senza precedenti." 

Galvanizzati dalla furia di Asvatthama, tutti ripresero coraggio e si riversarono ancora nella piana insanguinata, gridando come ossessi. 

Quando vide i nemici tornare, Yudhisthira si chiese come avessero fatto a riprendersi così presto da un colpo tanto duro come la morte di Drona. 

"Non è difficile capirlo," ribattè Arjuna. "Prova ad immaginare quale può essere stata la reazione di Asvatthama. Credo proprio che ora dovremo impegnarci a fondo; io lo conosco bene: quando è arrabbiato diventa molto pericoloso. E credo di sapere chi sarà oggetto principale della sua rabbia." 

E i Pandava si prepararono a ricevere Asvatthama e a proteggere Drishtadyumna. 

Nel frattempo i Kurava, guidati dal brahmana, procedevano minacciosamente: sembrava di assistere all'ira del mare in tempesta, allorchè i suoi flutti avanzano aggressivi, dando l'impressione di voler avvolgere nelle loro spirali di morte ogni cosa. In quel momento il cielo si oscurò, e tuoni ostili incupirono l'atmosfera, che vibrò quasi che un esercito di folletti maligni stesse per materializzarsi e scatenare una guerra demoniaca. 

Come per magia i Pandava scorsero all'orizzonte una massiccia muraglia prendere forma e apprestarsi rapidamente; pochi secondi dopo capivano che si trattava di armi micidiali che stavano per abbattersi su di loro, come se all'improvviso milioni di guerrieri stessero per scagliare contemporaneamente le loro armi. In pochi secondi fu il massacro; i soldati Pandava cominciarono a cadere a centinaia, martoriati in più punti del corpo. Davanti a quel misterioso portento, persino Yudhisthira fu colto dal panico. 

"Questa è sicuramente opera di Asvatthama," disse. "Egli vuole vendetta. Prima aveva stima di noi, e per questo combatteva tiepidamente. Ma dopo ciò che abbiamo fatto al padre, ci odia e ci distruggerà tutti. La guerra è persa, non abbiamo più speranze. Salvatevi, che tutti tornino alle loro case!" 

Ma il sorriso di Krishna tranquillizzò tutti. 

"No, non dovete temere. Io conosco bene quest'arma. E' la mia narayana-astra. Non può essere contrattaccata in alcun modo, e nessuno può resisterle; tuttavia non colpisce chi non ci si opponga. Al contrario aumenta la sua forza e la sua intensità quanto più si cerchi di resisterle. Prostratevi tutti, toccate il terreno con la fronte, rendetele omaggio e sarete salvi." 

Tutti fecero come Krishna aveva detto; tutti meno Bhima. E mentre gli altri si chinavano in quel tornado di fuoco, egli gridò, diventando paonazzo dalla rabbia: 

"Io non mi piegherò mai a nessuna arma, umana o divina che sia." 

Era una scena incredibile: in tutta Kurukshetra Bhima era l'unico rimasto in piedi, e ruggiva come un leone inferocito, mentre tutt'intorno a sè si scatenava la potenza della narayana-astra, che concentrò un vero vortice di fuoco intorno a lui. Coperto di frecce come un porcospino, Bhima era il ritratto stesso della gloria guerriera. Era uno spettacolo a vederlo. Per effetto delle armi che lo colpivano, tutt'intorno a lui si era sviluppato un tremendo calore che sembrava dover divampare a ogni momento. Rinfrescato dalla varuna-astra che Arjuna gli mandò per refrigerarlo, nonostante l'intenso dolore e il pericolo di morte, Bhima non mostrava alcuna intenzione di chinarsi a terra. 

Arjuna, Drishtadyumna, e altri suoi amici riuscirono a salvarlo spingendolo a forza in giù, appena in tempo perchè non fosse divorato dall'occhio del ciclone. La narayana-astra passò sopra di loro senza recare danni rilevanti. 

Avendo visto fallire quell'ennesimo tentativo, Duryodhana si sentì prendere dal panico e gridò: 

"Asvatthama, manda ancora quell'arma e distruggi gli assassini di tuo padre." 

"Non posso," rispose lui. "Come tutte le armi celestiali che sono proibite nel mondo degli uomini, la narayana-astra può essere usata una volta sola, o si scatenerebbe contro di noi e ci distruggerebbe tutti." 

La battaglia infuriò ancora, tremenda come mai in precedenza. Asvatthama le provò tutte per avere ragione sui suoi avversari, ma vide fallire ogni tentativo. Frustrato e disperato, uscì dal campo di battaglia e andò a cercare consiglio da Vyasa. 

"Questa guerra ha dell'incredibile: Bhishma e mio padre sono caduti, migliaia di guerrieri considerati invincibili sono morti e tutte le mie armi hanno fallito: perchè è potuto accadere tutto ciò? com'è stato possibile? come possono i Pandava vincere sempre?" 

Vyasa gli rivolse uno sguardo misericordioso, poi disse: 

"Questa verità mi è sempre stata chiara fin dal primo giorno, e non l'ho neanche taciuta. A tutti voi ho sempre detto che i Pandava non possono essere distrutti da nessuno perchè Krishna è con loro, ed Egli non è un uomo comune: è la Persona Suprema, il Dio che crea e distrugge tutto ciò che esiste. Il Suo volere è incontrastabile, ed Egli vuole che i virtuosi Pandava vincano. Perciò, senza ombra di dubbio, essi trionferanno. Ma tu sei uno kshatriya e il tuo dovere è di combattere. Torna sul campo, dunque, e agisci sempre secondo ciò che è giusto." 

La sera scese, e calò un velo pietoso su quell'ennesimo massacro. 

I sopravvissuti degli ultimi quindici tremendi giorni si ritirarono nelle proprie tende, esausti. 

Ma mentre i Pandava dormivano tranquilli, Duryodhana non riusciva a darsi pace.

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