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IL MAHABHARATA

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DRONA PARVA

102 
Sanjaya torna ancora dal campo
Raccontati i primi dieci giorni di battaglia, Sanjaya tornò a Kurukshetra. 

E altri cinque tremendi giorni trascorsero prima che il re cieco potesse avere altre notizie; l'ansietà lo corrodeva ogni istante di più, mentre pensava ai figli morti e agli altri che correvano pericoli letali per la potenza di Bhima; a Bhishma che giaceva su un letto di frecce; agli altri amici e parenti che potevano essere già morti. 

Poi Sanjaya tornò. 

"O re," disse con tono severo, "purtroppo non sono latore di buone notizie. Dopo cinque giorni di comando, dopo aver provocato il panico tra le file del nemico, ed aver mietuto tante vite quanto la stesso Kala, il tuo caro amico e maestro d'armi dei tuoi figli e nipoti, il brahmana Drona, ha abbandonato il suo corpo, con la testa tagliata dalla lama della spada del figlio di Drupada, il prode Drishtadyumna. E insieme a lui, durante questi terribili giorni, a causa dell'invidia di Duryodhana, molti altri valorosi eroi e anime pie sono morti, raggiungendo le destinazioni che meritano tali grandi personalità." 

A quella notizia Dritarashtra ebbe un violento malore e svenne. 

Riavutosi, con animo triste, parlò. 
"Come è potuta mai accadere una simile cosa? E' assolutamente incredibile. Al pari di Bhishma, anche Drona era praticamente invincibile. Allora, come sono riusciti i Pandava e i loro alleati a fare ciò? Sanjaya, la mia ansietà sta aumentando a dismisura. Io voglio sapere cosa è accaduto a Drona, ai miei figli e a tutti gli altri. Solo con la conoscenza dei fatti la mia angoscia potrà mitigarsi un tantino e io avrò qualche possibilità di provare un pò di sollievo. Per favore, narrami tutto nei dettagli." 

E Sanjaya iniziò il racconto. 

Quella dell'undicesimo giorno era stata un'alba triste per tutti; nessuno si sentiva vinto o vincitore nè riusciva a distogliere la mente dal pensiero del mahatma Bhishma disteso in mezzo al campo di battaglia, con mille ferite che gli laceravano le carni. Quella era anche la prima volta che i generali Kurava si incontravano per concertare le strategie di guerra della giornata senza di lui. 

Quando Duryodhana e i suoi fratelli entrarono nella tenda di Karna, lo trovarono indaffarato a prepararsi per scendere sul campo. Insieme compiansero l'anziano guerriero caduto per la loro causa. 

"Ora che egli giace senza potere più proteggere le nostre truppe," disse Duryodhana, "solo tu puoi darci il conforto della certezza della vittoria. Vieni con noi, dunque, e combatti come solo tu sai fare." 

"Non dovete rattristarvi troppo per lui," rispose Karna, "poichè l'anima non muore mai, e a seconda degli atti commessi durante la sua esistenza, dopo aver abbandonato il corpo ottiene la destinazione che merita. Bhishma è un'anima completamente pura e priva di qualsiasi contaminazione materiale, e quindi senza dubbio raggiungerà quei pianeti di cui sono degne le persone virtuose. D'altra parte non ci si poteva aspettare che sarebbe vissuto eternamente, giacchè ogni essere che nasce è destinato a perire. Da grande guerriero quale egli era ha preferito abbandonare il suo corpo onorando lo kshatriya-dharma." 

Dopo essere andato ancora a rendere omaggi a Bhishma, Karna entrò nella tenda dove i generali ogni mattina tenevano consiglio. 

Quella mattina si discusse della nomina del nuovo comandante in capo ed egli stesso indicò Drona come il più qualificato a guidare le armate Kurava. Accettato all'unanimità e acclamato dalle truppe, il maestro salì sul carro, splendente come un secondo Indra. Ma fu la vista di Karna in assetto da guerra che allietò maggiormente i soldati, perchè nessuno ignorava che l'acarya amava i Pandava quanto Bhishma. 

I soldati delle due fazioni si riversarono sulla piana di Kurukshetra e si posero ognuno nella propria posizione, secondo le direzioni dei loro comandanti. Quella mattina Drona organizzò l'esercito ai suoi ordini a forma di una shakata, che significa "ruota", e i Pandava di krauncha, un particolare tipo di uccello. 

Prima di ordinare l'attacco, Drona volle infondere coraggio e ottimismo in Duryodhana, che aveva visto piuttosto depresso. Gli disse: 

"Chiedimi un obiettivo particolare che deve essere ottenuto in questa guerra, e io lo farò per te." 

Il Kurava ci pensò un pò sopra, poi parlò: 

"Visto che anche tu come gli altri ti rifiuti di uccidere i fratelli Pandava, allora, se vuoi farmi piacere, prendi prigioniero Yudhisthira." 

Drona esitò un attimo a fare una simile promessa, poichè sapeva quanto potesse essere vile Duryodhana. 

"Lo farò solo se mi prometti solennemente che non lo ucciderai con metodi sleali." 

"No, non voglio uccidere Yudhisthira," ribattè lui, "non mi conviene. Se lo facessi, quale luogo sarebbe più sicuro per me, e chi mi proteggerebbe dalla furia di Arjuna e di Bhima? E poniamo che essi non riuscissero a vendicarlo, chi mai potrebbe fermare Krishna, il quale per una cosa del genere fatta a un suo puro devoto è capace di distruggere l'intero pianeta? No, io lo voglio vivo e prigioniero, voglio costringerlo a giocare un'altra partita a dadi con me e rimandarlo nella foresta. Solo così questa guerra potrà essere fermata." 

In cuor suo Drona maledisse la mentalità demoniaca di Duryodhana, che col tempo peggiorava sempre più. 

"Allora io prenderò prigioniero Yudhisthira, a patto che Arjuna venga allontanato dal fratello; altrimenti non mi sarà possibile. Sta a te, quindi, trovare il modo di farmi assolvere alla mia promessa." 

Duryodhana annuì e cominciò a riflettere su come tenere lontano Arjuna. 

Poco dopo le abili spie dei Pandava portarono la notizia di quel diabolico piano. Arjuna divenne furibondo per la grettezza che ancora una volta il cugino aveva dimostrato di avere, e affermò che non avrebbe lasciato il fratello solo neanche per un minuto. 

103 
L'undicesimo giorno

Quando Drona diede il segnale, le milizie, ancora numerose nonostante la tremenda carneficina dei dieci giorni precedenti, si scagliarono le une contro le altre. 

La prima parte della giornata fu caratterizzata dalla solita serie di fantastici duelli fra i maharatha. Sahadeva e Shakuni, Drona e Drishtadyumna, Vivimsati e Bhima, Bhurishrava e Shikhandi, Ghatotkacha e Alambusha: tutti questi grandi e celebri eroi ingaggiarono lotte feroci che deliziarono gli amanti delle arti marziali. Virata fu il primo ad incontrare Karna, e dovette subito riconoscerne le straordinarie capacità. Abhimanyu non fu da meno, mentre Bhima costrinse Shalya a salvarsi saltando sul carro di Kritavarma. 

Quella mattina un altro grande guerriero si mise in luce: Vrishasena, figlio di Karna, provocò serie preoccupazioni all'armata dei Pandava, finchè non venne contrastato efficacemente da Satanika, il figlio di Nakula. Ma nonostante l'apporto dei nuovi arrivati, fu l'esercito dei Kurava a soffrire maggiormente quella mattina. 

Drona, che era sempre attento ai movimenti dei Pandava, s'accorse che in quel momento Arjuna non era nelle vicinanze di Yudhisthira, e desiderando ardentemente porre fine a quella guerra sanguinosa, lo attaccò con veemenza. Il maggiore dei Pandava si difendeva valorosamente, ma l'acarya si rivelò chiaramente troppo forte per lui e solo l'arrivo provvidenziale di Drishtadyumna lo salvò dalla cattura. 

In quella zona del campo la mischia si fece furibonda tanto che enormi nuvole di polvere impedivano a tutti una chiara visione. Drona sconfisse prima Satyaki, poi i figli di Draupadi e infine Virata: dava l'impressione di essere inarrestabile. Ma quando sembrava che ormai nulla potesse più fermarlo dal catturare Yudhisthira, comparve Arjuna. 

"Tu sei stato il mio guru," gli gridò, "molto di ciò che so lo debbo a te e per questo ti porto il massimo del rispetto; ma non avresti mai dovuto promettere a Duryodhana la cattura di mio fratello. Difenditi contro di me, ora." 

Grazie alla guida eccezionale di Krishna, Arjuna combattè al pari di suo padre Indra quando questi ingaggiava lotte contro gli asura. Non riusciva a capacitarsene: Bhishma era caduto poche ore prima e Duryodhana insisteva con i suoi piani malvagi; neanche la morte di una persona così cara era riuscita ad indurlo a pensieri più vicini alle regole della moralità. Spinto da una furia incontrollabile e battendosi come mai aveva fatto in precedenza, riuscì a respingere l'attacco di Drona. 

Al tramonto il viso di Arjuna tradiva ancora i segni di una rabbia profonda, ma rivelava anche una malcelata soddisfazione; il maestro gli aveva reso la giornata difficile, pure era riuscito a contenere la sua azione. 

104 
Il voto dei Trigarta

Mentre i medici si prendevano cura dei numerosissimi feriti e gli stanchi soldati andavano a cercare in qualche ora di sonno un pò di sollievo dalle fatiche della battaglia, come ogni sera Duryodhana si lamentava amaramente. Stavolta toccò a Drona risollevare l'umore del Kurava. 

"Tu mi avevi promesso di prendere prigioniero Yudhisthira e nel pomeriggio ne hai anche avuto la possibilità, ma quando tutto sembrava già fatto ti sei fermato e l'hai lasciato fuggire: perchè? Se vogliamo vincere questa guerra devi catturarlo al più presto. Non possiamo più sostenere i massacri di Bhima, di Arjuna e di tutti gli altri." 

"Io ti avevo parlato molto chiaro," ribattè seccamente Drona. "Ti avevo avvertito che avrei potuto farlo solo se Arjuna non fosse stato presente. Ma oggi, proprio nel momento in cui mi sono trovato ad avere a portata di mano Yudhisthira, è arrivato Arjuna. Anche Yudhisthira è fortissimo e non posso catturarlo se contemporaneamente devo badare al potente figlio di Indra. Devi essere tu a fare in modo da tenerlo sempre lontano." 

A quella discussione era presente anche Susharma, che decise di intervenire. 

"Io e i miei fratelli abbiamo un vecchio conto da regolare con i Pandava e in special modo con Arjuna, e non cerchiamo altro che l'opportunità di combattere contro di lui. Stasera io e i miei quattro fratelli pronunzieremo il voto chiamato samsaptaka. Domani stesso, perciò, noi lanceremo una sfida ad Arjuna, a cui non potrà sottrarsi: si vedrà costretto a seguirci nella zona meridionale di Kurukshetra e ad affrontarci. Nel frattempo l'acarya potrà catturare Yudhisthira." 

Risollevato da quelle coraggiose parole, Duryodhana abbracciò con trasporto l'amico, il quale come aveva promesso, la sera stessa, insieme agli altri fratelli fece il solenne voto di uccidere Arjuna. Se così non fosse stato avrebbero perso la vita. Quel voto infatti precludeva qualsiasi possibilità di ritirarsi dal combattimento. 

105 
Il dodicesimo giorno

E ancor prima che le ostilità ricominciassero, i samsaptaka andarono verso il campo nemico, e chiamarono Arjuna a voce alta, lanciandogli la solenne sfida. Poi andarono a prendere posizione a sud. 

Quella novità impensierì molto Arjuna. Non era difficile intuire che quella mossa faceva parte di un piano per arrivare alla cattura di Yudhisthira, ma d'altra parte non poteva che accettare. Così andò dal fratello maggiore. 

"I Trigarta mi hanno chiamato. Io non posso lasciar correre una sfida come questa," gli disse. "Quindi per il momento non potrò difenderti dagli attacchi di Drona, ma il forte fratello di Drupada, il nostro caro amico Satyajit, che è forte e coraggioso come un leone, sarà sempre al tuo fianco e ti sosterrà nei momenti cruciali. Ma se l'acarya dovesse riuscire ad ucciderlo, devi giurarmi che fuggirai, che non lascerai che ti prenda prigioniero." 

Rassicurato dal fratello, Arjuna andò in direzione del fronte dove i Trigarta lo aspettavano. Quando videro che accettava quella sfida suicida, tutti si sentirono certi che la guerra sarebbe finita quel giorno stesso; chi avrebbe potuto fermare Drona nel suo attacco a Yudhisthira? E tutti sperarono in una sua azione veloce in modo da potersi salvare la vita. 

Nonostante i samsaptaka avessero un'armata numerosa e soprattutto composta da prodi combattenti, Arjuna non volle essere accompagnato dalle sue truppe; preferì andare da solo. 

Il feroce combattimento ebbe inizio. 

Per i Trigarta si mise subito male; Arjuna aveva fretta di tornare dal fratello e per quella ragione era particolarmente aggressivo. Due dei fratelli di Susharma, Subahu e Sudhanva caddero nel primo mattino, insieme a molti dei loro soldati. Arjuna combatteva con crudele sapienza: cosa questa che mandò in completa agitazione i guerrieri i quali, ritenendo oramai inutile il loro sacrificio, cominciarono a fuggire disordinatamente. Ma il coraggioso Susharma li rinfrancò e li guidò in ulteriori attacchi. 

Quando li aveva visti fuggire, Arjuna aveva sperato che la lotta fosse già terminata. Ma vedendoli tornare, al pensiero che in quel momento il fratello poteva correre grossi pericoli e che lui era impedito dal correre ad aiutarlo, sentì una vampata di furore salirgli fino al viso. Li attaccò con violenza, scagliando un'arma divina che fece perdere ai Trigarta il senso dell'orientamento al punto che avevano l'impressione che Krishna e Arjuna fossero ovunque. Scambiando così i loro commilitoni per i loro avversari, presero a combattersi fra di loro, e il massacro che ne scaturì fu immane. Non ancora soddisfatto, lanciò anche la vayavya-astra, che creò un terribile tornado, e non solo spaventò ma decimò ulteriormente i malcapitati Trigarta, che di nuovo si ritirarono disordinatamente. 
Allora Arjuna potè correre dal fratello. 

Ma cos'era successo nel frattempo? 

Drona, che sapeva che Arjuna avrebbe messo fine velocemente al suo impegno con i samsaptaka, si sforzò al massimo per arrivare a tiro di Yudhisthira al più presto, attaccando l'armata nemica con decisione. 

Vedendolo avvicinarsi, Drishtadyumna gli si parò innanzi, ma uno dei fratelli di Duryodhana, Durmukha, lo sfidò e lo condusse via dalla scena. Fu un bel duello: il Kurava era un valido guerriero, e il suo scopo fu raggiunto. 

Drona si era intanto avvicinato al Pandava e Satyajit lottò valorosamente fino alla fine, quando insieme a Vrika, un altro dei fratelli di Drupada, cadde ucciso sul terreno. Quando combatteva con decisione, l'acarya era veramente terribile. 

Nel vedere i due prodi guerrieri morti, attorno a Yudhisthira accorsero numerosissimi eroi che mai avevano conosciuto la sconfitta, eppure fu tutto vano: Drona quel giorno sembrava il distruttore in persona e seminava devastazione ovunque passasse. A quel punto, Yudhisthira si salvò fuggendo su uno dei cavalli del suo carro. Così, anche se non era riuscito a catturare Yudhisthira, il suo attacco veemente era servito a scoraggiare i soldati dei Pandava, che fuggivano appena si trovavano nelle vicinanze dell'anziano maestro. 

Dal canto suo Duryodhana, avendo visto Drona combattere in quel modo, si sentiva risollevato: un gran sorriso gli illuminava il volto mentre diceva a Karna. 

"Guarda come si batte il nostro maestro. Sono sicuro che oggi stesso i Pandava abbandoneranno ogni speranza di vittoria e si arrenderanno." 

"Non credo che basti questo per smorzare il loro coraggio," ribattè l'amico. "I Pandava hanno ben altre risorse." 

Duryodhana fu sorpreso e sconcertato per le parole dell'amico, il quale non aveva mai dato peso al valore dei cugini; tuttavia, in cuor suo, dovette convenire che quelle parole erano vere. Insieme ad alcuni dei suoi fratelli e a Karna si unì a Drona e l'effetto del loro arrivo fu devastante. 

Ma su un altro fronte Nakula e Sahadeva stavano letteralmente bruciando l'esercito Kurava, mentre Bhima compiva la sua solita opera di sterminio dell'armata degli elefanti. Ciò inquietò il grande Bhagadatta, che decise di intervenire. 

106 
La caduta di Bhagadatta

Buona parte della forza di Bhagadatta era rappresentata da Supratika, il suo elefante, enorme e fortissimo, dal temperamento feroce di un leone e che in combattimento non era mai stato costretto alla ritirata; da solo spargeva lo stesso scompiglio dell'amato padrone. Usando le zanne, la proboscide e le zampe e barrendo forte, proprio come Airavata, l'elefante di Indra, seminava il terrore ovunque passasse. 

Supratika sembrava provare un'antipatia particolare per Bhima. Infatti ovunque lo incontrava, lo caricava immediatamente. E allorquando gli furono vicini, lo attaccò, schiacciandone sotto le zampe il carro e i cavalli; Bhima riuscì a salvarsi solo per una frazione di secondo, tanto che nessuno lo vide saltare via. Così molti dissero: 

"Bhima è morto; Supratika lo ha ucciso!" 

Sentendo i soldati dare quella notizia, il re di Dasharna accorse con il suo elefante e riprese il duello che si ripeteva periodicamente quasi ogni giorno. Ma il risultato non fu diverso dalle altre volte: purtroppo fu costretto a ritirarsi. 

Poi Bhagadatta, vedendo che Satyaki non era lontano, spinse l'animale contro di lui, che si salvò per un miracolo di agilità. 

Quando ormai le voci che lo davano per morto erano diventate parecchio insistenti, dal polverone spuntò Bhima, con la mazza sollevata, deciso a distruggere il feroce animale. Questo colpo di scena fece tirare un sospiro di sollievo agli amici presenti. 

E i due si ritrovarono ancora di fronte; avvolto Bhima nella sua proboscide e sollevatolo da terra con l'intenzione di scaraventarlo in basso, l'elefante barrì con furia. Ma all'ultimo momento il Pandava riuscì a districarsi e a saltare giù evitando il mortale impatto con il terreno; dopodichè, con mosse agilissime, riuscì a schivarne le zampe e a colpirlo ripetutamente sotto la pancia, facendolo esasperare dal dolore. Bhagadatta intervenne e riuscì a cacciarlo via da quella posizione, ma poi vide Abhimanyu che correva contro di lui e dovette trascurare la sua battaglia contro Bhima. E Supratika riuscì a mettere in difficoltà persino il giovane figlio di Arjuna, che riuscì a salvarsi saltando giù dal carro. 

Così, mentre il suo elefante martoriava quei grandi generali, dall'alto il glorioso Bhagadatta, che per la sua grandezza d'animo e il suo valore era soprannominato "l'amico di Indra", massacrava i suoi nemici con lance e frecce. Quei due sembravano invulnerabili, nessuna arma sembrava incutere loro reali preoccupazioni. 

Durante quei momenti Arjuna tornava dal fronte dopo aver messo in fuga i samsaptaka. A distanza sentì i clamori del terribile combattimento. 

"Krishna, amico mio, ascolta questi rumori e queste grida di paura. Questi possenti barriti appartengono a Supratika, l'elefante del re di Prajyotisha, Bhagadatta. Io conosco bene entrambi. Quando sono entrati nel vivo della battaglia con animo eccitato, diventano praticamente invulnerabili e capaci di provocare scompigli inconcepibili. Le nostre truppe che sono in quella zona stanno correndo un gravissimo pericolo. Dobbiamo affrettarci chè potrebbero sterminarle. Credo proprio che oggi purtroppo saremo costretti ad uccidere l'anziano e nobile guerriero." 

Krishna spronò i cavalli alla loro massima velocità. 

Giunti nelle vicinanze, Arjuna era sul punto di invitare Bhagadatta a iniziare un duello contro di lui, quando furono raggiunti dai samsaptaka, riordinati da Susharma. Preoccupato per la sorte del fratello, del quale non aveva più avuto notizie e per i danni che Bhagadatta avrebbe potuto procurare, Arjuna si trovò davanti a un dilemma: accettare o no la sfida? Consigliato da Krishna, il Pandava usò la vajra, la micidiale arma preferita da Indra, con la quale ottenne un effetto spaventoso sulle truppe nemiche. Ferito Susharma, ucciso un altro dei suoi fratelli e decimati i suoi soldati, Arjuna proseguì la corsa verso il nemico. 

Quando gli alleati lo videro arrivare, lo salutarono con robuste grida di gioia, sicuri che ormai il pericolo rappresentato da Bhagadatta sarebbe stato scongiurato da quest'ultimo. Ovviamente l'umore dei Kurava subiva invece un forte calo. 

Dopo essersi velocemente fatto il vuoto attorno, il Pandava si scagliò contro Bhagadatta. 

Il duello fra i due fu eraviglioso, avvincente, davvero spettacolare. A un certo punto, viste fallire ogni arma, il re di Prajyotisha, inferocito, prese il bastone che solitamente usava per guidare l'elefante e, pronunziato il mantra di Vishnu, lo scagliò contro l'avversario; quando tutti videro l'arma guizzare nell'aria con la velocità e la potenza di un fulmine, dissero: 

"Arjuna è morto." 

Ma all'ultimo istante Krishna si pose nella traiettoria dell'arma che gli si conficcò nel petto, proprio dove aveva il meraviglioso gioiello kaustubha: appena ebbe toccato il corpo del Signore, il bastone si trasformò in una ghirlanda di fiori, che parve addirittura aumentare la sua grazia e la sua gloria. Arjuna era salvo, ma leggermente contrariato. 

"Krishna, perchè l'hai fatto? Tu non dovevi prendere parte attiva al combattimento, così hai promesso," sembrò rimproverarlo. 

"Forse non avrei dovuto farlo," rispose Krishna sorridendo, "ma quest'arma una volta apparteneva a me. Inoltre prima di lanciarla, Bhagadatta me l'aveva offerta; quindi è più che giusto che io ne abbia ripreso possesso. Solo per sbaglio il re di Prajyotisha era entrato in possesso di quest'arma micidiale, che avrebbe potuto uccidere chiunque, te compreso. Ma ora che se n'è impulsivamente privato, lui e Supratika sono diventati vulnerabili. Ora puoi ucciderli." 

E il duello infuriò ancora, terribile anche solo a guardarsi. 

Cogliendo un momento adatto, Arjuna impresse tutta la sua forza su una freccia e la scagliò contro la testa di Supratika, penetrandola. Quel colpo provocò un rumore simile a un tuono e abbattè il maestoso animale, che cadde senza vita sul terreno. Rapidissimo Arjuna, presa una freccia con la punta a mezzaluna, la mirò al petto di Bhagadatta e lo colse in pieno. Il prode guerriero cadde morto, accanto al suo elefante. 

Vedendolo oramai esanime, Arjuna scese dal carro e rese i suoi omaggi al nobile monarca. 

La morte di Bhagadatta sortì un colpo durissimo sul morale dei Kurava, che sbandarono vistosamente. 

Sull'onda dell'entusiasmo tratto dalla vittoria, Arjuna tornò al centro del campo di battaglia, dove fu intercettato da due dei figli di Shakuni. In pochi minuti ambedue giacevano in una pozza di sangue. 

Con le lacrime agli occhi per quella subitanea e imprevista tragedia Shakuni, desideroso di vendetta, accorse. Ma potè resi-stere ben poco tempo di fronte al Pandava, prima di essere costretto a una fuga precipitosa. In quella vasta area si sentiva solo il suono acuto della corda di Gandiva e il sibilo delle sue frecce che fendevano l'aria. 

Vedendolo in quello che sembrava uno stato di grazia guerriera, Bhima, Satyaki, Drishtadyumna, Abhimanyu, Nakula, Sahadeva, Shikhandi e i figli di Draupadi lo raggiunsero e la distruzione causata da quei rinforzi diviene inenarrabile. 

Vedendo quel gruppo di eroi riunito nello stesso punto del campo, Drona pensò che la situazione si stava facendo troppo pericolosa per loro, e cercò di dividerlo. Ma Drishtadyumna riuscì a ricacciarlo indietro. 

Nel corso di quei combattimenti, un altro grande amico dei Pandava, il virtuoso Nila, principe di Mahishmati, perse la vita per opera di Ashvatthama. 

La morte di Nila rattristò e rese furiosi i Pandava, che lanciarono un attacco in massa, insostenibile per i Kurava. Nel caos totale che ne conseguì i soldati non riuscivano a distinguere i nemici dagli alleati; era persino impossibile capire cosa stesse facendo l'avversario del momento. 

Al tramonto Arjuna e Karna, ritrovatisi di fronte, ingaggiarono un delizioso duello, che dovette essere interrotto a causa dalle tenebre della sera. Fu Drona a dare il segnale della ritirata. 

Era stato un giorno terribile, molti bravi guerrieri erano caduti; ma colui che aveva impressionato maggiormente era stato Arjuna. Aveva decimato i samsaptaka; era riuscito a eliminare Bhagadatta e il suo elefante; da solo aveva distrutto interi battaglioni di impavidi soldati: nell'accampamento dei Kurava si parlava solo di lui. Duryodhana era sconvolto per quello che aveva visto. Così Drona cercò di pacificarlo. 

"Non temere," gli disse. "Domani sarà il nostro giorno. Credo che organizzerò i nostri eserciti nella più impenetrabile delle formazioni: forse la chakra-vyuha, oppure addirittura la padma-vyuha. Così nessuno riuscirà a penetrare nelle nostra file e se Arjuna sarà allontanato di nuovo, ti prometto che catturerò Yudhisthira. Ma è fondamentale trascinare via sia lui che Krishna, perchè entrambi conoscono l'arte di penetrarle, e se saranno presenti tutto per noi si risolverà in un disastro." 

Susharma, nonostante fosse ancora sofferente per le ferite che Arjuna gli aveva inferto, volendo mantenere fede al giuramento fatto il giorno prima, coraggiosamente si dichiarò pronto a sfidare il Pandava fino a che fosse stato vivo uno solo dei Trigarta. 

Quella notte Duryodhana dormì tranquillamente, sperando che l'indomani sarebbe stato l'ultimo giorno di guerra. 


107 
Il tredicesimo giorno - Abhimanyu
Il tredicesimo giorno della più catastrofica guerra che si sia mai combattuta corrispondeva al terzo da quando Bhishma era caduto e da che Drona aveva assunto il comando. Il luogo sacro di Kurukshetra, ove in passato avevano vissuto tanti asceti santi e pacifici, era diventato un immenso cimitero; il cielo sovrastante era pieno di avvoltoi, e durante la notte lupi e iene lo invadevano per cibarsi dei cadaveri. 

I Trigarta furono i primi a muoversi: chiamando Arjuna a voce alta, si diressero verso il versante meridionale e questi, a malincuore, dovette muoversi rapidamente sulla loro scia. Come lo vide allontanarsi, Drona impartì le istruzioni per l'organizzazione dell'impenetrabile e complicatissima padma-vyuha, secondo la quale gli eserciti si sarebbero disposti nella forma di un gigantesco fiore di loto. 

I Kurava attaccarono per primi. 

Privi dell'appoggio di Arjuna, i Pandava soffrirono terribilmente per gli attacchi di Drona e sebbene tentassero strenuamente di fare breccia nella complicata formazione avversaria, a nulla valsero tutti i loro sforzi. Visto fallire ogni attacco e visti i suoi battaglioni decimati dalle ondate degli assalti nemici, Yudhisthira si allarmò: se fosse andata avanti in quel modo, il suo esercito sarebbe stato distrutto prima di sera. Rimpianse di non poter disporre del fratello, che sarebbe stato impegnato a lungo contro l'ostinato e arrabbiato Susharma e riflettè su cosa si poteva fare. Al mondo c'erano solo quattro uomini in grado di penetrare il contorto fronte della vyuha: Krishna, suo figlio Pradyumna, Arjuna e Abhimanyu, e in quel momento era disponibile solo quest'ultimo. Ma, per quanto fosse valorosissimo, il nipote era giovane, e ancora inesperto, per cui Yudhisthira non sapeva decidersi se mettere la sua vita a repentaglio. Infine, non tollerando ulteriormente lo sfacelo che Drona stava causando, fece chiamare Abhimanyu. 

"Vedi la padma-vyuha del nostro acarya? " gli disse. "All'infuori di te, in questo momento nessuno di noi è in grado di creare un varco che possa permetterci di combattere alla pari. E guarda cosa sta succedendo: tutti i nostri attacchi svaniscono come bolle di sapone contro le loro difese, mentre essi provocano scompigli fra le nostre truppe. Se si continua così, questa giornata diverrà l'ultima per noi. Io so che tu conosci l'arte di penetrarla. Fallo, dunque, e salvaci da questa terribile situazione." 

Abhimanyu esaminò lo schieramento nemico e riflettè con gravità. 

"Sì, posso riuscirci, ma c'è una cosa che devi sapere. Io sono stato istruito fin da bambino da mio padre e da Krishna sull'arte di spezzare la padma-vyuha, e ciò non mi comporta particolari difficoltà; tuttavia non ho ancora imparato ad uscirne. Come farò, quindi, a sopravvivere quando mi ritroverò solo all'interno della formazione nemica?" 

"Non preoccuparti per questo," rispose Yudhisthira, "perchè non sarai isolato; l'idea è di penetrare in forza dentro le file nemiche e creare lo scompiglio. Appena tu avrai creato una breccia, i più forti tra di noi ti seguiranno e ti aiuteranno. Bhima, Nakula, Sahadeva, Drishtadyumna, Drupada e centinaia di altri eroi ti saranno accanto ogni istante." 

Nonostante il rischio evidente che comportava la missione, gli occhi del ragazzo appena sedicenne brillarono dalla contentezza: penetrare nella padma-vyuha era sempre stato il gioco più eccitante della sua infanzia, e da sempre aveva sognato di farlo con un vero esercito. 

Spronato l'auriga che al contrario del padrone si sentiva piuttosto agitato, rapidamente il carro sfrecciò in direzione dell'esercito avversario, seguendo un tragitto studiato migliaia di volte. 
108 
Jayadratha chiude la breccia
Brillante come una folgore e provocando tuoni per l'impatto col terreno, il carro di Abhimanyu saettò verso le milizie Kurava; un'impressionante processione di eroi lo seguiva da presso. E come facilmente un coltello penetra nel burro, sotto gli occhi dell'ammirato acarya, il giovane figlio di Arjuna miracolosamente entrava nella vyuha, causando un effetto simile a un'esplosione. In pochi secondi il prodigioso ragazzo si lasciò dietro una scia di morte e distruzione. Rapidissimo, Duryodhana tentò di impedirgli l'ingresso, ma fu salvato a stento da Drona. 

In pochi istanti Abhimanyu era già arrivato nel cuore della padma-vyuha. Karna, Shalya, Bhurishrava e Dusshasana lo affrontarono, ma furono malamente sconfitti e costretti alla ritirata. I soldati, mentre si davano alla fuga, gridavano: 

"Non si può combattere contro Abhimanyu. Egli è una terribile combinazione tra Krishna e Arjuna. Cosa possiamo fare noi contro di lui?" 

E la confusione causata da combattenti e fuggitivi si fece totale. Mentre lottava un sorriso leggiadro illuminava il volto di Abhimanyu: intanto davanti a lui i Kurava cadevano a migliaia. 

Drona e Kripa ebbero frasi di ammirazione per la sua classe straordinaria; ma Duryodhana, allorchè si accorse che gli acarya si erano soffermati a lodare il figlio di Arjuna invece di attaccarlo, divenne furibondo. 

"E'colpa vostra se Abhimanyu è riuscito a entrare," gridò. "Se fosse stato qualcun altro, voi non glielo avreste permesso, ma siccome amate troppo Arjuna e suo figlio avete fatto sì che la nostra formazione fosse penetrata. Dobbiamo ricacciarlo indietro, o per noi sarà un disastro." 

Ed egli stesso si lanciò contro il ragazzo. Tuttavia, dopo pochi secondi, ferito gravemente dovette fuggire per salvarsi la vita. 

Ad un certo punto, mentre spargeva il terrore e la morte nelle file nemiche, Abhimanyu si accorse con costernazione di essere solo, che i suoi zii non erano riusciti a seguirlo. Cos'era successo? 

Avendo visto Abhimanyu avvicinarsi a velocità vertiginosa, Jayadratha ne aveva intuito le intenzioni così, appena aveva visto che il ragazzo era scomparso tra le file dell'esercito Kurava, aveva guidato le sue truppe nella breccia che si era creata, e aveva impedito il passaggio agli eroi Pandava. La cosa aveva dell'incredibile: da solo, Jayadratha era riuscito a bloccare i Pandava e i loro alleati: impresa questa che solitamente sarebbe stata ritenuta da tutti impossibile da attuarsi. Come era potuto accadere? 

E' doveroso ricordare l'episodio durante il quale Jayadratha, dopo aver tentato di rapire Draupadi, era stato battuto e umiliato da Bhima. Ma dopo innumerevoli austerità, Shiva gli aveva concesso la benedizione di riuscire, per una volta, a sconfiggere tutti i Pandava insieme, all'infuori di Arjuna. Quel giorno Jayadratha aveva sfruttato la capacità che gli era stata accordata. Per quanto valorosamente i Pandava si fossero battuti, Jayadratha era parso invincibile; nel frattempo la breccia creata da Abhimanyu si era richiusa e la padma-vyuha riformata. 

Con orrore Yudhisthira si era accorto che il ragazzo era rimasto solo fra centinaia di migliaia di nemici. 

109 
La morte di Abhimanyu

Nonostante si fosse reso conto della situazione, Abhimanyu non era certo tipo che si scoraggiava. 

"Io non so come uscire da questo intreccio di armate," disse al suo auriga, "e perciò siamo prigionieri. Ma una soluzione esiste ancora: distruggere totalmente l'esercito Kurava." 

Muovendosi come un vortice, il giovane distruggeva qualsiasi cosa gli venisse a tiro; la cosa faceva impazziva dalla rabbia Duryodhana che si domandava come potesse un ragazzo di quell'età essere tanto abile. Sembrava impossibile. Per di più egli non si accontentava di massacrare i soldati semplici, ma uccise molti celebri guerrieri; Rukmaratha e altri figli di Shalya furono tra coloro che caddero nel coraggioso tentativo di opporsi a Abhimanyu. Davanti a lui tutti erano costretti a fuggire o a morire. Il fiero Lakshmana, uno dei figli più cari a Duryodhana, non potè sopportare quella visione di gloria guerriera e si lanciò all'attacco, ma perse il duello e la vita. Quell'improvvisa tragedia, avvenuta in pochi secondi, traumatizzò l'invidioso re Kurava. 

"Quel maledetto deve essere ucciso in qualsiasi modo," urlò con rabbia inaudita. 

E i protagonisti di una delle più crudeli tragedie successe a Kurukshetra cominciarono a prendere i loro posti sulla scena: sei maharatha, e cioè Drona, Kripa, Asvatthama, Karna, Brihadbala e Kritavarma circondarono Abhimanyu e lo attaccarono contemporaneamente; ma anche in quella maniera questi non cedette, e contrattaccò, sconfiggendoli tutti. Addirittura il potente Brihadbala perse la vita in quell'occasione. 

Il corpo di Karna era una maschera di sangue, e Asvatthama riuscì solo per miracolo a salvare la vita di uno dei suoi figli da quella furia. In quel vortice di distruzione i Kurava decisero che Abhimanyu doveva essere eliminato con ogni mezzo, leale o sleale che fosse. E l'atto più vile che uno kshatriya abbia mai potuto immaginare fu perpetrato da Karna: mentre Abhimanyu fronteggiava contemporaneamente un attacco fatto da Drona e da altri, dalle spalle gli scagliò una freccia contro la corda dell'arco, troncandola di netto e spezzando con una seconda lo stesso arco. Stupito da quel vile atto, Abhimanyu si girò per scoprire chi ne fosse stato l'autore. 

"Solo tu, figlio di un suta, potevi attaccare un nemico in questo modo. Dove il valore manca, vive l'imbroglio e il gioco dei dadi. Ma presto anche tu avrai ciò che meriti." 

Ma sfruttando quel momento di distrazione, Drona gli uccideva i cavalli, mentre Kripa eliminava i due auriga. E intanto che Abhimanyu era ancora sul carro, privo di armi, sei maharatha lo attaccarono senza dargli il tempo di organizzare una difesa. Gli occhi del giovane, nato dall'energia del deva della luna, divamparono di un rosso fuoco, e la furia li rese molto simili a quelli di Krishna. Gridò a Drona: 

"Tu sei stato il maestro di mio padre, e quindi dovresti essere un uomo virtuoso; come avete potuto, tu e Kripa, attaccarmi mentre ero girato verso Karna?" 

Agguantata la spada, saltò giù dal carro oramai immobile, e si precipitò verso di loro con tutta l'intenzione di fare giustizia sommaria. Ma gli atti ignobili degli spaventati Kurava non erano ancora terminati. Aggiratolo, dal di dietro Drona gli ruppe la spada e Karna gli frantumò lo scudo. 

Ora l'eroico Abhimanyu era fieramente ritto sul campo di Kurukshetra, privo di qualsiasi arma. Afferrata la ruota di un carro, il corpo pieno di frecce e interamente bagnato di sangue e il viso infuriato che brillava sinistramente, Abhimanyu prese a farla girare vorticosamente sopra la testa, chiamando uno ad uno per nome i suoi avversari e sfidandoli ad avvicinarsi e a combattere lealmente. In quella posa sembrava un secondo Vishnu. 

Resosi conto che nessuno aveva il coraggio sufficiente per accettare la sfida, si lanciò con quella ruota contro le file nemiche, gettando ancora lo scompiglio e il terrore, finchè non riuscirono a frantumargliela fra le mani. 

Ma Abhimanyu, che non aveva affatto abbandonato l'idea di sterminare da solo l'esercito avversario, prese una mazza dal terreno e ancora una volta li sfidò a venire avanti uno alla volta. Vedendolo alto e fiero, ben piantato sulle gambe e fumante rabbia, di nuovo nessuno accettò la sfida ed egli di nuovo li attaccò. 

Asvatthama, spaventato, fece appena in tempo a fuggire, prima che insieme al carro, ai cavalli e all'auriga, ne potesse uscire distrutto egli stesso. Messo in fuga il brahmana, Abhimanyu si lanciò contro il figlio di Dusshasana e lo privò del mezzo. I due fieri giovani continuarono a piedi il combattimento, ma appena Abhimanyu, stanco e ferito, tardò un momento a rialzarsi, il figlio di Dusshasana, trasgredendo a ogni regola di lealtà kshatriya, lo colpì alla testa. Abhimanyu cadde a terra senza più vita. 

Era stato uno dei crimini più vili mai accaduti in tutta la storia di una nazione che aveva portato la civiltà nel mondo. 

Quando i Pandava sentirono le grida di gioia e il suono dei corni dei Kurava, capirono che l'amato nipote era caduto. Torturato dal dolore e dal rimorso, Yudhisthira pianse lacrime amare fino a perdere i sensi. 

E quando il sole tramontò e tutti tornarono mestamente all'accampamento, nessuno riusciva a pensare ad altri che ad Abhimanyu e a cosa avrebbero potuto dire al padre quando questi fosse tornato. 

110 
Il voto di Arjuna

Nella penombra della sera Arjuna tornava all'accampamento. Improvvisamente si sentì agitato e con voce rotta dall'emozione disse al suo amico Govinda: 

"Perchè, o Keshava, il mio cuore è pieno di paura, e perchè la mia voce trema? Osserva i segni che provengono dalla terra, dal cielo, da ogni parte: lasciano presagire solo le disgrazie più nere. Sento le braccia e le gambe senza forza e nella mia mente ci sono solo pensieri di morte. Qualche calamità sta per accadere o forse è già accaduta. Che qualcosa sia capitato al mio venerabile fratello maggiore o a qualcuno dei miei più cari amici?" 

"Sicuramente nulla è successo a Yudhisthira," rispose Krishna. "Ma sicuramente qualcosa deve essere accaduto. Non temere, fra pochi minuti sapremo tutto." 

Arjuna, sempre più preoccupato, inoltrandosi nei dedali delle tende amiche, notava che tutti evitavano di incrociare il suo sguardo, mentre i presagi diventavano sempre più terribili. Quando entrò nella tenda di Yudhisthira e vide le espressioni dei fratelli capì che doveva essere successo qualcosa di molto grave. 

"Fratelli, non mi lasciate in questa intollerabile ansietà. Perchè quelle facce? e perchè i soldati e i miei amici non mi hanno neanche salutato nè sono venuti a farmi festa come ogni sera? Di solito mio figlio Abhimanyu viene a ricevermi e mi racconta le sue ultime gesta; come mai oggi non è qui con voi?" 

Tanto era il dolore che lo attanagliava, che Yudhisthira faticava a rispondergli; ma visto che nessuno prendeva l'iniziativa si fece forza. 

"Come sai, questa mattina il nostro acarya ha schierato contro di noi il padma-vyuha, e subito c'è stato un grande massacro. Noi non riuscivamo neanche ad attaccare, mentre loro penetravano nelle nostre file con irrisoria facilità. L'unica cosa da fare era riuscire a spezzare quello schieramento. Ma tu eri lontano, e Krishna era con te. Solo Abhimanyu sapeva come fare. Così il tuo coraggioso figlio ha accettato questo incarico. Subito è riuscito a incunearsi nelle file nemiche. Purtroppo noi non ce l'abbiamo fatta a seguirlo, e lui si è trovato solo. Il resto l'abbiamo sa-puto da Yuyutsu." 

Forse non tutti sanno che Yuyutsu era uno dei pochi figli virtuosi di Dritarashtra. La madre proveniva dalla casta dei vaishya; inoltre faceva parte di quella folta schiera di kshatriya che combattevano a malincuore dalla parte di Duryodhana. Ma quando si era trovato ad essere testimone del delitto nefando perpetrato contro il giovane Abhimanyu, la sua indignazione era esplosa e gli aveva impedito di continuare a combattere al fianco di persone ossessionate dallo spettro della malvagità. Quello stesso pomeriggio era passato dalla parte dei Pandava, ai quali aveva raccontato come erano andate le cose. 

Mentre ascoltava il racconto di quel crudele assassinio, Arjuna stentava a crederci. Poi il dolore lo colse in pieno e non riuscì a trattenere le lacrime. 

"Ma come avete potuto lasciarlo solo?" disse. "Chi può essere stato tanto abile da impedirvi di seguirlo?" 

"E' stato Jayadratha," rispose il fratello maggiore. "Nell'attimo in cui tuo figlio è penetrato nelle file nemiche provocando così una grossa breccia, costui è corso contro di noi; e tuttora noi non riusciamo a capacitarci di come egli abbia potuto da solo respingere l'attacco di tutti noi messi insieme. Credimi, oggi Jayadratha era completamente invincibile. E così Abhimanyu si è trovato solo e non abbiamo potuto fare niente per salvarlo." 

Chiuso nel suo dolore, Arjuna riflettè a lungo e poi disse: 
"Tutti quei peccatori che hanno partecipato alla vile uccisione di mio figlio hanno già il destino segnato; ma questo Jayadratha che si è tanto accanito perchè mio figlio morisse non conosce ancora la sorte che gli toccherà. Dunque giuro che domani stesso, prima che il sole tramonti, io lo priverò della vita. E se non ci riuscirò, dò la mia solenne parola che lascerò questo mondo entrando in una grande pira di fuoco." 

Appena gli alleati dei Pandava vennero a sapere del solenne voto fecero vibrare centinaia di tamburi, corni e conchiglie, provocando un frastuono tumultuoso. Tutti erano eccitati: il Pandava non si era assunto un compito facile, per cui erano certi che l'indomani lo avrebbero visto combattere come mai aveva fatto in precedenza. 

I Kurava avrebbero pagato caro l'assassinio di Abhimanyu. 

111 
Gli avvenimenti della notte

Quando i Kurava sentirono quel tumulto assordante provenire dagli accampamenti dei nemici, si preoccuparono molto. Cosa stava succedendo? qual'era la ragione di tanto frastuono? cosa stavano celebrando? Abhimanyu era morto da poco e i Pandava non avevano ragione di festeggiare, bensì di disperarsi. Duryodhana cadde nella più nera ansietà, finchè non arrivarono le spie. 

"Presto, ditemi," chiese, "perchè i Pandava e i loro alleati hanno suonato i loro strumenti? Cosa stanno festeggiando?" 

"Arjuna è appena venuto a conoscenza della morte dell'amato figlio e ha giurato di vendicarlo uccidendo il re Jayadratha prima del tramonto; se non dovesse riuscirvi, entrerà nel fuoco e si lascerà morire." 

A queste parole Jayadratha impallidì di colpo e non riuscì a spiccicare parola. Il terrore lo aveva catturato, confondendolo completamente. 

"Se Arjuna ha giurato di uccidermi domani, lo farà certamente," farfugliò. "Non ho speranze contro di lui e Krishna. Ma io non rimarrò: sarebbe un suicidio. Domani tornerò al mio regno." 

Duryodhana lo calmò. 

"No, non devi fuggire. La situazione che si è creata può tornare a nostro vantaggio. Se domani Arjuna non riuscirà a mantenere la sua promessa, noi ci saremo sbarazzati dell'ostacolo più ostico che si frappone fra noi e la vittoria. Non dobbiamo lasciarci sfuggire una simile opportunità." 

"Tutti lo abbiamo visto combattere; cosa pensi che potrebbe fermarlo? Questa non è una sfida, ma un inutile suicidio. Io domani me ne andrò." 

"Sì, l'ho visto combattere, e non c'è dubbio che è uno dei guerrieri più forti che esistano. Ma se tutti noi ci batteremo con il solo scopo di salvare te, egli non avrà scampo, e sarà perduto. O pensi forse che potrebbe sconfiggere uomini come Drona, Karna, Shalya e migliaia di altri uniti per uno stesso fine? E tu, non dimenticarlo, sei un maharatha, capace da solo di fronteggiare Arjuna. Resta, e dacci l'opportunità di eliminarlo dal combattimento." 

Jayadratha, malgrado non si sentisse per nulla rassicurato, si lasciò convincere dalle parole del Kurava. 

I generali concertarono il piano per il giorno seguente: la prima consegna per tutti era di non permettere che il figlio di Indra si avvicinasse al monarca di Sindhu. 

Quella notte Jayadratha non riuscì a dormire. 

Si era lasciato persuadere a rimanere, ma la cosa non lo faceva stare affatto tranquillo. Sperando di ricevere rassicurazioni da Drona che conosceva bene sia lui che Arjuna per essere stato il maestro di entrambi, uscì dalla tenda e si incamminò verso quella dell'acarya. 

"Arjuna ha giurato che domani mi ucciderà," gli disse, "e io temo per la mia vita. Duryodhana ha cercato di infondermi coraggio, sostenendo che l'esercito verrà schierato in modo da tenermi molto distante dal fronte e che sarò difeso da tutti gli eroi che combattono dalla nostra parte. Ma io ho visto il Pandava in azione e credo che neanche tutti i deva insieme potrebbero respingerlo. Quello è una furia scatenata e io non sono affatto certo che domani riusciranno a tenerlo lontano da me. Perciò io ora ti chiedo di chiarirmi questo dubbio: se riuscirà ad arrivare dove sono stazionato e mi costringerà a combattere, ho qualche speranza di vittoria? In un duello, chi fra noi ha maggiori possibilità di emergere vittorioso?" 

"Giacchè ti vedo molto preoccupato," gli disse Drona, "ti risponderò con franchezza, senza celarti la verità. Voi due avete preso lezioni dallo stesso maestro, me, e io vi ho istruiti senza parzialità; quindi dovreste avere la stessa forza. Tuttavia non ci sono dubbi che Arjuna ti è superiore sotto ogni aspetto. E' più abile, più forte e più intelligente. Oltre a ciò possiede armi divine che ha ottenuto nei pianeti celesti e soprattutto ha Krishna dalla sua parte; dunque è invincibile. Ma tu sei uno kshatriya, e la morte non deve spaventarti. Domani saremo tutti davanti a te e creeremo una barriera invalicabile; inoltre costruirò un vyuha a tre strati assolutamente impenetrabile persino agli stessi deva. Fatti coraggio, nulla è perduto. Tenteremo in ogni modo di impedirgli l'avanzata e di salvarti la vita. Non temere." 

Un pò rinfrancato Jayadratha tornò alla sua tenda, ma stentò comunque a prendere sonno. 

Arjuna invece dormiva; ma i suoi sogni non erano tranquilli. Erano tutti rivolti al ricordo del figlio. A quel ragazzo appena sedicenne, pieno di energia ed entusiasmo che per un atto di generosità e di coraggio si era ritrovato barbaramente trucidato da sei maharatha. Per l'intera notte i suoi pensieri furono continuamente turbati da questa scena raccapricciante e da quella altrettanto agghiacciante di Jayadratha che impediva l'avanzata ai suoi fratelli. A frenare quell'altalena di immagini era poi giunto Krishna, il quale gli aveva rivelato che per uccidere Jayadratha avrebbe dovuto usare la pashupata, l'arma accordatagli tempo addietro da Shiva. Così nel sogno si era visto adorare il grande deva e, insieme a Krishna, volare poi verso la montagna Mandara, dove avevano incontrato Shiva. 

"Qui vicino c'è un grande lago," aveva detto loro; "lì troverete qualcuno che vi darà ciò che cercate." 

I due amici avevano seguito le sue indicazioni ed erano arrivati nei pressi di un immenso lago. Dalle acque era spuntato un serpente dalle cento teste, le cui bocche emanavano gigantesche fiammate. Appena si era accorta di Krishna e Arjuna, la bestia si era immediatamente trasformata in un grande arco che i due si erano affrettati a portare a Shiva. Quest'ultimo aveva così insegnato loro tutti i segreti per poter utilizzare la pashupata correttamente. Terminato l'addestramento, erano tornati sulla terra. 

Questo sogno gli aveva occupato l'intera nottata. 

112 
Il quattordicesimo giorno

Di prima mattina, dopo che ebbero svolto le loro devozioni, i guerrieri si apprestarono a organizzarsi per un altro duro giorno di combattimento, il quattordicesimo. I preparativi, come ogni mattina, fervevano. 

Nel frattempo, i generali dei Pandava si erano riuniti nella tenda di Yudhisthira per discutere dei piani della giornata. 

Arjuna raccontò lo strano sogno fatto nella notte appena trascorsa. Ascoltato con emozione, tutti vollero congratularsi per la fantastica opportunità che gli era stata concessa. Soprattutto si considerava fortunato perchè riusciva a ricordare nitidamente il modo di usare la pashupata. Mentre narrava di queste cose, erano arrivati anche Krishna e Satyaki. A quest'ultimo disse: 

"Amico mio, vedo che tutti sono eccitati per il mio giuramento, e i soldati si aspettano grandi cose da me, oggi. Sicuramente questo è l'ultimo giorno di vita del vile Jayadratha, per colpa del quale mio figlio ci ha lasciati; ma non dobbiamo dimenticare che Drona è ancora dall'altra parte, e che anche lui ha una promessa in sospeso: la cattura di Yudhisthira. Faremmo bene a non sottovalutare il pericolo. Oggi io sarò totalmente impegnato e non potrò rimanere nelle sue vicinanze. Dunque a te spetta il dovere di proteggerlo; solo tu puoi farlo. Tu sei mio discepolo e anche cugino di Krishna; in battaglia non mi sei da meno e se il tuo impegno sarà al massimo, l'acarya non passerà queste linee." 

Satyaki sorrise. 

"Assolvi tranquillamente il tuo compito; finchè io vivrò, Drona non riuscirà neanche a toccare tuo fratello." 

Mentre i Pandava pianificavano le strategie per resistere agli attacchi nemici e contemporaneamente aiutare Arjuna ad avvicinarsi a Jayadratha, i Kurava cominciavano le complesse manovre per sistemare i loro eserciti secondo una formazione a tre strati. 

Nel primo strato, accompagnato da 1500 elefanti infuriati e decine di migliaia di soldati, valorosissimi e sprezzanti della paura, stazionavano i tre figli di Dritarashtra: Durmarshana, Dusshasana e Vikarna. Li seguivano Drona, Duryodhana e Karna accompagnati dai loro battaglioni. 

Nel terzo strato migliaia di grandi eroi, tra cui Asvatthama, Vrishasena, Shalya e Kripa, vigilavano i sentieri interni. Jayadratha era dietro di tutti, a quasi ottanta chilometri dal punto in cui si sarebbe svolto lo scontro diretto. Vedendo davanti a sè quell'immenso oceano di uomini e animali, il re di Sindhu si sentì talmente al sicuro da maturare la consapevolezza che Arjuna poteva essere considerato già morto. 

Nessuno credeva che Arjuna nè altri sarebbero mai riusciti, nell'arco di un solo giorno, ad arrivare alla meta. Ma nonostante quella certezza, quando il carro del Pandava, che era guidato dal Signore in persona e protetto dagli impavidi Yudhamanyu e Uttamaujas, si mosse, nessuno dalla parte dei Kurava riuscì ad evitare un brivido di terrore. Persino Jayadratha quando gli riferirono che Arjuna si era mosso, nonostante fosse a una distanza di sicurezza di decine di chilometri e fosse protetto da milioni di forti guerrieri, ebbe la medesima sensazione; pensare ad Arjuna era come pensare al dio della morte in persona. 

E il grande giorno cominciò. 

Il terzo dei figli di Kunti, diretta progenie del re dei pianeti celesti, esaminò l'esperta opera del maestro. Poi disse: 

"Oggi Drona ha superato sè stesso, e anche noi dovremo farlo. O Krishna, o Govinda, vedi? a proteggere il primo dei tre strati a forma di ruota c'è Durmarshana, uno dei fratelli di Duryodhana. Penetreremo nell'esercito nemico cominciando da lì." 

Shri Krishna, quindi, in accordo al desiderio del suo amico e devoto, spronò i cavalli in direzione dell'esercito di elefanti del Kurava; quando li videro arrivare di gran carriera, i soldati si fecero coraggio tra loro e si batterono con grande impegno. Ma l'impeto di Arjuna era pari a quello di un uragano: ne seguì un tale massacro che nessuno ebbe la forza di continuare a combattere; i sopravvissuti, Durmarshana compreso, dovettero darsi a una fuga precipitosa. 

Il fratello era fuggito senza ritegno e il punto di collisione oramai divenuto un immenso cimitero, così Dusshasana intervenne, coadiuvato dal suo esercito di elefanti. Ma in pochi secondi l'aria si riempiva delle frecce di Gandiva, e il suono dell'arco celestiale diveniva simile a un concerto di strumenti a corda; e il risultato fu la distruzione quasi totale: lo stesso Dusshasana, che aveva cominciato quel duello con un sorriso di scherno sul viso, dovette poi fuggire precipitosamente. Tutti stentavano a crederci, era una cosa assolutamente incredibile: in pochi minuti Arjuna era riuscito a passare oltre la prima formazione. 

"Ora che abbiamo messo in fuga i fratelli del nostro detestabile cugino," disse il Pandava con un sorriso sulle labbra, "dovremo affrontare Drona e il suo battaglione che ha disposto a padma-vyuha, il fiore di loto. Lo stesso schieramento per colpa del quale è morto Abhimanyu. Amico, non perdiamo altro tempo, guidami laddove si trova il nostro acarya." 

Appena vide la venerabile figura abbastanza vicina, Arjuna fece fermare il carro e giunse le mani in segno di rispetto. 

"O maestro, concedimi le tue benedizioni. Solo così riuscirò a vincere questa guerra. Dopo aver penetrato facilmente nel primo strato, mi trovo ora davanti a te, e se tu non lo desideri non riuscirò mai a vincerti. Permettimi di addentrarmi nel vyuha che tu hai costruito con tanta sapienza. Fa sì che io possa procedere per la mia strada." 

Drona si sentiva colmo di ammirazione e nel contempo sorpreso al pensiero di quanta umiltà e modestia potessero essere presenti nell'animo di un uomo tanto valoroso. 

"Non puoi penetrare nel vyuha senza prima avermi sconfitto," rispose l'acarya con un gran sorriso. "Desidero combattere contro di te." 

E i due diedero luogo a un altro fantastico duello. 

Ma ancora, come quando era presente Bhishma sul campo di battaglia, il virtuoso Pandava combattè senza entusiasmo, quasi distrattamente. In effetti un senso di disgusto gli stringeva lo stomaco al pensiero degli atti atroci che era continuamente costretto a commettere. Solo qualche giorno prima aveva dovuto scagliare le sue armi contro il corpo dell'amato nonno, e ora si vedeva in lotta con il suo guru che rispettava e venerava. Eppure egli comprendeva di doversi scuotere da quel senso di prostrazione; se dianzi infatti sarebbe stato difficile tirarsi indietro, ora era diventato impossibile. Per quel duello trascorse molto tempo. 

"Si sta facendo tardi," gli disse Krishna allarmato. "Drona è troppo forte e potrebbe tenerti impegnato per delle ore. Se continua così, non riuscirai ad arrivare da Jayadratha prima del tramonto. Abbandona il duello e penetra nel padma-vyuha." 

Raccolto il suggerimento, Arjuna offrì al maestro rispettosi omaggi, e disse a Krishna di spronare i cavalli alla loro massima velocità; come un lampo essi si introdussero nel secondo strato, spargendo morte e distruzione. Doveva recuperare il tempo perduto nel duello con Drona, e per questo il Pandava combattè con furia raddoppiata. 

Vedendolo nel mezzo del suo esercito, Drona si accingeva a inseguirlo proprio nello stesso momento in cui tre forti generali, Kritavarma, Sudakshina e Shrutayus, ognuno appoggiato dai rispettivi battaglioni, lo raggiungevano e lo sfidavano. Attaccato in contemporanea, Arjuna preferì non perdere altro tempo prezioso in un normale combattimento e si ritrovò costretto ad invocare il brahmastra per scrollarsi di dosso quegli scomodi nemici. L'effetto di quell'arma fu tremendo: il cugino di Krishna, Kritavarma, fu gravemente ferito, tanto che cadde privo di sensi nel suo carro. Sudakshina, invece, vista la situazione, preferì fuggire. 

Fu allora che il coraggioso Shrutayudha, in possesso di una mazza di origine divina, attaccò il valoroso Partha con tutta la rabbia che aveva in corpo, e con la mente annebbiata dal desiderio di uccidere entrambi gli avversari. Questo valoroso monarca aveva ricevuto l'arma in cambio di numerose e difficili austerità, e con quella nessun nemico avrebbe mai potuto resistergli, chiunque egli fosse stato; per di più chi la possedeva diventava praticamente invulnerabile. L'unico suo punto debole consisteva nel fatto che mai avrebbe dovuto essere lanciata contro un uomo privo di armi e che non fosse partecipe ai combattimenti: ciò sarebbe risultato fatale al suo possessore. 

Shrutayudha combattè con grande ardore, ma non riuscendo ad avere la meglio, si sentì pervadere dall'ira e perse il lume della ragione. Pensando che fosse Krishna la sorgente della forza del Pandava, afferrò la mazza e gliela scagliò addosso. Ma all'improvviso l'arma cambiò direzione e guizzò verso di lui, colpendolo a morte. Alla vista di Shrutayudha che cadeva al suolo ricoperto di sangue, Sudakshina tornò sui propri passi e combattè con valore; ma in seguito a un aspro duello anche lui perse la vita. 

Dopo che anche i due maharatha Shrutayus e Acyutayus ebbero trovato la morte per mano del terribile Pandava, i soldati che componevano la padma-vyuha di Drona si dispersero per il terrore. A quel punto l'avanzata di Arjuna diventò agevole. 

Vedendo il cugino procedere così speditamente, Duryodhana, allarmato, corse dal maestro. 

"Guarda, Arjuna si sta dirigendo verso Jayadratha praticamente senza più ostacoli. Perchè gli hai permesso di penetrare all'interno delle nostre formazioni? perchè non l'hai fermato? o vuoi forse che Jayadratha muoia?" 

"Io ho cercato di farlo," ribattè questi cercando di mantenere la calma, "ma i suoi cavalli sono troppi veloci e io non ho Krishna alla guida del mio carro. Cosa pretendevi che facessi? Io sono vecchio oramai e non ho più la forza e l'agilità di una volta. Tu però sei giovane e puoi andarci al mio posto. O non vuoi più che io catturi Yudhisthira? Ciò potrebbe essere la soluzione a questa guerra." 

"Ti stai prendendo gioco di me? Come puoi pensare che io riesca a fermare Arjuna se tu, che sei molto più forte di me, non ci sei riuscito?" 

"Non temere," rispose Drona. "Farò in modo che le frecce del Pandava non penetrino nel tuo corpo. Prendi quest'armatura: è protetta da Brahma, e qualsiasi parte del corpo che essa ricopre non corre il rischio di essere raggiunta da alcun'arma. Quando Indra si trovò di fronte il grande asura Vritra, la indossò, e potè combattere al pari del formidabile nemico. Indossala tu, ora, e corri a fermare Arjuna." 

Non particolarmente entusiasta della cosa, Duryodhana fece comunque come il maestro gli aveva detto. 

Quando avvistò Arjuna, questi aveva già percorso metà strada rispetto al punto in cui Jayadratha stazionava. 

Nel frattempo l'armata dei Pandava guidata da Drishtadyumna, grazie alla breccia aperta da Arjuna, aveva sorpassato la prima vyuha ed era arrivata nei pressi di Drona. In quel punto lo scontro infuriò con immane crudeltà. In pochi minuti le vittime furono migliaia. Numerosi furono i duelli singoli che i grandi eroi ingaggiarono fra di loro. Travolto dalla furia e dalla scienza militare di Drona, Drishtadyumna ebbe la peggio. Potè salvarsi solo grazie al soccorso di Satyaki, che rispose in modo mirabile agli attacchi del maestro, tanto che Drona stesso non riusciva a credere ai suoi occhi quando lo vide muoversi in quel modo sul campo di battaglia. 

"Guardate Satyaki," diceva. "Guardate come combatte. C'è qualcun altro nel mondo che sa fare ciò che fa lui? Mi sembra di vedere Bhishma stesso, oppure il suo maestro Arjuna, o Parashurama o addirittura il generale dei deva, il figlio di Shiva, Kartikeya." 

Così Drona si lanciò contro quel formidabile guerriero e ne risultò una lotta talmente affascinante che persino gli esseri che abitano sui pianeti celesti vennero ad ammirarli. Finchè quello straordinario duello non fu interrotto dall'arrivo dei rinforzi da ambo le parti che scatenò una mischia caotica.
113 
L'avvicinamento di Arjuna
Inesorabilmente il sole stava dirigendosi verso occidente. 

Metà della giornata era già trascorsa. Ora Arjuna, che si rendeva conto di aver perso troppo tempo nei duelli con Drona e con gli altri maharatha, realizzò che doveva cominciare a combattere anche contro il tempo e raddoppiare perciò i suoi sforzi. Gandiva quasi era scomparso dalla sua mano. Tenendo sempre l'arco al massimo della capacità di piegamento, quasi in forma circolare, nessuno riusciva più a distinguerne i movimenti; prendere la freccia, recitare i mantra, scagliarla e prenderne un'altra erano diventati un tutt'uno. Da quell'arma micidiale fluiva una corrente ininterrotta di dardi mortali, che colpivano con una precisione disumana. I Kurava erano terrorizzati. 

Ma dopo un pò, accorgendosi che i cavalli di Arjuna cominciavano a mostrare segni di stanchezza per il gran correre, ripresero coraggio e aumentarono nuovamente i loro sforzi. I nobili destrieri, che sanguinavano abbondantemente in più parti del corpo, ora si muovevano più lentamente, con una agilità sempre minore. E Jayadratha era ancora lontano. 

I soldati sentirono che il loro sacrificio avrebbe potuto essere determinante per la vittoria finale. 

Essendo la corsa di Arjuna frenata a causa dell'affaticamento dei cavalli, i possenti fratelli Vinda e Anuvinda gli si presentarono di fronte e gli lanciarono una sfida. Il duello con i famosi soldati, conosciuti in tutto il mondo per il loro eroismo, fu durissimo e spettacolare; ma l'impaziente figlio di Indra, che sentiva di avere poco tempo, accantonò la gioia di duellare con quei bravi arcieri, e si ritrovò costretto ad ucciderli subito entrambi. 

Ancora, respinse un attacco in massa dei Kurava, ansiosi di vendicare i due fratelli creando attorno a sè quasi un deserto. A quel punto Krishna disse: 

"Arjuna, i nostri cavalli sono stanchi, non possiamo continuare a farli correre in questo modo per tutto il giorno. Dobbiamo farli riposare." 

Arjuna riflettè per qualche momento, poi disse: 

"Hai ragione, fermiamoci. Mentre tu li farai riposare, io continuerò a tenere a bada i nostri avversari." 

Vedendolo privo della protezione del carro, i Kurava organizzarono un nuovo attacco in massa e, come avevano già fatto con Abhimanyu il giorno precedente, tentarono di circondarlo e di metterlo in difficoltà, attaccandolo da più parti. Ma fu con grande costernazione che dovettero riconoscere che a piedi il Pandava era ancora più incontenibile di quando era sul carro. Il panico di diffuse ovunque e i due rimasero soli per qualche minuto. 

"Arjuna, "disse Krishna, "qui non c'è acqua: come possiamo abbeverare i nostri cavalli?" 

Dopo aver recitato una preghiera a Varuna, Arjuna generò con le sue armi divine un laghetto d'acqua dolce, che poi circondò con un fitto muro di frecce. Lì, dentro quell'impenetrabile cortina, i cavalli si ristorarono. Intanto i Kurava, davanti a quelle meraviglie, sembravano aver perso del tutto interesse per il combattimento: nessuno riusciva a distogliere gli occhi da quei due personaggi estasianti e si udiva bisbigliare ovunque la stessa domanda: cosa non era in grado di fare Arjuna? 

Appena i cavalli ebbero recuperato le forze, i due rimontarono sul carro e, sfondato con impeto il muro di frecce, ripresero la corsa. Duryodhana arrivava esattamente in quel momento. 

Come si rese conto della situazione si sentì disperato: il cugino era già arrivato al limite della terza vyuha, e ne aveva già superate due che pure erano impenetrabili agli stessi dei. Si stava avvicinando troppo a Jayadratha. Lo vide mettere in fuga o uccidere con furia inaudita chiunque gli si ponesse di fronte. 

Allora il figlio di Dritarashtra, in ansia per la vita del cognato, gridò al Pandava di fermarsi e di accettare la sua sfida. 

Allorchè il duello ebbe inizio, Arjuna e Krishna con sorpresa si accorsero che nessuna freccia riusciva a penetrare in quell'armatura, mentre le armi di Duryodhana provocavano dolorose ferite. 
E il sole si avvicinava sempre di più all'orizzonte. 

Infine Arjuna capì. 

"Amico mio, adesso comprendo la ragione per cui il vile cugino appare così forte. Quella che indossa è l'armatura di Brahma che in questo momento Drona ha con sè. Ricordo che molto tempo fa me la mostrò e mi insegnò anche come contrattaccare chiunque l'avesse portata. Ora, in questo preciso istante, io distruggerò quel malvagio." 

Così invocata un'astra mortale, la scagliò con violenza; ma proprio in quel momento sopraggiungeva Asvatthama, il quale vedendo il re in pericolo ruppe la freccia mentre essa gli si avvicinava alla velocità del lampo; quella potente arma non poteva essere usata una seconda volta. 

Ma Partha non si scoraggiò. 

"Non importa se il figlio del guru ha neutralizzato la mia arma," disse col sorriso sulle labbra, "perchè posso fare qualcos'altro. Duryodhana non sa come portare quell'armatura divina. Infatti la indossa al pari di un bambino che abbia infilato i vestiti del padre; osserva allora come lo sistemo." 

E in quel momento, sotto la pressione di quel possente braccio, da Gandiva scaturì un terrificante torrente di frecce dalle punte sottili come aghi che trafissero Duryodhana in tutte le parti che aveva lasciato scoperte, persino sotto le unghie e sotto le palme dei piedi. Torturato da un dolore lancinante, Duryodhana non potè fare a meno di fuggire. 

Ridendo divertiti a quella buffa scena, i due spronarono i cavalli in direzione della sucimukha-vyuha, il terzo strato, quello oltre il quale c'era Jayadratha. Erano distanti solo tre chilometri, ma di fronte avevano una potente formazione affollata da eroi praticamente invincibili. Arjuna aveva tutte le ragioni per sentirsi preoccupato. 

"Krishna, ora stiamo per arrivare in contatto con un'ennesima vyuha, dove sono disposti i soldati più forti. Suona la panchajanya, spaventiamo i nostri nemici e infondiamo rinnovato entusiasmo nei nostri lontani alleati, che non sanno nemmeno se sono vivo oppure morto." 

Quando il vigoroso suono trascendentale si diffuse nell'etere, Arjuna fece vibrare la corda di Gandiva; i Kurava, che non erano ancora in vista, capirono che i tanto temuti avversari stavano per arrivare, e si prepararono a riceverli. 

Quello era il punto in cui c'era la maggiore concentrazione di maharatha: davanti a sè Arjuna cominciava a vedere Bhurishrava, Shala, Karna, Vrishasena, Kripa, Shalya e Asvatthama, tutti seguiti dai rispettivi battaglioni. 

In pochi istanti si scontrarono e l'urto fu tremendo. 

Ma benchè Arjuna e i suoi due aiutanti combattessero con furore, si accorsero che il pomeriggio era già inoltrato e che il sole stava calando inesorabilmente. 

Raddoppiarono i loro sforzi. 

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