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CODICE PROCEDURA CIVILE

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LIBRO SECONDO

DEL PROCESSO DI COGNIZIONE

DELLA PROVA PER TESTIMONI

 

Art. 244

(Modo di deduzione)

La prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata.

La parte contro la quale la prova è proposta, anche quando si oppone all'ammissione, deve indicare a sua volta nella prima risposta le persone che intende fare interrogare e deve dedurre per articoli separati i fatti sui quali debbono essere interrogate (1).

Il giudice istruttore, secondo le circostanze, può assegnare un termine perentorio alle parti per formulare o integrare tali indicazioni.

(1) Comma abrogato dall'art. 89, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 245

(Ordinanza di ammissione)

Con l'ordinanza che ammette la prova il giudice istruttore riduce le liste dei testimoni sovrabbondanti ed elimina i testimoni che non possono essere sentiti per legge.

La rinuncia fatta da una parte all'audizione dei testimoni da essa indicati non ha effetto se le altre non vi aderiscono e se il giudice non vi consente.

Art. 246

(Incapacità a testimoniare)

Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

Art. 247

(Divieto di testimoniare)

Non possono deporre il coniuge ancorchè separato, i parenti o affini in linea retta e coloro che sono legati a una delle parti da vincoli di affiliazione, salvo che la causa verta su questioni di stato, di separazione personale o relative a rapporti di famiglia.

La Corte costituzionale, con sentenza 23 luglio 1974, n. 248, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo.

Art. 248

(Audizione dei minori degli anni quattordici)

I minori degli anni quattordici possono essere sentiti solo quando la loro audizione è resa necessaria da particolari circostanze. Essi non prestano giuramento.

La Corte costituzionale, con sentenza 11 giugno 1975, n. 139, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo.

Art. 249

(Facoltà d'astensione)

Si applicano all'audizione dei testimoni le disposizioni degli articoli 351 e 352 del codice di procedura penale relative alla facoltà d'astensione dei testimoni.

Art. 250

(Intimazione ai testimoni)

L'ufficiale giudiziario, su richiesta della parte interessata, intima ai testimoni ammessi dal giudice istruttore di comparire nel luogo, nel giorno e nell'ora fissati, indicando il giudice che assume la prova e la causa nella quale debbono essere sentiti.

Art. 251

(Giuramento dei testimoni)

I testimoni sono esaminati separatamente.

Il giudice istruttore ammonisce il testimone sulla importanza religiosa e morale del giuramento e sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false o reticenti, e legge la formula: "consapevole della responsabilità che con il giuramento assumete davanti a Dio e agli uomini, giurate di dire la verità, null'altro che la verità". Quindi il testimone, in piedi, presta il giuramento pronunciando le parole: "lo giuro" (1).

(1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 117 del 10 ottobre 1979, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non contiene l'inciso "se credente". Successivamente la stessa Corte, con sentenza 5 maggio 1995, n. 149, ha dichiarato l'illegittimità del comma nella parte in cui prevede:

a) che il giudice istruttore "ammonisce il testimone sull'importanza religiosa, se credente, e morale del giuramento e sulle", anzichè stabilire che il giudice istruttore "avverte il testimone dell'obbligo di dire la verità e delle";

b) che il giudice istruttore "legge la formula: "Consapevole della responsabilità che con il giuramento assumete davanti a Dio, se credente, e agli uomini, giurate di dire la verità, null'altro che la verità", anzichè stabilire che il giudice istruttore "lo invita a rendere la seguente dichiarazione: "Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza";

c) "Quindi il testimone, in piedi, presta il giuramento pronunciando le parole: "lo giuro".

Art. 252

(Identificazione dei testimoni)

Il giudice istruttore richiede al testimone il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, l'età e la professione, lo invita a dichiarare se ha rapporti di parentela, affinità, affiliazione o dipendenza con alcuna delle parti, oppure interesse nella causa.

Le parti possono fare osservazioni sull'attendibilità del testimone, e questi deve fornire in proposito i chiarimenti necessari. Delle osservazioni e dei chiarimenti si fa menzione nel processo verbale prima dell'audizione del testimone.

Art. 253

(Interrogazioni e risposte)

Il giudice istruttore interroga il testimone sui fatti intorno ai quali è chiamato a deporre. Può altresì rivolgergli, d'ufficio o su istanza di parte, tutte le domande che ritiene utili a chiarire i fatti medesimi.

È vietato alle parti e al pubblico ministero di interrogare direttamente i testimoni.

Alle risposte dei testimoni si applica la disposizione dell'articolo 231.

Art. 254

(Confronto dei testimoni)

Se vi sono divergenze tra le deposizioni di due o più testimoni, il giudice istruttore, su istanza di parte o d'ufficio, può disporre che essi siano messi a confronto.

Art. 255

(Mancata comparizione dei testimoni)

Se il testimone regolarmente intimato non si presenta, il giudice istruttore può ordinare una nuova intimazione oppure disporne l'accompagnamento all'udienza stessa o ad altra successiva. Con la medesima ordinanza lo condanna a una pena pecuniaria non inferiore a lire quattrocento e non superiore a lire ottomila, oltre che alle spese causate dalla mancata presentazione.

Se il testimone si trova nell'impossibilità di presentarsi o ne è esentato dalla legge o dalle convenzioni internazionali, il giudice si reca nella sua abitazione o nel suo ufficio; e, se questi sono situati fuori della circoscrizione del tribunale, delega all'esame il pretore del luogo.

Art. 256

(Rifiuto di deporre e falsità della testimonianza)

Se il testimone, presentandosi, rifiuta di giurare o di deporre senza giustificato motivo, o se vi è fondato sospetto che egli non abbia detto la verità o sia stato reticente, il giudice istruttore lo denuncia al pubblico ministero, al quale trasmette copia del processo verbale. Il giudice può anche ordinare l'arresto del testimone.

Art. 257

(Assunzione di nuovi testimoni e rinnovazione dell'esame)

Se alcuno dei testimoni si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice istruttore può disporre d'ufficio che esse siano chiamate a deporre.

Il giudice può anche disporre che siano sentiti i testimoni dei quali ha ritenuto l'audizione superflua a norma dell'articolo 245 o dei quali ha consentito la rinuncia; e del pari può disporre che siano nuovamente esaminati i testimoni già interrogati, al fine di chiarire la loro deposizione o di correggere irregolarità avveratesi nel precedente esame.

 

DELLE ISPEZIONI, DELLE RIPRODUZIONI MECCANICHE

E DEGLI ESPERIMENTI

 

Art. 258

(Ordinanza d'ispezione)

L'ispezione di luoghi, di cose mobili e immobili, o delle persone è disposta dal giudice istruttore, il quale fissa il tempo, il luogo e il modo dell'ispezione.

Art. 259

(Modo dell'ispezione)

All'ispezione procede personalmente il giudice istruttore, assistito, quando occorre, da un consulente tecnico, anche se l'ispezione deve eseguirsi fuori della circoscrizione del tribunale, tranne che esigenze di servizio gli impediscano di allontanarsi dalla sede. In tal caso delega il pretore a norma dell'articolo 203.

Art. 260

(Ispezione corporale)

Il giudice istruttore può astenersi dal partecipare all'ispezione corporale e disporre che vi proceda il solo consulente tecnico.

All'ispezione corporale deve procedersi con ogni cautela diretta a garantire il rispetto della persona.

Art. 261

(Riproduzioni, copie ed esperimenti)

Il giudice istruttore può disporre che siano eseguiti rilievi, calchi e riproduzioni anche fotografiche di oggetti, documenti e luoghi, e, quando occorre, rilevazioni cinematografiche o altre che richiedono l'impiego di mezzi, strumenti o procedimenti meccanici.

Egualmente, per accertare se un fatto sia o possa essersi verificato in un dato modo, il giudice può ordinare di procedere alla riproduzione del fatto stesso, facendone eventualmente eseguire la rilevazione fotografica o cinematografica.

Il giudice presiede all'esperimento e, quando occorre, ne affida l'esecuzione a un esperto che presta giuramento a norma dell'articolo 193.

Art. 262

(Poteri del giudice istruttore)

Nel corso dell'ispezione o dell'esperimento il giudice istruttore può sentire testimoni per informazioni e dare i provvedimenti necessari per l'esibizione della cosa o per accedere alla località.

Può anche disporre l'accesso in luoghi appartenenti a persone estranee al processo, sentite se è possibile queste ultime, e prendendo in ogni caso le cautele necessarie alla tutela dei loro interessi.

 

DEL RENDIMENTO DEI CONTI

 

Art. 263

(Presentazione e accettazione del conto)

Se il giudice ordina la presentazione di un conto, questo deve essere depositato in cancelleria con i documenti giustificativi, almeno cinque giorni prima dell'udienza fissata per la discussione di esso.

Se il conto viene accettato, il giudice istruttore ne dà atto nel processo verbale e ordina il pagamento delle somme che risultano dovute. L'ordinanza non è impugnabile e costituisce titolo esecutivo.

Art. 264

(Impugnazione e discussione)

La parte che impugna il conto deve specificare le partite che intende contestare. Se chiede un termine per la specificazione, il giudice istruttore fissa un'udienza per tale scopo.

Se le parti, in seguito alla discussione, concordano nel risultato del conto, il giudice provvede a norma del secondo comma dell'articolo precedente.

In ogni caso il giudice può disporre, con ordinanza non impugnabile il pagamento del sopravanzo che risulta dal conto o dalla discussione dello stesso.

Art. 265

(Giuramento)

Il collegio può ammettere il creditore a determinare con giuramento le somme a lui dovute, se la parte tenuta al rendiconto non lo presenta o rimane contumace. Si applica in tal caso la disposizione dell'articolo 241.

Il collegio può altresì ordinare a chi rende il conto di asseverare con giuramento le partite per le quali non si può, o non si suole richiedere ricevuta; ma può anche ammetterle senza giuramento, quando sono verosimili e ragionevoli.

Art. 266

(Revisione del conto approvato)

La revisione del conto che la parte ha approvato può essere chiesta, anche in separato processo, soltanto in caso di errore materiale, omissione, falsità o duplicazione di partite.

 

DELL'INTERVENTO DI TERZI E DELLA RIUNIONE DI PROCEDIMENTI

 

DELL'INTERVENTO DI TERZI

 

Art. 267

(Costituzione del terzo interveniente)

Per intervenire nel processo a norma dell'articolo 105, il terzo deve costituirsi presentando in udienza o depositando in cancelleria una comparsa formata a norma dell'articolo 167 con le copie per le altre parti, i documenti e la procura.

Il cancelliere dà notizia dell'intervento alle altre parti, se la costituzione del terzo non è avvenuta in udienza.

Art. 268

(Termine per l'intervento)

L'intervento può aver luogo sino a che non vengano precisate le conclusioni.

Il terzo non può compiere atti che al momento dell'intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte, salvo che comparisca volontariamente per l'integrazione necessaria del contraddittorio.

Articolo così sostituito dall'art. 28, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 269

(Chiamata di un terzo in causa)

Alla chiamata di un terzo nel processo a norma dell'articolo 106, la parte provvede mediante citazione a comparire nell'udienza fissata dal giudice istruttore ai sensi del presente articolo, osservati i termini dell'articolo 163-bis.

Il convenuto che intenda chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'articolo 163-bis. Il giudice istruttore, entro cinque giorni dalla richiesta, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza. Il decreto è comunicato dal cancelliere alle parti costituite. La citazione è notificata al terzo a cura del convenuto.

Ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, sia sorto l'interesse dell'attore a chiamare in causa un terzo, l'attore deve, a pena di decadenza, chiederne l'autorizzazione al giudice istruttore nella prima udienza. Il giudice istruttore, se concede l'autorizzazione, fissa una nuova udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'articolo 163-bis. La citazione è notificata al terzo a cura dell'attore entro il termine perentorio stabilito dal giudice.

La parte che chiama in causa il terzo deve depositare la citazione notificata entro il termine previsto dall'articolo 165, e il terzo deve costituirsi a norma dell'articolo 166.

Nell'ipotesi prevista dal terzo comma, restano ferme per le parti le preclusioni ricollegate alla prima udienza di trattazione, ma il termine eventuale di cui all'ultimo comma dell'articolo 183 è fissato dal giudice istruttore nella udienza di comparizione del terzo, e i termini di cui all'articolo 184 decorrono con riferimento alla udienza successiva a quella di comparizione del terzo.

Articolo così sostituito dall'art. 29, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 270

(Chiamata di un terzo per ordine del giudice)

La chiamata di un terzo nel processo a norma dell'articolo 107 può essere ordinata in ogni momento dal giudice istruttore per una udienza che all'uopo egli fissa.

Se nessuna delle parti provvede alla citazione del terzo, il giudice istruttore dispone con ordinanza non impugnabile la cancellazione della causa dal ruolo.

Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 271

(Costituzione del terzo chiamato)

Al terzo si applicano, con riferimento all'udienza per la quale è citato, le disposizioni degli articoli 166 e 167, primo comma. Se intende chiamare a sua volta in causa un terzo, deve farne dichiarazione a pena di decadenza nella comparsa di risposta ed essere poi autorizzato dal giudice ai sensi del terzo comma dell'articolo 269.

Articolo così sostituito dall'art. 30, L. 26 novembre 1990, n. 353. Successivamente la Corte costituzionale, con sentenza 23 luglio 1997, n. 260, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede per il terzo chiamato in causa l'applicazione dell'art. 167, secondo comma, del presente codice.

Art. 272

(Decisione delle questioni relative all'intervento)

Le questioni relative all'intervento sono decise dal collegio insieme col merito, salvo che il giudice istruttore disponga a norma dell'articolo 187 secondo comma.

 

DELLA RIUNIONE DEI PROCEDIMENTI

 

Art. 273

(Riunione di procedimenti relativi alla stessa causa)

Se più procedimenti relativi alla stessa causa pendono davanti allo stesso giudice, questi, anche d'ufficio, ne ordina la riunione.

Se il giudice istruttore o il presidente della sezione ha notizia che per la stessa causa pende procedimento davanti ad altro giudice o ad altra sezione dello stesso tribunale, ne riferisce al presidente, il quale, sentite le parti, ordina con decreto la riunione, determinando la sezione o designando il giudice davanti al quale il procedimento deve proseguire.

Art. 274

(Riunione di procedimenti relativi a cause connesse)

Se più procedimenti relativi a cause connesse pendono davanti allo stesso giudice, questi, anche d'ufficio, può disporne la riunione.

Se il giudice istruttore o il presidente della sezione ha notizia che per una causa connessa pende procedimento davanti ad altro giudice o davanti ad altra sezione dello stesso tribunale, ne riferisce al presidente, il quale, sentite le parti, ordina con decreto che le cause siano chiamate alla medesima udienza davanti allo stesso giudice o alla stessa sezione per i provvedimenti opportuni.

Art. 274 bis

(Rapporti tra collegio e giudice istruttore in funzione di giudice unico)

Il collegio, quando rileva che una causa, rimessa dinanzi a lui per la decisione, deve essere decisa dal giudice istruttore in funzione di giudice unico, rimette la causa dinanzi a quest'ultimo con ordinanza non impugnabile. Il giudice istruttore provvede ai sensi dell'articolo 190-bis.

Il giudice istruttore, quando rileva che una causa, riservata per la decisione dinanzi a sè in funzione di giudice unico, deve essere rimessa al collegio, provvede ai sensi degli articoli 187, 188 e 189.

In caso di connessione tra cause attribuite al collegio e cause attribuite al giudice istruttore in funzione di giudice unico, questi ne ordina la riunione e, all'esito dell'istruttoria, le rimette, ai sensi dell'articolo 189, al collegio, il quale si pronuncia su tutte le domande, a meno che non sia disposta la separazione ai sensi dell'articolo 279, secondo comma, numero 5).

Alla nullità derivante dalla inosservanza delle disposizioni di legge relative alla composizione del tribunale giudicante si applicano gli articoli 158 e 161, primo comma.

Articolo aggiunto dall'art. 31, L. 26 novembre 1990, n. 353.

 

DELLA DECISIONE DELLA CAUSA

 

Art. 275

(Decisione del collegio)

Rimessa la causa al collegio, la sentenza è depositata in cancelleria entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica di cui all'articolo 190.

Ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, fermo restando il rispetto dei termini indicati nell'articolo 190 per il deposito delle difese scritte, la richiesta deve essere riproposta al presidente del tribunale alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.

Il presidente provvede sulla richiesta fissando con decreto la data dell'udienza di discussione, da tenersi entro sessanta giorni.

Nell'udienza il giudice istruttore fa la relazione orale della causa. Dopo la relazione, il presidente ammette le parti alla discussione; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi.

Articolo così sostituito dall'art. 32, L. 26 novembre 1990, n. 353.

Art. 276

(Deliberazione)

La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio. Ad essa possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione.

Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa.

La decisione è presa a maggioranza di voti. Il primo a votare è il relatore, quindi l'altro giudice e infine il presidente.

Se intorno a una questione si prospettano più soluzioni e non si forma la maggioranza alla prima votazione, il presidente mette ai voti due delle soluzioni per escluderne una, quindi mette ai voti la non esclusa e quella eventualmente restante, e così successivamente finchè le soluzioni siano ridotte a due, sulle quali avviene la votazione definitiva.

Chiusa la votazione, il presidente scrive e sottoscrive il dispositivo. La motivazione è quindi stesa dal relatore, a meno che il presidente non creda di stenderla egli stesso o affidarla all'altro giudice.

Art. 277

(Pronuncia sul merito)

Il collegio nel deliberare sul merito deve decidere tutte le domande proposte e le relative eccezioni, definendo il giudizio.

Tuttavia il collegio, anche quando il giudice istruttore gli ha rimesso la causa a norma dell'articolo 187 primo comma, può limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto non sia necessaria un'ulteriore istruzione, e se la loro sollecita definizione è di interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza.

Art. 278

(Condanna generica - Provvisionale)

Quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la liquidazione.

In tal caso il collegio, con la stessa sentenza e sempre su istanza di parte, può altresì condannare il debitore al pagamento di una provvisionale, nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova.

Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 279

(Forma dei provvedimenti del collegio)

Il collegio quando provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, pronuncia ordinanza.

Il collegio pronuncia sentenza:

1) quando definisce il giudizio, decidendo questioni di giurisdizione o di competenza;

2) quando definisce il giudizio, decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito;

3) quando definisce il giudizio, decidendo totalmente il merito;

4) quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1, 2 e 3, non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa;

5) quando, valendosi della facoltà di cui agli articoli 103, secondo comma, e 104, secondo comma, decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite, e con distinti provvedimenti dispone la separazione delle altre cause e l'ulteriore istruzione riguardo alle medesime, ovvero la rimessione al giudice inferiore delle cause di sua competenza.

I provvedimenti per l'ulteriore istruzione, previsti dai numeri 4 e 5, sono dati con separata ordinanza.

I provvedimenti del collegio, che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, non possono mai pregiudicare la decisione della causa; salvo che la legge disponga altrimenti, essi sono modificabili e revocabili dallo stesso collegio, e non sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze. Le ordinanze del collegio sono sempre immediatamente esecutive. Tuttavia, quando sia stato proposto appello immediato contro una delle sentenze previste dal n. 4 del secondo comma, il giudice istruttore, su istanza concorde delle parti, qualora ritenga che i provvedimenti dell'ordinanza collegiale siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza impugnata, può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione o la prosecuzione dell'ulteriore istruttoria sia sospesa sino alla definizione del giudizio di appello.

L'ordinanza è depositata in cancelleria insieme con la sentenza.

Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 280

(Contenuto e disciplina dell'ordinanza del collegio)

Con la sua ordinanza il collegio fissa l'udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice istruttore o davanti a sè nel caso previsto nell'articolo seguente.

Il cancelliere inserisce l'ordinanza nel fascicolo di ufficio e ne dà tempestiva comunicazione alle parti a norma dell'articolo 176 secondo comma.

Per effetto dell'ordinanza il giudice istruttore è investito di tutti i poteri per l'ulteriore trattazione della causa.

Articolo così sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581.

Art. 281

(Rinnovazione di prove davanti al collegio)

Quando ne ravvisa la necessità, il collegio, anche d'ufficio, può disporre la riassunzione davanti a sè di uno o più mezzi di prova.

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