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CODICE MILITARE

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LIBRO SECONDO

Dei reati contro la disciplina militare

 

Della disobbedienza.

 

173. Nozione del reato e circostanza aggravante. Il militare, che rifiuta, omette o ritarda di obbedire a un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore, è punito con la reclusione militare fino a un anno.
Se il fatto è commesso in servizio, ovvero a bordo di una nave o di un aeromobile, la reclusione militare è da sei mesi a un anno; e può estendersi fino a cinque anni, se il fatto è commesso in occasione d'incendio o epidemia o in altra circostanza di grave pericolo [40, 174, 175; 328, 329 c.p.] (1).
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(1) V. art. 4, l. 11 luglio 1978, n. 382.

 

Della rivolta, dell'ammutinamento e della sedizione militare.

 

174. Rivolta. Sono puniti con la reclusione militare da tre a quindici anni i militari, che, riuniti in numero di quattro o più:
1° mentre sono in servizio armato, rifiutano, omettono o ritardano di obbedire a un ordine di un loro superiore;
2° prendono arbitrariamente le armi e rifiutano, omettono o ritardano di obbedire all'ordine di deporle, intimato da un loro superiore;
3° abbandonandosi a eccessi o ad atti violenti, rifiutano, omettono o ritardano di obbedire alla intimazione di disperdersi o di rientrare nell'ordine, fatta da un loro superiore (1).
La pena per chi ha promosso, organizzato o diretto la rivolta è della reclusione militare non inferiore a quindici anni [138, 175-178].
La condanna importa la rimozione [29].
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(1) La Corte Costituzionale con sentenza 27 gennaio 1995, n. 31, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 174, comma 1, n. 3, c.p.m.p. sollevata in riferimento agli artt. 3 e 25, comma 2, della Costituzione.

 

175. Ammutinamento. Fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, sono puniti con la reclusione militare da sei mesi a tre anni i militari, che, riuniti in numero di quattro o più:
1° rifiutano, omettono o ritardano di obbedire a un ordine di un loro superiore;
2° persistono nel presentare, a voce o per iscritto, una domanda, un esposto o un reclamo (1).
La pena per chi ha promosso, organizzato o diretto l'ammutinamento è della reclusione militare da uno a cinque anni.
Se il fatto ha carattere di particolare gravità per il numero dei colpevoli o per i motivi che lo hanno determinato, ovvero se è commesso in circostanze di pericolo a bordo di una nave o di un aeromobile, le pene suddette sono aumentate dalla metà a due terzi [138, 176-178, 260].
La condanna importa la rimozione [29].
Se il colpevole cede alla prima intimazione, si applica la reclusione militare fino a sei mesi; tranne che abbia promosso, organizzato o diretto l'ammutinamento, nel qual caso la pena è della reclusione militare fino a un anno.
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(1) Con sentenza n. 126/1985 (vedila sub art. 180) la Corte Costituzionale ha ritenuto che non formava oggetto di sindacato, sia pure conseguenziale, la fattispecie legale di cui all'art. 175, comma 1, n. 2, che prevede Ö "una condotta diversa per il solo fatto di essere reiterativa tanto da quella prevista dall'art. 180, comma 1 Ö, tanto da quella prevista dall'art. 180, comma 2, che non forma oggetto di sindacato".

 

176. Provocazione del superiore. Quando alcuno dei reati preveduti dai due articoli precedenti è commesso nello stato d'ira determinato dal fatto ingiusto del superiore, consistente in una violenza [43] o altra grave offesa verso l'inferiore, e subito dopo di essa, le pene ivi stabilite sono diminuite da un terzo alla metà.

 

177. Omesso rapporto. Il militare, che, sebbene non presente ad alcuno dei fatti enunciati negli articoli 174 e 175, omette di farne rapporto ai superiori appena ne abbia avuto notizia, è punito con la reclusione militare fino a un anno.
Se il colpevole è un ufficiale, la reclusione militare è da uno a due anni [138].

 

178. Accordo a fine di commettere rivolta o ammutinamento. Quando quattro o più militari si accordano a fine di commettere alcuno dei reati di rivolta o ammutinamento preveduti dagli articoli precedenti, coloro che partecipano all'accordo sono puniti, se il reato non è commesso, con la pena stabilita per il reato stesso, diminuita da un terzo alla metà [181].

 

179. Cospirazione per compromettere la sicurezza del posto o l'autorità del comandante. Quando più militari si accordano per commettere un reato a fine di compromettere la sicurezza della nave o dell'aeromobile, del forte o del posto, o di impedire l'esercizio dei poteri del comandante, ciascuno di essi, per ciò solo, è punito con la reclusione militare non inferiore a due anni [181].

 

180. Domanda, esposto o reclamo collettivo, previo accordo. [Quando dieci o più militari, collettivamente o separatamente, ma previo accordo, presentano una stessa domanda o uno stesso esposto o reclamo, ciascuno di essi è punito con la reclusione militare fino a un anno] (1).
Se la domanda, l'esposto o il reclamo è presentato da quattro o più militari mediante pubblica manifestazione, la pena è della reclusione militare da sei mesi a tre anni [175, 181] (2).
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(1) Con sentenza 2 maggio 1985, n. 126, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 180, comma 1, per contrasto con gli artt. 2, 3, 21 e 52 Cost..
La Corte Costituzionale con la stessa sentenza ha escluso che il giudice a quo "abbia sollevato analoga questione di legittimità relativamente all'art. 180, secondo comma, che prevede come distinto reato, e punisce con pena più severa, la presentazione collettiva ad opera di almeno quattro persone di un'istanza, esposto o reclamo mediante manifestazione pubblica".
(2) La Corte Costituzionale con ordinanza 22 maggio 1987, n. 186, ha dichiarato manifestamente inammissibile, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 180, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 21 e 52 della Costituzione.
V. artt. 7 e 8, l. 11 luglio 1978, n. 382.

 

181. Casi di non punibilità. Nei casi indicati nei tre articoli precedenti, non sono punibili:
1° coloro che recedono dall'accordo prima che sia commesso il reato per cui l'accordo è intervenuto, e anteriormente all'arresto ovvero al procedimento;
2° coloro che impediscono comunque che sia compiuta l'esecuzione del reato per cui l'accordo è intervenuto.

 

182. Attività sediziosa. Il militare [14], che svolge un'attività diretta a suscitare in altri militari il malcontento per la prestazione del servizio alle armi o per l'adempimento di servizi speciali, è punito con la reclusione militare fino a due anni [265 c.p.] (1) (2).
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(1) V. nota sub art. 14.
(2) Con sentenza 11 febbraio 1982, n. 31, la Corte Costituzionale ha ritenuto "non fondata la questione di legittimità costituzionale Ö dell'art. 182, in riferimento all'art. 21, comma 1, Cost..

 

183. Manifestazioni e grida sediziose. Il militare, che pubblicamente [266 c.p.] compie manifestazioni sediziose o emette grida sediziose, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione militare fino a un anno [654 c.p.] (1).
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(1) Con ordinanza 7 marzo 1984, n. 57, la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 183, in relazione agli artt. 3 e 25, comma 2, Cost..

 

184. Raccolta di sottoscrizioni per rimostranza o protesta. Adunanza di militari. Il militare [14], che raccoglie sottoscrizioni per una collettiva rimostranza o protesta in cose di servizio militare o attinenti alla disciplina, o che la sottoscrive, è punito con la reclusione militare fino a sei mesi.
La stessa pena si applica al militare, che, per trattare di cose attinenti al servizio militare o alla disciplina, arbitrariamente promuove un'adunanza di militari, o vi partecipa [260] (1).
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(1) Con sentenza 11 febbraio 1982, n. 31, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 184, comma 2, ultima parte, in riferimento agli artt. 17 e 21 Cost..
La Corte Costituzionale con sentenza 24 gennaio 1989, n. 24 ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 184, comma 2, c.p.m.p. sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 17, 21 e 52, ult. comma, Cost.

 

185. Rilascio arbitrario di attestazioni o dichiarazioni. Se più militari rilasciano arbitrariamente attestazioni o dichiarazioni concernenti cose o persone militari, ciascuno di essi è punito con la reclusione militare fino a sei mesi [260] (1).
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(1) V. art. 9, l. 11 luglio 1978, n. 382.

 

Della insubordinazione.

 

186. Insubordinazione con violenza. Il militare che usa violenza contro un superiore è punito con la reclusione militare da uno a tre anni [336 c.p.].
Se la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o tentato, nell'omicidio preterintenzionale ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata [575, 56, 584, 582 e 583 c.p.] (1).
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(1) Articolo così sostituito dall'art. 1, l. 26 novembre 1985, n. 689. Il testo originario era il seguente:
"Il militare, che usa violenza contro un superiore, è punito con la morte con degradazione, se la violenza consiste nell'omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale.
Se la violenza contro il superiore consiste in una lesione personale gravissima o grave, si applica la pena di morte con degradazione, se il superiore è un ufficiale, e la reclusione da sette a quindici anni, se il superiore non è un ufficiale.
Fuori dei casi preveduti dai commi precedenti, il militare, che usa violenza contro un superiore, è punito con la reclusione militare non inferiore a cinque anni, se il superiore è un ufficiale, e con la stessa pena da tre a dodici anni, se il superiore non è un ufficiale".
Dell'ultimo comma di questa precedente disposizione, con sentenza 27 maggio 1982, n. 103, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., limitatamente alle parole "con la reclusione militare non inferiore a cinque anni se il superiore è un ufficiale e con la stessa pena da tre a dodici anni se il superiore non è un ufficiale". Ha, inoltre, dichiarato in applicazione dell'art. 27 l. 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale del comma 2, limitatamente alle parole "e la reclusione da sette a quindici anni se il superiore non è un ufficiale" e quindi "una volta sostituita relativamente ad una delle varie ipotesi di insubordinazione la pena originariamente prevista dal codice penale militare di pace con quelle stabilite dal codice penale comune, non sussiste altra alternativa, onde ripristinare la ragionevolezza e la coerenza della disciplina, se non quella di eliminare, mediante la pronuncia di incostituzionalità, le pene estremamente più severe previste dal c.p.m.p. divenute logicamente incompatibili con quelle applicabili, secondo il codice penale comune" per effetto della sentenza 25 maggio 1979, n. 26.

La Corte Costituzionale, con ordinanza 10 luglio 1991, n. 327, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 186, comma 2, c.p.m.p., in riferimento all'art. 3 Cost.

 

187. Circostanze aggravanti. Nella ipotesi di cui all'articolo precedente la pena può essere aumentata se il superiore offeso è il comandante del reparto o il militare preposto al servizio o il capo di posto (1).
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(1) Articolo così sostituito dall'art. 2, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Per i reati preveduti dall'articolo precedente:
1° se ricorre alcuna delle circostanze indicate negli articoli 576 e 577 del codice penale, le pene detentive sono aumentate, sostituita la reclusione alla reclusione militare;
2° se il superiore offeso è il comandante del reparto o il militare preposto al servizio o il capo di posto, la pena può essere aumentata".

 

188. Circostanza attenuante: cause estranee al servizio e alla disciplina militare. (Abrogato) (1).
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(1) Articolo abrogato dall'art. 7, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Quando alcuno dei fatti enunciati nell'articolo 186 è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori della presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare, alla pena di morte con degradazione è sostituita la reclusione da ventiquattro a trenta anni; e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà.
Le disposizioni del comma precedente non si applicano nel caso di omicidio, che, a norma del codice penale, sia punibile con la morte".

 

189. Insubordinazione con minaccia o ingiuria. Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un superiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni [336 c.p.].
Il militare, che offende il prestigio, l'onore o la dignità di un superiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni [341 c.p.].
Le stesse pene si applicano al militare, che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti al superiore (1).
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(1) Articolo così sostituito dall'art. 3, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Il militare, che minaccia un superiore, in sua presenza, ovvero offende l'onore, il prestigio o la reputazione di un superiore, in sua presenza, è punito con la reclusione militare da tre a sette anni, se il superiore è un ufficiale, e da uno a cinque anni, se il superiore non è un ufficiale.
Le stesse pene si applicano al militare, che commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti al superiore".
Del primo comma di questa precedente disposizione, la Corte Costituzionale, con sentenza 27 maggio 1982, n. 103, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., limitatamente alle parole "con la reclusione militare da tre a sette anni, se il superiore è un ufficiale e da uno a cinque anni, se il superiore, non è un ufficiale". La Corte Costituzionale con sentenza 31 maggio 1990, n. 278, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 228, comma 2 e 198, codice penale militare di pace, con riferimento agli artt. 2, 3, 52, ultimo comma e 27, comma 1, della Costituzione.

 

190. Circostanze aggravanti. Le pene stabilite dall'articolo precedente sono aumentate [50]:
1) se la minaccia è usata per costringere il superiore a compiere un atto contrario ai propri doveri, ovvero a compiere o ad omettere un atto del proprio ufficio o servizio, ovvero per influire comunque sul superiore;
2) se il superiore offeso è il comandante del reparto o il militare preposto al servizio o il capo di posto;
3) se la minaccia è grave o ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell'articolo 339 del codice penale.
Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da tre anni a quindici anni (1).
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(1) Articolo così sostituito dall'art. 4, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Le pene stabilite dall'articolo precedente sono aumentate:
1° se la minaccia è usata per costringere il superiore a fare un atto contrario ai propri doveri, ovvero a compiere o ad omettere un atto del proprio ufficio o servizio, ovvero per influire comunque sul superiore;
2° se il superiore offeso è il comandante del reparto o il militare preposto al servizio o il capo di posto;
3° se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell'articolo 339 del codice penale.
Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da cinque a venti anni, se il superiore offeso è un ufficiale, e da tre a quindici anni, se il superiore non è un ufficiale".

 

191. Minaccia o ingiuria in assenza del superiore. (Abrogato) (1).
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(1) Articolo abrogato dall'art. 7, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Nei casi preveduti dai due articoli precedenti, se il fatto è commesso in assenza del superiore offeso, ma alla presenza di più militari, il colpevole è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni, se il superiore è un ufficiale, e con la stessa pena fino a sei mesi, se il superiore non è un ufficiale".

 

192. Circostanza attenuante: cause estranee al servizio e alla disciplina militare. (Abrogato) (1).

(1) Articolo abrogato dall'art. 7, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Nei casi preveduti dai tre articoli precedenti, se il fatto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori della presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare, la pena è diminuita".

 

193. Funzioni esercitate dal superiore. (Abrogato) (1).

(1) Articolo abrogato dall'art. 7, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano, qualunque sia la condizione militare del superiore offeso, e anche quando il fatto sia commesso a causa di funzioni politiche, amministrative o giudiziarie esercitate dal superiore".

 

194. Provocazione del superiore. (Abrogato) (1).
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(1) Articolo abrogato dall'art. 7, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Se alcuno dei reati preveduti dagli articoli precedenti è commesso nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto del superiore, e subito dopo di esso, o subito dopo che l'inferiore ne ha avuto notizia, alla pena di morte con degradazione è sostituita la reclusione non inferiore a venti anni, e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà".

 

Dell'abuso di autorità.

 

195. Violenza contro un inferiore. Il militare, che usa violenza contro un inferiore, è punito con la reclusione militare da uno a tre anni.
Se la violenza consiste nell'omicidio volontario, consumato o tentato [575, 56, 584 c.p.], nell'omicidio preterintenzionale, ovvero in una lesione personale grave o gravissima [582 e 583 c.p.], si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. La pena detentiva temporanea può essere aumentata [50, 198, 209, 238-241] (1).
______________________________
(1) Articolo così sostituito dall'art. 5, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Il militare, che usa violenza contro un inferiore, è punito con la reclusione militare da sei mesi a cinque anni.
Se la violenza consiste nell'omicidio, ancorché tentato o preterintenzionale, o in una lesione personale gravissima o grave [583 c.p.], si applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice penale. Tuttavia, la pena detentiva temporanea è aumentata".
Con sentenza 20 giugno 1984, n. 173, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost. del comma 1, limitatamente alle parole "con la reclusione militare da sei mesi a cinque anni", poiché, a seguito della sentenza n. 103 del 1982 della stessa Corte, "l'inferiore che usi insubordinazione con violenza contro il superiore è sottoposto a ben più lievi conseguenze sanzionatorie, in quanto a lui si applicano anche in tali casi le pene previste nel codice penale comune Ö". Si è venuta così a determinare un'irrazionale ed ingiustificata disparità di trattamento, rispetto ad una stessa illecita condotta, a seconda che essa sia compiuta dall'inferiore oppure dal superiore, sicché la precedente disciplina, prima sbilanciata a danno dell'inferiore, risulta ora addirittura capovolta a danno del superiore.
La Corte Costituzionale con sentenza 13 maggio 1991, n. 203, ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 2 ultima parte c.p.m.p., in riferimento agli artt. 24, comma 2, 25, comma 2, 27, comma 1, Cost.

 

196. Minaccia o ingiuria a un inferiore. Il militare, che minaccia un ingiusto danno ad un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni [336 c.p.].
Il militare, che offende il prestigio, l'onore o la dignità di un inferiore in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a due anni [341 c.p.].
Le stesse pene si applicano al militare che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti all'inferiore [3412].
La pena è aumentata se la minaccia è grave o se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel primo comma dell'articolo 339 del codice penale.
Se ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo comma dello stesso articolo 339, si applica la reclusione militare da tre a quindici anni [198, 199, 238-241] (1).
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(1) Articolo così sostituito dall'art. 6, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Il militare, che minaccia un inferiore, in sua presenza, ovvero offende l'onore o il decoro di un inferiore, in sua presenza, è punito con la reclusione militare fino a sei mesi.
La stessa pena si applica al militare, che commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti all'inferiore.
Si applica la reclusione militare fino a tre anni, se la minaccia è grave, o se è commessa in uno dei modi indicati nell'articolo 339 del codice penale".
La Corte Costituzionale con sentenza 4 aprile 1985, n. 102, ne aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale per contrasto con l'art. 3 Cost. limitatamente alle parole "la reclusione militare fino a tre anni", poiché a seguito della sentenza n. 103/1982 (vedila sub art. 189), la minaccia ad un inferiore veniva ad essere punita più severamente rispetto a quella contro il superiore, nonostante l'intrinseca maggiore gravità.

 

197. Circostanza attenuante: cause estranee al servizio e alla disciplina militare. (Abrogato) (1).
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(1) Articolo abrogato dall'art. 7, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Nei casi indicati nel primo comma dell'articolo 195 e nell'articolo 196, se la violenza, la minaccia o l'ingiuria è commessa per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, la pena detentiva temporanea è diminuita da un terzo alla metà".

 

198. Provocazione. Se alcuno dei reati preveduti dai capi terzo e quarto è commesso nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto del superiore o dell'inferiore, e subito dopo di esso o subito dopo che il colpevole ne ha avuto notizia, alla pena dell'ergastolo è sostituita la reclusione non inferiore a quindici anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà (1).
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(1) Articolo così sostituito dall'art. 8, l. 26 novembre 1985, n. 689.
Il testo originario era il seguente:
"Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli precedenti è commesso nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto dell'inferiore, e subito dopo di esso, o subito dopo che il superiore ne ha avuto notizia, alla pena di morte è sostituita la reclusione non inferiore a venti anni; all'ergastolo è sostituita la reclusione non inferiore a quindici anni, e le altre pene sono diminuite dalla metà a due terzi".
La Corte Costituzionale con sentenza 31 maggio 1990, n. 278, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 228, comma 2 e 198 codice penale militare, sollevata, con riferimento agli artt. 2, 3 e 52, ultimo comma della Costituzione, in quanto non comportano una scriminante anche per il reato di cui all'art. 189, comma 2, c.p.m.p.

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